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Pupi romani. Vecchio cavaliere, due saraceni.  Foto: R. Comegna Pupi romani. Vecchio cavaliere, due saraceni. Foto: R. Comegna

Pupi romani

I 25 pupi esposti provengono da una collezione più ampia (circa 50-60 oggetti) appartenente in origine alla collezione Gonzaga, e sono identificabili come esemplari del teatro dei pupi attivo a Roma nel sec. XIX, nel quale venivano soprattutto rappresentati a puntate, come nell'Opera dei Pupi siciliana, cicli epici cavallereschi.

Le rappresentazioni dei pupi a Roma, dette infornate, vennero effettuate per tutto l'Ottocento in diversi teatri della città, come il teatro Ornani (in seguito Emiliani) a piazza Navona, il teatro del Pavone nel vicolo omonimo, il teatro delle Muse al vicolo del Fico, il teatrino di Piazza Montanara, il Valletto presso la piazza di S. Andrea della Valle, ed altri locali a Trastevere. Il repertorio delle rappresentazioni a puntate era prevalentemente incentrato sui temi epico-cavallereschi, tra i quali soprattutto il ciclo carolingio (Reali di Francia, Orlando Furioso, Orlando Innamorato); venivano messi in scena anche altri cicli come il "Belisario", alcuni drammi storici tratti dalla storia romana e dai romanzi medievali, o la biografia romanzata di Cristoforo Colombo, sempre con un intreccio che conservava caratteristiche epiche e fantastiche simili a quelle dei cicli cavallereschi.

Come nelle rappresentazioni dei pupi che si svolgevano a Napoli, in Puglia, in Calabria, in Sicilia, spesso compariva, nelle storie cavalleresche, un personaggio comico, per lo più in veste di scudiero dei paladini e con funzione di spezzare, di tanto in tanto con la sua comicità, la tensione e i tratti aulici degli atteggiamenti e delle parole; a Roma questo personaggio era inizialmente Pulcinella, sostituito più tardi da Rugantino.

Dal punto di vista tecnico i pupi romani presentano notevoli somiglianze con quelli napoletani: la mano destra è aperta, e probabilmente sorretta da un filo anziché da un'asta di ferro come per i pupi siciliani; le dimensioni sembrano essere più vicine a quelle dei pupi palermitani: l'altezza è di circa ottanta centimetri, che divengono tuttavia novanta - cento per le figure più importanti di guerrieri o per i giganti.

I pupi esposti denunciano chiaramente di essere opera di autori diversi e di appartenere a diverse epoche di costruzione; alcuni pezzi sono infatti databili alla fine del secolo XVIII e all'inizio del secolo, altri possono essere invece datati intorno agli 1850 - 1880. Le parti in legno (teste, mani, piedi) sono prevalentemente in legno di pioppo, e in alcuni casi in legno di faggio o in una varietà di pino; alcuni pupi recano impresse alcune sigle, sul bacino, sulle gambe, allo snodo delle ginocchia.

L'identificazione di ciascun personaggio appare estremamente difficile, soprattutto a causa del notevole deterioramento degli abiti, fin quasi alla loro completa scomparsa; era d'altra parte consuetudine degli opranti fare interpretare ai pupi ruoli e personaggi diversi, in rappresentazioni diverse cambiandone gli abiti o talvolta anche le teste in modo tale che alcuni pupi erano totalmente intercambiabili, e per questo motivo, oggi difficilmente identificabili. Alcuni pupi sono, infatti, immediatamente riconoscibili per alcune inconfondibili caratteristiche, come, ad esempio, il corpo dipinto di rosso e le corna per i personaggi diabolici o la testa leonina di Pulicane, personaggio protagonista di un ciclo a lui dedicato; per altri è possibile identificare con una certa probabilità almeno uno dei personaggi che queste figure erano destinate ad interpretare: così le due figure bifronti con la testa rotante erano certamente utilizzate per rappresentare, tra gli altri, il personaggio della Fata Alcina, personaggio del ciclo cavalleresco di Guerino il Meschino.

Tra le figure di guerrieri e soldati si notano un personaggio avente un torace alveo, probabilmente destinato a contenere una boccetta di anilina, per una spettacolare fuoriuscita di sangue nel momento in cui il guerriero veniva abbattuto; si notino anche le coppie di soldati, cristiani e saraceni, che nel linguaggio convenzionale dell'Opera dei Pupi a Roma rappresentavano ciascuna una armata di duemila soldati. Le tre figure femminili esposte appaiono, infine, assolutamente non identificabili, anche a causa del fatto che in un sol caso una testa femminile è collocata su di un corpo maschile, mentre avviene viceversa in un altro esemplare di testa maschile collocata su di un corpo femminile.

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