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Articoli filtrati per data: Luglio 2020

Il Gabinetto delle stampe dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale: I giochi all’aperto

di Stefania Baldinotti, Cinzia Marchesini, Anna Sicurezza e Leandro Ventura


Nell’ambito dell’iniziativa #laculturanonsiferma, è stato trattato il tema dei giochi conservati presso il Gabinetto delle stampe dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale. Al termine di questo ciclo di incontri, in cui vi abbiamo raccontato il gioco dell’oca e le sue mille varianti, i giochi di fortuna e di strategia, il gioco delle carte e le sagome da ritagliare, usciamo di casa per fare un viaggio nel mondo dei giochi all’aperto.


Il nostro percorso virtuale parte dalle più antiche tavole conservate e fra queste vi mostriamo una xilografia settecentesca della stamperia modenese Soliani: l’Albero della cuccagna. Si tratta di un gioco che costituiva il centro della festa di primavera, conosciuto anche come “albero del Maggio”. La scalata a mani nude, con varie tecniche corporee, porta al successo del giocatore che, raggiungendo la cima, riesce a raccogliere gli oggetti legati, che spesso costituiscono proprio il premio della gara: una conquista di buon auspicio, segno di abbondanza simbolica di sicuro valore propiziatorio. Il gioco rituale è ancora oggi praticato in tante versioni differenti presso molte località italiane.


Risale al 1765 la raffinata acquaforte dell’incisore veneto Giovanni Volpato intitolata Il giocolare, che fa parte di una più ampia serie dedicata a Le arti per via. Un uomo porta con sé, con l’aiuto di un fanciullo, tutto ciò che gli serve per intrattenere il pubblico nei giochi di piazza: un tamburo, due spade, un cerchio, dei cagnolini in costume. Il tema lieto e gioioso del titolo contrasta con lo sguardo triste e affaticato del protagonista, che conduce quotidianamente una vita di stenti. Eredi contemporanei del giocolare sono gli artisti di strada che, abbigliati spesso con costumi variopinti e fantasiosi, con musica, danza, mimo e giochi di abilità riescono ancora oggi ad affascinare ed intrattenere grandi e piccini con le loro performance che, nelle grandi città, mettono in scena non solo nelle piazze, ma anche agli incroci stradali per il tempo di un semaforo rosso.


Dalla Venezia di Giovanni Volpato ci si sposta alla Firenze di fine Settecento, con le incisioni di Giuseppe Piattoli dedicate ai Giuochi, Trattenimenti e Feste Annue che si costumano in Toscana. La serie di stampe illustra una grande varietà di giochi all’aperto che vanno dai Birilli al Capo a nascondersi, dalla Trottola alla Pentolaccia. Nel margine inferiore di ogni tavola è riportato il nome del gioco col proverbio che ne deriva. Con la stessa impostazione della serie precedente, presso il Gabinetto delle stampe sono presenti anche delle incisioni a colori di Giuseppe Piattoli, tra le quali mostriamo Il Beccalaglio: la graziosità raffinata della tavola rimanda alla tipica eleganza vezzosa settecentesca, ma è pur sempre la cultura subalterna ad ispirare la scena, col ricordo del “giocare a mosca cieca”.

Rimandano invece a un clima nordico di provenienza altoatesina due stampe che riguardano i giochi sulla neve, dal pattinaggio su ghiaccio alla discesa di un pendio con gli slittini. In particolare una donna, seduta su un’apposita poltroncina in legno, viene condotta da un compagno di giochi sulla superficie ghiacciata.

Lasciamo l’Alto Adige e arriviamo a Roma con il gruppo di acqueforti ottocentesche di Bartolomeo Pinelli, che ci mostra uno spaccato degli svaghi più popolari: la lanterna magica, le bocce, la ruzzola, il salto della cavallina e la canofiena, ovvero la moderna altalena, che consisteva in un vero e proprio gioco amoroso tra le giovani donne in età da marito e i loro corteggiatori. Si appendeva la corda all’architrave di una porta o al ramo di un albero e da lì si sospendeva l’altalena, il cui movimento oscillatorio veniva accompagnato dai canti e dal suono del tamburello.
Molte incisioni sono anche dedicate al gioco della morra, una tradizione di gioco ancora viva in diverse regioni italiane, che Bartolomeo Pinelli rappresenta in più versioni e in ambienti da osteria. Ci si basa su poche, semplici regole: i giocatori abbassano in contemporanea la mano e indicano un numero con le dita, cercando di indovinare ad alta voce la somma ottenuta. Vince chi indovina.

Fig.-1 Canofiena

Bartolomeo Pinelli disegnatore e incisore, Roma, La Canofiena. Costume di Roma, acquaforte, 1822, Roma, ICPI, Gabinetto delle stampe

Di Achille Pinelli, figlio del più celebre Bartolomeo, è infine Il gioco del pallone alle Quattro Fontane, molto diverso dal calcio attuale. Si segna sempre in porta, ma la palla viene battuta con un bracciale di legno a punte. Il pallone col bracciale, giocato all’interno di speciali arene, dette sferisteri, realizzate soprattutto nel Settecento e nell'Ottocento in molte città dell'Italia centro-settentrionale, è stato uno dei giochi di squadra italiani più antichi. Ebbe il suo maggiore sviluppo in epoca rinascimentale e all’incirca fino al 1921 fu lo spettacolo atletico più popolare in Italia. Attualmente viene ancora giocato in Toscana e nelle Marche, dove gode di maggiore popolarità, in particolare nella cittadina di Treja che dedica al gioco una tradizionale rievocazione storica: “La disfida del Bracciale”.

L’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale termina con questa puntata una prima rassegna divulgativa dei giochi rappresentati attraverso le preziose tavole del Gabinetto delle stampe. In qualunque gioco vogliate cimentarvi, soprattutto a seguito del lockdown dovuto al Covid-19, vi auguriamo di trascorrere una buona estate, senza mai dimenticare l’importanza della dimensione ludica che è alla base delle nostre relazioni sociali.

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Bibliografia

FRANCESCO FOSCHINO, Canti all’altalena e solchi all’architrave, «Mathera», 5, II, 2018, pp. 136-143.

LAURA FARANDA, Anime assenti. Sul corpo femminile nel Mediterraneo antico, Armando Editore, Roma 2017, pp. 164-166.

GIOVANNI CARLO SCIOLLA, Bartolomeo Pinelli: un album di disegni inedito, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Biblioteca Reale di Torino 1987.

ERNESTO DE MARTINO, La terra del rimorso, Il Saggiatore, Milano 1961, pp. 210-212.

PAOLO TOSCHI, Stampe popolari italiane dal XV al XX secolo, BPM, Milano 1965, p. 208.

 

Sitografia

Per la xilografia della stamperia Soliani, L’albero della cuccagna:
https://www.gallerie-estensi.beniculturali.it/collezioni-digitali/id/48516 

Per l’incisione di Giovanni Volpato, Il giocolarehttps://www.britishmuseum.org/collection/object/P_1890-0415-250 

La duplice anima del gioco della Morra, 3 agosto 2017, in: https://tocati.it/morra/#:~:text=Le%20prime%20testimonianze%20del%20gioco%20della%20morra%20risalgono%20all'antico%20Egitto.&text=Giocando%20a%20Morra%2C%20i%20giocatori,Vince%20chi%20indovina. 

VALENTINA BALDI, 1765-1790. Appunti di storia del costume in Toscana durante il regno di Pietro Leopoldo attraverso le stampe di Giuseppe Piattoli, «OADI. Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia», 20, 2015, in http://www1.unipa.it/oadi/oadiriv/?page_id=2276

ROSSELLA LEONE, ad vocem Bartolomeo Pinelli, in Dizionario Biografico Treccani, vol 83, 2015 in: www.treccani.it/enciclopedia/bartolomeo-pinelli_%28Dizionario-Biografico%29/ 

 

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Elaborato e video di Stefania Baldinotti, Cinzia Marchesini e Anna Sicurezza, con la preziosa collaborazione di Roberto Galasso, Marco Marcotulli e Leandro Ventura.

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#VISIONIDAITERRITORI. Quando il grano diventa festa e arte: la festa di Sant’Anna a Jelsi attraverso le mappe interattive e il fumetto digitale del Segretariato Regionale per il Molise

di Lia Montereale - Segretariato Regionale del Molise

Proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta delle feste e delle tradizioni del Molise e ci fermiamo a Jelsi, cittadina in provincia di Campobasso. Come sempre durante i nostri viaggi culturali, anche oggi ci faremo aiutare dalle mappe interattive del Segretariato Regionale per il Molise. Ma rivediamo insieme cosa sono le mappe tematiche interattive che ci accompagneranno in questo percorso.

Il Segretariato Regionale per il Molise, articolazione periferica del MiBACT, nel 2018 ha creato nove mappe tematiche interattive per divulgare la conoscenza del patrimonio culturale presente nella regione (mappe che nel corso degli anni si sono arricchite di contenuti e approfondimenti).

Le mappe raccolgono su un'unica piattaforma digitale le informazioni che riguardano il territorio, fornendo al visitatore uno strumento semplice da usare che, attraverso testi, ipertesti ed immagini, racconta e facilita la conoscenza del Molise. Sono interattive, sono costruite su piattaforma Google, sono utilizzabili sia da dispositivo fisso che mobile e sono dedicate ognuna ad uno specifico tema del patrimonio culturale del Molise. Possono essere consultate a questo link: www.molise.beniculturali.it

Iniziamo quindi dalla mappa feste e tradizioni per conoscere insieme la festa di Sant’Anna o festa del grano di Jelsi.

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Mappa feste e tradizioni del Segretariato regionale per il Molise

 

Quali sono le origini di questa festa?

Era il 26 luglio 1805 e il Molise fu colpito da un terribile terremoto. Molti paesi furono distrutti, ma Jelsi subì pochi danni. Quello stesso giorno ricorreva la celebrazione di Sant’Anna e molti dissero che fu proprio la Santa a proteggerli. Fu così che con il passare del tempo la popolazione jelsese divenne sempre più devota e grata a Sant’Anna fino a celebrarla con l’offerta votiva del grano.

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Carro allegorico. Foto dell’Archivio dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale

Il 26 luglio di ogni anno, da oltre 200 anni, Sant’Anna viene quindi festeggiata con sfilate di carri e opere in grano che vengono poi esposte presso il Museo dedicato.

E già, perché a Jelsi potete visitare il “MuFeG” Museo di Comunità della Festa del Grano, situato presso il Convento Santa Maria delle Grazie, che documenta, promuove e tramanda il profondo legame che la comunità Jelsese ha con la Festa del grano.

Spostiamoci quindi su un’altra mappa, la mappa dei musei locali di appartenenza non statale. 

Il museo espone carri e opere di ogni tipo e forma (realizzati nelle precedenti edizioni della festa), tutti ottenuti utilizzando il grano nei suoi diversi elementi (spiga, chicco, foglia, ecc.). L’allestimento museale consente al visitatore di conoscere la storia della festa muovendosi all’interno del museo tra documenti, quadri, fotografie, video e soprattutto osservando i carri allegorici, realizzati in passato, esposti lungo il percorso.

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Interno del Mufeg-Museo di Comunità della Festa del Grano. Foto di Lia Montereale

La partecipazione attiva della collettività alla processione, rende la festa del grano una festa fondamentale nell’ambito del patrimonio immateriale del Molise e il Mufeg svolge un ruolo centrale, contribuendo alla diffusione della conoscenza e allo sviluppo della ricerca legata a questa antica tradizione. Il MuFeg riporta in superficie, rafforzandolo, il legame tra l’uomo (il contadino), la terra e il grano, trasformando l’antica tradizione contadina della lavorazione del grano in festa (attraverso la sfilata dei carri e le opere in grano offerte a Sant’Anna nel giorno della sua ricorrenza) e in arte (attraverso il Museo aperto tutto l’anno e dedicato alla festa e all’esposizione permanente dei carri allegorici). Inoltre, offre attività museali di conservazione, fruizione, ricerca e laboratori didattici su temi specifici e per pubblici differenti.

Alla luce di queste considerazioni, possiamo affermare che in Molise sono molte le realtà museali che vivono nella e attraverso la loro comunità di appartenenza. Il Mufeg non è un semplice contenitore che custodisce le opere in grano ma è strettamente legato alla comunità jelsese e al suo bagaglio di feste e tradizioni. Questo a dimostrazione che i musei, soprattutto i “piccoli musei” radicati e legati al territorio, svolgono un ruolo chiave nella salvaguardia, nella promozione e nella trasmissione del patrimonio culturale immateriale. Alcuni, come in questo caso, svolgono un ruolo centrale e attivo nella conservazione, trasmissione e divulgazione della festa e della tradizione mantenendo un solido e stabile legame con la comunità di appartenenza, e promuovendo allo stesso tempo la tradizione anche in chiave turistica e di sviluppo territoriale.

Come Segretariato Regionale per il Molise abbiamo inoltre realizzato un fumetto digitale “C’era una volta…Molise”, disponibile in tre lingue (italiano, inglese e spagnolo) e consultabile su www.molise.beniculturali.it. Il protagonista, personaggio di fantasia, è un frate con il blocco dello scrittore che non sa come riempire le pagine del suo manoscritto. Decide così di lasciare la sua abbazia e di intraprendere un viaggio alla scoperta del Molise. Incontrerà personaggi storici e leggendari legati al territorio che gli faranno da guida lungo il suo percorso, aiutandolo a ritrovare l’ispirazione e l’estro artistico. Le sue numerose avventure lo porteranno ad immergersi e a conoscere il grande e variegato contenitore del patrimonio culturale demo-etnoantropologico e immateriale del Molise.

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“C’era una volta…Molise”, fumetto digitale del Segretariato Regionale per il Molise. Fra Giuseppe si reca a Jelsi in occasione della Festa di Sant’Anna.

5--firgura-fumetto  “C’era una volta…Molise”, fumetto digitale del Segretariato Regionale per il Molise. Fra Giuseppe visita il Mufeg- Museo di Comunità della Festa del grano

Per maggiori informazioni sulla festa di Sant’Anna a Jelsi e sul patrimonio culturale materiale e immateriale visitabile in Molise, è possibile consultare i seguenti link:

Festa di Sant’Anna o festa del grano - Istituto Centrale Patrimonio Immateriale

Jelsi - Segretariato Regionale MiBACT per il Molise

Mufeg - Museo di Comunità della festa del grano

Mufeg, Jelsi - Scrigni della memoria

Mufeg- Museo del Grano video

Il nostro viaggio di oggi si conclude qui e speriamo di avervi incuriosito sul patrimonio demo-etnoantropologico e immateriale di cui le feste e le tradizioni sono un elemento importante, anche se non l’unico. Vi diamo appuntamento al prossimo “viaggio” per scoprire insieme nuovi aspetti e nuovi elementi di questo grande patrimonio.

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Etnomusicologia: L’Ottava Rima

Testo e presentazione video di Gianluca Chelini, dottorando in etnomusicologia presso l’Università di Roma La Sapienza. 

Rubrica "Etnomusicologia", a cura di Claudio Rizzoni (Demoetnoantropologo - MiBACT) 

 

Ad unire tra loro tradizioni musicali distanti come il canto a chitarra sardo, il blues delle origini, il rap freestyle e l’ayay cambogiano è almeno una caratteristica: tutte e quattro, così come innumerevoli altre, prevedono l’esecuzione cantata di versi poetici improvvisati. Una delle tradizioni italiane di poesia estemporanea più vitali e diffuse è l’Ottava Rima, consistente nell’esecuzione cantata estemporanea di una strofa poetica corrispondente a quella che, in metrica, è definita Ottava Toscana, costituita da otto versi endecasillabi che seguono lo schema rimico A-B-A-B-A-B-C-C. L’attuale area di diffusione dell’ottava comprende un ampio settore dell’Italia centrale, soprattutto la Toscana, il Lazio e l’Abruzzo.
Oggi si possono distinguere due differenti tipologie di occasioni in cui questa pratica musicale ha luogo: le rassegne e le gare organizzate in tutto l’areale dell’ottava in cui la tradizione è spettacolarizzata e i poeti si esibiscono su un palco di fronte ad un pubblico; le occasioni informali e conviviali che mettono insieme due o più poeti, che usano l’improvvisazione in ottava come sorta di “gioco” comunitario.

La struttura strofica dell’Ottava Toscana e il suo legame con il canto, devono essere fatti risalire almeno al XIV secolo, periodo in cui tale struttura fu utilizzata non solo dal Boccaccio per alcuni suoi poemetti, ma anche da una serie di poeti, per lo più anonimi, per la composizione di cantari, un genere poetico che, come facilmente intuibile dal nome, prevedevano un’esecuzione pubblica nella forma della recitazione cantata. Come in qualsiasi forma di performance, è verosimile che anche nella recitazione dei cantari esistesse un certo grado di improvvisazione; quello che è certo è che la pratica di comporre all’improvviso i versi era pratica diffusa nel mondo cortese già alla fine del ‘500 e nei primi anni del ‘600. A testimoniarlo è, tra le altre cose, l’inclusione nel 1620 di un’Aria per Cantare Ottave nella raccolta Le Terze Musiche del nobile senese Claudio Saracini (Consultabile al link http://www.aporie.it/l-intonazione-musicale/arie-tratte-da-fonti-seicentesche.html). Si tratta di un modello musicale che il compositore offriva come base a coloro che volessero cimentarsi nell’improvvisazione delle ottave nei consessi cortesi. Già in questa stampa è possibile notare almeno due elementi musicali che, ancora oggi, risultano caratterizzare il linguaggio musicale dell’improvvisazione in ottava.

1) Melodia sillabica per lo più omoritmica con prolungamento delle note corrispondenti agli accenti forti del verso poetico e della nota conclusiva di ogni verso.
2) Forma binaria della strofa musicale: la struttura poetica di otto versi è suddivisa musicalmente in due quartine tra loro uguali.

Questi due aspetti ricorrenti sono il fondamento del meccanismo improvvisativo dell’ottava: da una parte la melodia del singolo verso funziona da sfondo metrico-ritmico che il poeta deve ricalcare attraverso gli accenti delle parole; dall’altra la singola quartina funziona da unità tematica per l’argomentazione poetica, cosicché il poeta “semplifica” il proprio lavoro creativo ad una successione di quattro versi, e non di otto.
La centralità della dimensione musicale nel meccanismo improvvisativo, dell’Ottava Improvvisata come di altre pratiche, è di estremo interesse perché ci indica il ruolo della musica come strumento di organizzazione del pensiero, ricordandoci la necessità sottolineata dagli etnomusicologi di considerare l’homo sapiens sapiens come un essere vivente “sonoramente organizzato”, capace cioè di utilizzare aspetti musicali (ritmo, metro, timbro) come fonte di informazione per le proprie attività sociali e culturali.

Riferimenti bibliografici

Agamennone, Maurizio
1986, “Cantar l’ottava”, in Giovanni Kezich, I poeti contadini, Roma, Bulzoni

Agamennone, Maurizio – Giannattasio, Francesco (a cura)
2002, Sul verso cantato. La poesia orale in una prospettiva etnomusicologica, Padova, Il Poligrafico

Giannattasio, Francesco,
1992, Il concetto di musica, Roma, Bulzoni.

Kezich, Giovanni
2007, “Il cantare estemporaneo”, in Michelangelo Picone e Luisa Rubini (a cura), Il cantare italiano tra folklore e letteratura, Firenze, Olschki: 29-44.

Per una bibliografia dettagliata si rimanda alla sezione “bibliografia” del portale www.aporie.it  

 

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Le parole chiave del Patrimonio Im-materiale: ETNOMUSICOLOGIA

Per la rubrica "Le parole chiave del Patrimonio Im-materiale" (a cura del Servizio VI DG-ABAP e ICPI), l'etnomusicologo Claudio Rizzoni (Demoetnoantropologo - MiBACT) ci parla della parola "ETNOMUSICOLOGIA"

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:

-          Cámara de Landa, E. (2003), “Temi e approcci dell’etnomusicologia attuale”, in id., Etnomusicologia, Reggio Calabria, Città del Sole Edizioni, pp. 307-366.

-          Giannattasio, F., Giuriati, G. (2017), Perspectives on a 21st Century Comparative Musicology: Ethnomusicology or Transcultural Musiclogy?, Udine, Nota.

-          Giuriati, G. (2010), Musica popolare o popular music? Il caso emblematico della musica per la Festa dei Gigli di nola, in A. Rigolli e N. Scaldaferri, a cura, Popular music e musica popolare. Riflessioni ed esperienze a confronto, Venezia, Marsilio, pp. 149-164.

-          Guizzi, F. (2003), Guida alla musica popolare in Italia. 3: gli strumenti, Lucca, Libreria Musicale Italiana.

-          Leydi, R. a cura (1996), Guida alla musica popolare in Italia. 1: forme e strutture, Lucca, Libreria Musicale Italiana.

-          Leydi, R. a cura (2001), Guida alla musica popolare in Italia. 2: i repertori, Lucca, Libreria Musicale Italiana.

-          Rizzoni, C., a cura (2011), Fare etnomusicologia oggi: l’attuale etnomusicologia italiana nelle parole dei suoi protagonisti, Roma, Edizioni Nuova Cultura.

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Visioni dai territori: Progetto di ricerca – Le edicole votive dei Quartieri Spagnoli (a cura della SABAP di Napoli)

Premessa

Quella delle edicole votive è una presenza diffusa e capillare nel tessuto urbano delle città mediterranee. A Napoli come altrove, esse costituisconoelemento di arredo urbano e oggetto di culto già dalla seconda metà del XVI secolo. Segno dello spazio culturalmente abitato, nel capoluogo campano esse acquisiscono alcuni elementi peculiari, come l’occasionale presenza di un piccolo vano posto sotto l’effige sacra e destinato ad ospitare statuine fittili delle anime del Purgatorio, l’apposizione costante di fotografie di cari venuti a mancare, ex voto e offerte, o, in altri casi, rimaneggiamenti a scopo protettivo spesso effettuati in modo spontaneo ed autofinanziato dai residenti, come la costruzione di strutture in alluminio, vetrate, coperture in plastica ondulata e cancellate in ferro. Elementi e caratterizzazioni, questi, che pongono interessanti spunti di riflessione dal punto di vista sia storico-artistico che etnoantropologico.

Si indagherà la complessità di un fenomeno devozionale, non esclusivamente a carattere religioso, che coinvolge gli spazi della città trasformando una dimensione privata in rappresentazione collettiva, analizzandolo anche nelle sue torsioni contemporanee come, ad esempio, la realizzazione di edicole dedicate a personaggi che esulano dalla sfera del sacro propriamente inteso o quella installata nell’agosto 2019 ad opera di associazioni attive con progetti di valorizzazione territoriale.

Intento del progetto è quello di avviare un’azione di tutela e valorizzazione delle edicole votive presenti nel territorio dei Quartieri Spagnoli, contesto selezionato sulla base delle molteplici ragioni di seguito evidenziate:

- I quartieri spagnoli per loro conformazione urbanistica risultano facilmente individuabili e perimetrabili, essendo sorti per volere di don Pedro di Toledo con uno schema regolare, di tipo “ippodameo” rigidamente disposto e man mano ampliato seguendo l’orografia del territorio; ciò consente la definizione di un’area campione per uno studio tipo;

- Tutt’oggi all’interno dei quartieri, la composizione sociale presente e la strettissima relazione che gli abitanti hanno con la strada, sono dati estremamente sensibili; il sistema di comunità è ancora molto radicato e con esso la vitalità delle tradizioni e delle pratiche cultuali;

- La presenza di associazioni sociali di rilievo nei quartieri consentirà di entrare in contatto con i residenti e il territorio in maniera più profonda, facilitando l’interazione necessaria alla ricerca e l’iniziale individuazione di persone disponibili alla condivisione di esperienze significative per il progetto;

La scelta di concentrare l’attenzione su un singolo spazio urbano vuole essere un banco di prova al fine di poter estendere, successivamente, la tutela all’intero centro storico della città di Napoli. L’eventuale apposizione di vincolo sarà subordinata al riconoscimento di un interesse culturale storico-artistico e/o demoetnoantropologico verificato attraverso un’indagine conoscitiva volta all’individuazione, documentazione e studio di tutte le edicole votive presenti e degli orizzonti di senso a cui esse si connettono. L’attribuzione di uno specifico valore simbolico, collettivamente riconosciuto, costruito attraverso la condensazione di valori ed elementi che consentono di negoziare e rifondare costantemente i criteri a cui ancorare la definizione della propria identità, sostiene l’attivazione del processo che permette la metamorfosi da “cosa” a patrimonio culturale, sia del simulacro che degli elementi immateriali che attorno ad esso si concentrano. Pertanto, obiettivo non secondario della ricerca sarà quello di tentare di strutturare processi di tutela partecipata delle edicole da parte di gruppi o singoli che le riconoscano come nodi significanti nella loro esperienza.

Le edicole votive napoletane – breve excursus

La frequenza, la dislocazione, l’iconografia e la collocazione occasionale di ex-voto identificano le edicole votive come elementi di immediata, rilevante evidenza nel processo di tessitura che intreccia la trama urbanistica all’ordito delle vite che la abitano. La densità della loro presenza testimonia come questa possa essere messa in relazione con forme e comportamenti devozionali ampiamente diffusi e tutt’ora vitali, come testimonierebbero le moderne coperture in alluminio a protezione delle immagini e la presenza costantemente rinnovata di offerte devozionali. Considerate spesso una forma d’arte minore, “povera”, in virtù della loro qualità formale o della realizzazione ad opera di anonimi artisti locali, i simulacri urbani presentano invece una grande vivacità sotto il profilo della varietà morfologica, sia architettonica che iconografica, in chiara relazione alle epoche di realizzazione, alla specifica dedizione del devoto (singolo o gruppo) e alle sue possibilità economiche.

L’edicola votiva napoletana allaccia le sue radici nei più antichi tabernacoli romani e in particolare nella devozione ai propri cari, i lares protettori della casa, divinità familiari ai quali implorare protezione e prosperità.

Ogni domus aveva predisposto il suo altarino, o meglio la sua nicchia in muratura o larario all’interno della quale il nume tutelare della casa veniva rappresentato in una statuetta di un giovane in fresche tuniche. I lares familiares avevano il compito di proteggere la famiglia ed essere buoni auguri di prosperità. Dinanzi a loro venivano offerti cibi e bevande. Offerte oggi più comunemente declinate in fiori, piante e luce.

Questa tipica devozione intimista, tutta chiusa all’interno delle domus, si traslittera nella città di Napoli in una esteriorizzazione del culto, laddove le divinità private si mescolano al culto collettivo. Non è un caso che nella sua etimologia la parola edicola voglia richiamare il tema della aedes, casa, o anche del tempio, una dualità che porta sullo stesso piano il collettivo e il privato, la fede pubblica e il culto personale. Questo parallelismo si traduce oggigiorno in una sovrapposizione materica dove, all’edicola votiva rappresentante il santo o la Madonna o il Cristo, si accavallano immagini dei propri cari defunti, a protezione, intermediari tra il mondo altro e noi.

Nella letteratura sul tema la committenza delle edicole viene messa in relazione con tre funzioni prevalenti ed ampiamente documentate dagli studi. Esse potevano essere edificate come frutto di un voto (simulacri dove è possibile rinvenire l’anno di costruzione, il nome del devoto e cenni utili a ricostruire la vicenda); necessità di assicurarsi protezione (sulla propria casa o in luoghi percepiti come forieri di rischio); e infine raro, ma pur presente, è quello che Natella (1969) definisce come motivo gnomico, ovvero la divulgazione di messaggi attraverso l’uso pedagogico delle immagini. In questi casi, al posto dell’icona del Santo si trovano rappresentate scene che utilizzano tòpoi e figure ricorrenti - e per questo da tutti riconoscibili - che trascendono la sola funzione decorativa, permettendo di veicolare i complessi messaggi della teologia cristiana attraverso un linguaggio immediato ed universalmente comprensibile.

Un forte impulso alla diffusione delle edicole votive nella città di Napoli viene individuato nella prima metà del XVIII sec., quando Padre Gregorio Maria Rocco, carismatico dominicano molto vicino a Carlo III di Borbone, ebbe l’intuizione di utilizzarle anche come fonte di illuminazione stradale.

All’epoca le strade di Napoli pullulavano di malviventi che approfittando dell’oscurità dei vicoli tendevano una lenza per far cadere il povero malcapitato, tant’è che ancora è in uso a nella città il detto “e che te cride ca’ vaco a mettere ‘a fune ‘a notte” (cosa pensi? Che vado a tendere una corda nell’oscurità per rubare? In poche parole: Cosa credi che sia un ladro?).

Lampade e ceri accesi davanti ai tabernacoli, infatti, a differenza dei lampioni costantemente vandalizzati da ladri e malviventi, erano preservati dalla distruzione in virtù del loro valore simbolico e del timore devozionale. Padre Rocco ne affidò la gestione direttamente agli abitanti, nella convinzione che la religiosità popolare ne avrebbe garantito cura e funzionalità nel tempo, meglio di un obbligo discendente da un regolamento civico. Alla protezione materiale offerta dalla luce, va aggiunta quella di ordine simbolico attribuita dalle culture tradizionali ai punti critici dello spazio abitato - come ad esempio gli incroci - che a causa della pluridirezionalità proposta, suggerirebbero la possibilità di smarrimento della presenza senza una guida di riferimento. Tanto forte e sentito era il riferimento a scopo protettivo che è proprio a questo periodo che viene ricondotta la genesi del detto augurale “‘a Maronna t’accumpagna” (che la Madonna ti accompagni, ti sorvegli, ti protegga). Così nella scena urbana napoletana le edicole votive hanno assunto un ruolo primario, moltiplicandosi a vista d’occhio e diventando presidio di sicurezza e icona di fede.

Sulla topografia della città e dei quartieri, le edicole disegnano mappe parallele, itinerari di senso scanditi da tappe che spesso sono inserite all’interno di percorsi processionali e che sul luogo rimangono come amplificatori e dilatatori temporali del messaggio divino. Meta di rogazioni, punti di riferimento culturale della toponomastica locale, consentono di individuare viabilità storiche scomparse, rivelandosi elementi fondamentali per comprendere appieno lo sviluppo urbanistico e sociale del territorio.

Il culto dell’edicola, si coniuga con quello per i morti, ossia le anime purganti cosicché ogni casa, ogni vascio, ogni aggregato umano e solidale, ha eretto il proprio tempio, la propria icona, strettamente connessa ai culti più sentiti nelle strade di Napoli: Sant’Anna, San Gennaro, San Lazzaro, Sant’Antonio e tutta la declinazione delle immagini dedicate a Maria e alla sua maternità.

Nelle vicissitudini quotidiane, ciò che è sedimento di questo culto è la relazione tra l’immagine e l’ex voto, la grazia ricevuta. Il cibo e le bevande si sono trasformate in luce e piante, e spesso l’offerta di ringraziamento si è tradotta in riedificazione degli stessi tabernacoli o nella fondazione di nuovi.

Non di rado alcuni di questi vennero eretti a seguito di eventi catastrofici o scampati pericoli. Si ricordano in questo senso i bellissimi affreschi sulle porte di Napoli, di cui ormai sopravvive solo quello presso Porta San Gennaro, di Mattia Preti realizzati tra il 1657 e 1659 quali ex voto per la fine della peste. O ancora le due edicole presenti presso il Ponte della Maddalena, l’una dedicata a San Gennaro nell’atto di stendere il braccio per fermare la lava dell’eruzione del Vesuvio del 1767, e l’altra dedicata a San Giovanni Nepomuceno, protettore dalle alluvioni e dagli annegamenti.

Stilisticamente le edicole subiscono un’ampia evoluzione, in quanto partendo da caratteri propri della fine del settecento evolvono con stilemi più classici nell’ottocento e ancora sovrappongono elementi contemporanei di rimaneggiamenti e finiture.

Molto spesso si tratta di nicchie ricavate nelle murature o di vere e proprie edicole dall’aspetto molto complesso e monumentale, templi con colonne e timpani poliformati nel cui centro campeggia l’effige del santo o della santa.

Molto spesso al di sotto del tempietto viene apposta una lapide marmorea sulla quale vi è la dedica del popolo con la notazione dell’anno di fondazione, ancora più in basso, l’edicola si allunga con la creazione, di epoca contemporanea, di una base ove deporre ex voto, piante e immagini.

Oltre al tipico tabernacolo, meno frequenti, ma molto interessanti, sono la presenza di croci votive, nei quartieri se ne ricorda una notevole in vico Croce a Cariati eretta in occasione dell’epidemia di colera del 1836 che campeggia simbolicamente sul ciglio delle scalinate omonime creando uno scenario suggestivo, rappresenta uno dei pochi esempi di croci dipinte presenti in centro storico.

Ovunque presenti, si può a ragione, evidenziare come la loro presenza e il loro culto siano anche oggigiorno sentiti e vitali.

Obiettivi

Obiettivo del progetto è quello di avviare una programmata azione di tutela e valorizzazione delle edicole votive attraverso lo studio delle testimonianze ad oggi presenti nel territorio indicato. La proposta di vincolo dipenderà dalla verifica della presenza di un interesse storico-artistico, demoetnoantropologico o di entrambi, come si intende verificare. Poiché la maggioranza di queste risulta realizzata in seguito alle ondate di colera del 1884 – 1886, mentre altre sono state ricostituite tra il 1943-47 per grazia ricevuta in chiara relazione alle vicende della seconda guerra mondiale, si cercherà di indagare la possibile persistenza della loro funzione attraverso nuove attribuzioni di senso rispondenti alle necessità dettate dalla contemporaneità, come l’analisi di un possibile esistente riferimento alle edicole votive nella loro funzione protettiva contro la diffusione di epidemie, verificando anche se sia attualmente presente una effervescenza di tale riferimento in relazione alla diffusione del Covid-19.

Metodologia

La ricerca farà riferimento alla definizione della perimetrazione campione dei Quartieri Spagnoli, largamente intesi estendendo la ricerca anche all’area della cosiddetta Pignasecca, sino al corso Vittorio Emanuele, mentre ad est considerando il limite di via San Mattia.

Attraverso lo studio della dislocazione delle edicole sul territorio, dell’analisi iconografica, delle tecniche costruttive, dello spoglio di fonti storiche e documentali e per mezzo della conduzione di un’indagine etnografica, si tenterà di ricostruire il valore della loro funzione nella vita dei Quartieri Spagnoli e dei gruppi/individui che ad esse fanno riferimento, in prospettiva sia diacronica che sincronica, tentando di individuare la loro attuale, ove presente, qualità di “espressione di identità culturale collettiva” attraverso la documentazione delle eventuali pratiche devozionali ancora in atto. Si condurrà una catalogazione delle differenti tipologie di simulacri presenti sul territorio, lo studio delle motivazioni di apposizione, nonché un’analisi delle tipologie iconografiche in relazione alla toponomastica o alla presenza di cappelle e chiese sul territorio.

Tra gli elementi ritenuti importanti per il rilevamento, attenzione sarà data alle caratteristiche immateriali – espressive, rituali - legate al culto ed alla cura di tali simulacri; le eventuali forme di mutamento e reinvenzione delle pratiche ad essi connessi, elementi che ne permettono un riadattamento dinamico pur rimanendo stabili le necessità a cui rimandano.

Team di ricerca

Progetto della SABAP del Comune di Napoli – arch. Claudia Cusano (Funzionario Architetto) e dott.ssa Valentina Santonico (Funzionario demoetnoantropologo).

Referenze Bibliografiche

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- ROMANO F. (1997), Madonne che piangono. Visioni e miracoli di fine millennio, Meltemi, Roma.

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