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Pupo cristiano armato, Palermo, XX.  Inv.39200 Pupo cristiano armato, Palermo, XX. Inv.39200

Pupi siciliani

La rappresentazione, attraverso i pupi articolati, dei cicli epico-cavallereschi ha avuto inizio nell'area siciliana nella prima metà dell'Ottocento. Molto discussa è la questione delle origini. Secondo alcune ipotesi, il teatro di marionette armate deriverebbe dai titeres castigliani: ne sarebbero prova i brani dei capitoli XXV-XXVI del secondo libro di Don Quijote (Don Chisciotte della Mancia), dove si descrive un teatro ambulante di marionette che rappresentano temi cavallereschi, e la quasi contemporanea origine del teatro dei pupi a Roma, Napoli, in Sicilia, nelle Fiandre e particolarmente a Liegi, tutte zone soggette per lungo o breve tempo all'influenza politica e culturale della corte spagnola.

Tuttavia più accreditate e verosimili sono le ipotesi che vedono le origini dell'Opera nel convergere di numerosi e diversi elementi culturali: il repertorio cavalleresco, che, originato dalla letteratura medievale francese, continuava ad essere diffuso e ripreso in diversi ambiti socio-culturali (negli ambienti colti nei secoli XVI-XVII con le opere di Ariosto, Pulci, Boiardo, Tasso, e nei secoli XVIII-XIX nella cultura popolare, attraverso i testi a stampa e la narrazione dei cantastorie); la diffusione, in ambito piccolo-borghese e popolare, del teatro delle marionette, in precedenza appannaggio delle classi aristocratiche; l'influenza del teatro di attori e del teatro gesuitico, in cui si rappresentavano, nel Cinquecento e Seicento, storie cavalleresche; l'influenza del teatro romantico e del suo interesse per il Medioevo; le rappresentazioni comiche con attori, dette vastasate, diffuse in Sicilia alla fine del secolo XVIII e considerate all'origine delle farse e dei personaggi farseschi presenti nell'Opera dei Pupi.

Il repertorio delle rappresentazioni dell'Opera comprende: numerosi cicli epico-cavallereschi derivati dalle Chansons de Geste francesi, con netta prevalenza del ciclo carolingio su quello bretone; drammi storici; alcune storie tratte dal teatro shakesperiano; storie di briganti; due diverse versioni dei Beati Paoli; vite di santi; alcune rappresentazioni di argomento religioso legate al calendario liturgico cristiano, come ad esempio la Natività e la Passione; brevi farse in dialetto siciliano solitamente poste a chiusura dello spettacolo. Le rappresentazioni venivano effettuate in locali chiusi, generalmente magazzini o scuderie, o in alcuni casi in baracche di legno.

Il teatro dei pupi in area siciliana si è attuato secondo due tradizioni, quella palermitana e quella catanese. Nella tradizione palermitana i pupi misurano circa ottanta centimetri di altezza, hanno le ginocchia articolate, e due ferri per i movimenti principali, uno alla testa e l'altro alla mano destra, cui è legato anche un filo che, mosso, permette di sguainare o rinfoderare la spada; i pupi della tradizione catanese, diffusa anche a Reggio Calabria, sono alti invece circa centoventi centimetri, hanno le ginocchia rigide, e sono anch'essi dotati di due ferri per i movimenti, uno fissato alla testa e l'altro alla mano destra. I pupi palermitani e quelli catanesi hanno sempre la mano destra chiusa a pugno, diversamente da quelli della tradizione romana e napoletana, che hanno invece la mano destra a palma aperta. I pupi siciliani qui esposti sono stati tutti acquistati nel 1964 presso il puparo palermitano Giuseppe Argento, tranne un esemplare acquistato in Sicilia nel 1910 e di provenienza non identificata. I pupi di Giuseppe Argento misurano in genere circa dieci centimetri in più rispetto alle dimensioni consuete nell'area palermitana.

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