Origini
Le origini dell'abbigliamento popolare italiano possono ritrovarsi nell'iconografia medievale: contadini intenti ai lavori dei campi, operai di cantiere o artigiani, donne occupate nei lavori domestici vestono abiti improntati ad una notevole omogeneità nonostante le diversità geografiche. Una veste senza maniche dalla quale fuoriesce la camicia sottostante per le donne; un camiciotto, corto o lungo fino ai piedi e stretto in vita da una cintura di corda o di cuoio per gli uomini. Un vestire essenziale, quello contadino, che resta sostanzialmente immutato nel tempo: alcuni indumenti, come i camicioni usati per i lavori agricoli risultano in uso fino al secolo scorso. Anche la veste femminile permane a lungo nell'uso, mantenendo una foggia simile o sdoppiandosi in gonna e busto, con le maniche staccate da aggiungere per le occasioni festive, e da allacciare con nastri colorati.
Diverse sono le vicende e le trasformazioni subite dall'abbigliamento popolare festivo. Il "costume" dei secoli XVIII-XIX, caratterizzato da una forte connotazione di identità locale, trae probabilmente le sue origini dalla consuetudine di segnalare, attraverso l'abito, l'appartenenza territoriale o politica: dall'età medievale, durante la quale i vassalli erano tenuti a vestirsi con i colori del feudatario, al Rinascimento, durante il quale i dipendenti delle famiglie aristocratiche vestivano, in particolari occasioni, con i colori o i simboli della casata, alla civiltà comunale, dove l'appartenenza alla municipalità, o al quartiere o alla contrada, si manifestava anche attraverso l'abbigliamento. Fino alla fine del Settecento mentre le classi elevate che vivevano in contatto con l'ambiente urbano usavano vestirsi secondo i dettami della moda signorile, che rappresentava, anche se con diversi gradi di omogeneità, una koinè europea, gli esponenti dell'aristocrazia terriera che risiedevano nei piccoli centri o nelle zone rurali, indossavano il costume locale.
Ancora oggi il costume popolare riveste un particolare significato soprattutto per le minoranze etniche che lo indossano in particolari occasioni festive per sottolineare e riaffermare la propria identità culturale. Altri usi del costume riguardano le esibizioni dei gruppi folkloristici che usano, in generale, ricostruzioni approssimative dei costumi pur cercando di mantenere un rigore filologico nella scelta dei tessuti e delle fogge.
Alcuni dei capi d'abbigliamento esposti rappresentano delle vere e proprie rarità per delle collezioni d'inizio secolo. Sono gli indumenti originali con i quali si svolgevano le quotidiane fatiche in casa, nei campi, a questi abiti si contrappongono i più diffusi costumi festivi e cerimoniali. Con gli abiti esposti si intende proporre un viaggio nel tempo attraverso cuffie, cappelli, corpetti, panciotti, gonne e grembiuli, non solo per restituirli alla memoria, ma soprattutto per capire quanto era diversa la vita di chi li indossava e come il tessuto e le tipologie d'abbigliamento siano segnalatori espliciti dell'identità del possessore e del ruolo che questi occupava nella comunità.
Di notevole interesse sono anche i cosiddetti falsi, le copie autentiche di originali, riprodotti nelle sartorie o presso privati. Adolfo Caucino, sarto e costumista teatrale a Biella, Francesco Guedoz sarto di Courmayeur e tanti anonimi artigiani hanno rifatto molti dei costumi tradizionali della collezione, divenuti oggi documenti storici importanti. L'allestimento utilizzato prevede sia l'uso tradizionale del manichino, con una ricostruzione necessariamente statica del costume, sia l'uso della tecnica "esplosa", attraverso lo smontaggio del costume nelle sue varie componenti, che consente al visitatore di apprezzare compiutamente non soltanto i vari elementi uno ad uno, ma anche tutti quei dettagli tecnico-stilistici e sartoriali che li caratterizzano e ne fanno dei pezzi unici.