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Largo Perestrello, 2019 (Ph. Daniele Quadraccia) Largo Perestrello, 2019 (Ph. Daniele Quadraccia)

#LACULTURANONSIFERMA. #ITALIADALLEMOLTECULTURE. Il progetto di ricerca Co-Heritage: Sport e spazi pubblici

Presentiamo oggi alcuni spunti di riflessione di una più ampia ricerca etnografica legata al progetto Co.Heritage dell'Ecomuseo Casilino Ad Duas Lauros. La ricerca è coordinata da Alessandra Broccolini e realizzata da Flavio Lorenzoni, Daniele Quadraccia e Cristina Pantellaro. Oggi parliamo di uno dei temi: pratiche sportive e spazio sociale e Torpignattara. 

 

CRICKET, COMUNITÀ E SPAZI PUBBLICI.

di Flavio Lorenzoni

Il progetto Co.Heritage, nell’ambito del programma “Italia dalle molte culture” è finalizzato all’individuazione del patrimonio culturale condiviso dalle comunità italiane e migranti. In questo caso la nozione di “patrimonio” è intesa come strumento in grado di valorizzare la diversità culturale, di promuovere il dialogo interculturale e di essere volano per nuovi modelli di sviluppo e di governance.

Co.Heritage parte dal presupposto che tutte le comunità che vivono un dato territorio abbiano il diritto di compiere attività di sviluppo, tutela, salvaguardia e promozione del proprio patrimonio culturale. A tal fine vengono proposte una serie di iniziative e di azioni capaci di accompagnare le comunità a scoprire, studiare e raccontare il territorio che vivono. Si pongono in questo modo le basi affinché le comunità di origine straniera possano essere i soggetti delle narrazioni collettive proposte anziché gli oggetti.
L’approccio utilizzato è multidisciplinare, in modo da favorire approcci, spunti di riflessione e prospettive diverse su sul tema proposto.
Il progetto è stato promosso dall’Associazione Ecomuseo Casilino Ad Duas Lauros, un ente territoriale che opera nel quartiere di Torpignattara e in generale nella Periferia Est di Roma. Nasce circa dieci anni fa come espressione della volontà di diverse comunità locali di promuovere, salvaguardare, valorizzare il patrimonio culturale del quartiere, tramite la costruzione dell’Ecomuseo urbano da lei gestito. L’Ecomuseo coniuga un denso lavoro sul campo, a stretto contatto con le comunità tra attività nel quartiere, laboratori e visite guidate ad un costante sguardo al mondo della ricerca, della progettazione. Oggi l’Ecomuseo è un’istituzione nel quartiere la cui importanza è stata riconosciuta, dalla Regione Lazio tramite la Determinazione della Direzione Cultura e Politiche Giovanili n.G13389 del 07/10/19 con la quale l’Ecomuseo Casilino ad Duas Lauros è stato inserito nell’elenco degli Ecomusei di interesse regionale.
Ma in quale contesto opera l’Ecomuseo e in cosa consiste effettivamente il progetto?
La periferia Est di Roma, con particolare riferimento al quartiere di Torpignattara, è luogo particolarmente denso di comunità migranti, principalmente dall’Asia. Le comunità hanno modificato il lifestyle e l’estetica stessa del quartiere, trasformandolo e contribuendo a creare un’atmosfera multietnica e cangiante difficilmente riscontrabile in altri quartieri della città.
In questo contesto l’ecomuseo si è occupato di creare gruppi di lavoro interdisciplinari composti da ricercatori e ricercatrici capaci di operare sul territorio con i mezzi e le competenze acquisite e di fornire sguardi ed approcci diversi al contesto.
Il gruppo di ricerca del quale faccio parte si propone lo scopo di individuare gli spazi, le pratiche e le politiche con le quali le comunità migranti – principalmente la loro componente maschile – impiegano il proprio tempo libero, ponendo particolare attenzione alle pratiche sportive e ludico-ricreative.
L’idea soggiacente è quella di pensare gli spazi pubblici, generalmente considerati come interstiziali, marginali, altri rispetto agli spazi quotidiani, come centrali, fulcro di pratiche che solo parzialmente hanno a che fare con la dimensione ludica di chi li abita, diventando invece fulcro per le dinamiche di socializzazione.

Il periodo di ricerca sul campo è stato da maggio a settembre del 2019 all’incirca. Le attività ludico-ricreative nei parchi e nelle aree pubbliche sono infatti soggette alla stagionalità e al clima. La ricerca si è concentrata su un gruppo di giocatori di cricket che si riunisce all’interno del Parco Archeologico di Centocelle una volta a settimana. Tanto il contesto quanto il soggetto della ricerca presentano delle caratteristiche interessanti che è bene notare.

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Partendo dal contesto, il Parco Archeologico di Centocelle è grande parco pubblico che delimita a Sud-Est la zona di Torpignattara. Si tratta di un luogo denso, marginale, conflittuale. Diversi sono gli interessi in gioco stratificati nell’attuale conformazione del parco e nel suo ruolo sociale. Il progetto comprendeva un’area molto più vasta di quella che attualmente è aperta al pubblico. La definizione di parco “archeologico” è dovuta al fatto che al suo interno sono presenti tre siti archeologici di altrettante ville romane. Nessuno dei tre scavi è ancora iniziato.
Una parte dello spazio del parco è stata in passato proprietà dell’aereonautica militare per via della presenza l’aeroporto militare Francesco Baracca, la cui pista di atterraggio adesso è dismessa e risignificata da chi quotidianamente vive il parco.
Una questione controversa per l’area è quella che riguarda il confine sudorientale del parco dove sono nate numerose attività di sfasciacarrozze tutte lungo la via Palmiro Togliatti che con il tempo hanno eroso il territorio pubblico del parco. La porzione di parco immediatamente retrostante queste attività è inoltre stata oggetto di interramento di rifiuti. Ancora oggi si attende l’inizio dell’attività di bonifica, diventata burocraticamente indispensabile per ultimare la creazione del parco e cominciare gli scavi archeologici.
Anche l’area attualmente aperta al pubblico è essa stessa un nodo di significati attribuiti dalle diverse comunità, gruppi di persone o singoli individui che utilizzano il parco. Attori sociali che non rimangono a sé stanti ma interagiscono tra di loro proprio nel territorio pubblico del parco, dissolvendosi nella sua fluidità. Anziani, studenti, coppie, giovani famiglie, sportivi, dog-sitter, giocatori amatoriali di calcio e cricket, comitive di giovani, gite organizzate rivestono il parco di significati diversi. Così la pista d’atterraggio diventa pista da skateboard, pista di gare di bicicletta, campo da gioco.
L’area che ha fatto da sfondo immobile per il periodo di ricerca è campo da cricket per i miei interlocutori, ma diventa all’occorrenza campo da calcetto, slargo ideale per lasciar correre i cani o per fare un barbecue.
Questo luogo diventa, tra le altre cose, un luogo di festa che più volte ha accolto il Capodanno bangladese. Gli attori sociali mantengono la loro autonomia nel rivestire questo luogo di senso ma entrano in contatto tra di loro, e capita che l’uomo seduto sulla panchina abbassi il giornale per osservare una partita di cricket. Che i giocatori stessi si trovino a inseguire un cane esuberante che ha deciso di partecipare al gioco rubando la loro palla, che il proprietario del cane finisca per abbozzare qualche battuta con i ragazzi, che il profumo dei barbecue attiri non solo gli invitati, e così via. Parco Centocelle diventa un cosmo di interessi e di senso a sé stante rispetto al contesto.
Ma veniamo al soggetto della ricerca. Questo gruppo di giocatori è composto da circa una ventina di ragazzi (il numero non è mai rimasto fisso durante la ricerca sul campo) di età media variabile tra i 10 e i 35 anni. È un gruppo che per la maggior parte tende ad essere composto più o meno dalle stesse persone, mantenendo comunque una percentuale piccola di persone di volta in volta diverse.
Un dato anagrafico così vasto mi è sembrato significativo, soprattutto perché, tolti i due-tre elementi più giovani, anche a ragazzi di 11-12 anni viene consentito di giocare con i “grandi”.

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Il gruppo inoltre, a differenza di altri gruppi di giocatori coinvolti nella ricerca, si presenta anche molto variegato se osservato dal punto di vista dei paesi d’origine. Questo è un dato che mi ha fatto riflettere, soprattutto se si pensa che è composto da immigrati di prima generazione arrivati in Italia da un lasso di tempo variabile tra 1 mese e 4-5 anni. La ricerca fino al punto in cui mi sono insediato aveva individuato gruppi di gioco composti da persone provenienti tendenzialmente dallo stesso paese d’origine, che si scontravano in tornei o semplici partite con gruppi di persone provenienti da altre nazioni. Questo caso invece si è dimostrato sui generis. La provenienza maggioritaria è dal Pakistan, ma si riscontra un’elevata provenienza anche dal Bangladesh e, in misura sempre minore, dall’Afghanistan, dall’India e infine dall’Iraq.

Un gruppo di ragazzi intenti a giocare a cricket in un parco d’estate ci spinge riflettere, a porci delle domande, a mettere in discussione alcuni concetti. Cosa lega persone che non fanno parte della stessa comunità migrante a vedersi in maniera così assidua per condividere del tempo insieme? Cosa viene messo davvero in gioco durante le partite di cricket che vengono disputate? Che rapporto esiste tra il gruppo di giocatori, il contesto nel quale si svolge la pratica, e la pratica sportiva stessa? In che modo, da quali pratiche comunitarie e del sé è regolamentata la partita? Quale rapporto sussiste tra i giocatori, i propri oggetti e il terreno di gioco?

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Un altro elemento interessante emerso dalle interviste svolte a margine delle partite è il fatto che nonostante loro come gruppo si incontrassero sempre lo stesso giorno alla stessa ora nello tesso posto, quello non fosse l’unico momento in cui giocavano a cricket durante la settimana. Tutt’altro. La maggior parte di loro, compatibilmente con gli impegni lavorativi e di studio, giocava a questo sport appena possibile, investendo in questa attività una gran parte del proprio tempo libero, solo che non lo faceva con quel gruppo di persone, non in quell’orario e non in quel posto. È emerso infatti come il Parco Archeologico di Centocelle possa essere infatti considerato come un singolo nodo facente parte di una rete più ampia che coinvolge la maggior parte delle grandi aree verdi della città. Questa rete di luoghi ma soprattutto di legami sociali si configura a sua volta come una vera e propria rete di accoglienza per i migranti che si trovano a Roma, che sia per loro la tappa finale del viaggio o solo una tappa del così detto “corridoio per Londra” o per altrove. Insomma, una rete sociale innervata negli spazi interstiziali e spesso considerati marginali, che consente ai membri delle comunità migranti di condividere esperienze reciprocamente durante lo svolgimento di una pratica ludica.

 

FUORICAMPO. PRATICHE SPORTIVE NEGLI SPAZI PUBBLICI A TORPIGNATTARA

di Daniele Quadraccia

Pieni/vuoti

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Largo Perestrello, 2019 (Ph. Daniele Quadraccia)

La ricerca che vorrei presentare prende le mosse all’interno del progetto Co.Heritage (promosso dall’Ecomuseo Casilino Ad Duos Lauros) e ha avuto lo scopo di individuare, attraverso i metodi dell’indagine etnografica, pratiche, forme, spazi che riguardano le attività sportive e ludico-ricreative che si espletano negli spazi pubblici di Torpignattara e aree limitrofe, con particolare riferimento alle comunità migranti molto presenti nell’area. Un universo di pratiche multiformi che si snodano tra piazze, parchi, rovine archeologiche, slarghi e piccoli spazi vuoti lasciati da palazzi e automobili: il paesaggio urbano che diventa teatro ora di improvvisate partite, ora di veri e propri tornei. Luoghi non marginali o interstiziali, dunque, ma punti di incontro centrali per le comunità che li vivono. Arene ludico-sociali dove a essere messi in gioco sono valori comunitari, strategie di socializzazione, forme identitarie di appartenenza transnazionale. Tra gli sport più praticati sono quelli di squadra che maggiormente hanno suscitato l’interesse della nostra ricerca: soprattutto cricket, poi calcio, ma anche badminton e pallavolo.
Il contesto in cui si inserisce la ricerca è, dunque, ibrido e mutevole: le pratiche sportive hanno il più delle volte il carattere di informalità e avvengono con una frequenza instabile, per lo più dettata dall’estemporaneità. Ci si aggrega dandosi appuntamento telefonico o tramite i Social. C’è chi partecipa con una divisa di gioco, chi in tuta o calzoncini, chi in abiti non consoni all’attività sportiva limitando la sua presenza all’incontro amicale o a poche e limitate azioni. Altri fattori determinanti ai fini dell’incontro sono il tempo e le condizioni del campo: si gioca quasi esclusivamente nella stagione buona, soprattutto la domenica pomeriggio, se c’è spazio libero a sufficienza e se l’erba non è troppo alta. Oltre a questo non sono da trascurare gli impegni dei singoli membri: il lavoro, le attività in famiglia e all’interno delle comunità.
La scelta di uno spazio di gioco pubblico e condiviso è una delle forme di appaesamento e di rivendicazione spaziale che le comunità mettono in atto all’interno dei contesti urbani di approdo. A differenza dello sport praticato nei campi da gioco ufficiali e nelle palestre, che spesso si pone come alternativo e differenziato rispetto alle altre attività quotidiane e settimanali (si paga una quota, si acquistano abiti e strumentazioni ad hoc, si accede in spazi riservati e adibiti al solamente a quell’attività) e si espleta in uno spazio “altro”, lo sport praticato negli spazi pubblici dai membri delle comunità migranti è inclusivo, contiguo e parallelo alle altre attività comunitarie. Ci si va tutti insieme, partendo dalla moschea o dalla sede associativa di riferimento. Si può giocare a margine di un incontro, oppure ci si incontra per prendere importanti decisioni per la comunità appositamente nel giorno preposto al gioco. Delle volte, tuttavia, l’utilizzo del parco per giocare e allenarsi non è una scelta ma una necessità dettata dalla difficoltà ad accedere agli spazi privati, come campi sportivi e palestre, che hanno un costo troppo elevato. In questo caso gli spazzi pubblici possono essere considerati dai giocatori come luogo di marginalizzazione e stigmatizzazione. Visibilità e invisibilità, dunque, si compenetrano all’interno di uno scenario metropolitano dove ad essere “messa in gioco” è l’intera vita sociale dei gruppi sportivi. È proprio questo contesto multiforme formato dalle comunità, la loro permeabilità con l’esterno e il loro agire negli spazi pubblici che la ricerca ha trovato la sua cornice interpretativa ed ermeneutica.
Entrando un po’ più nel dettaglio, sono state seguite tre comunità di giocatori all’interno di quelli che sono i luoghi del quartiere più interessati dal gioco: una squadra afghana di cricket che si allena e gioca prevalentemente al Parco Archeologico di Centocelle, un gruppo di giovani ragazzi che passa il tempo tra il cricket e il calcio presso Villa De Sanctis, e una squadra di calcio formatasi per giocare il Torneo Bangla.

 

Piccole patrie, piccole nazionali: sport e identità in una squadra afghana di cricket

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Parco di Centocelle, 2018 (Ph. Daniele Quadraccia)

Il gruppo di giocatori afghani che mi ha accolto durante gli allenamenti si incontra soprattutto al Parco di Centocelle. Quella afghana è una comunità che vive sparsa in varie zone di Roma ma che comunque vede in Torpignattara il suo perno, sia per la Moschea di via Serbelloni che per la sede dell’associazione “Comunità Afghana in Italia”, di cui Jamali, il ragazzo con cui ho interagito di più nel corso degli incontri, è vicepresidente. I suoi membri sanno tutti giocare a cricket, considerato sport nazionale seppur di più recente sviluppo rispetto ad altri paesi come Bangladesh e India. Giocare con la maglia della propria nazionale rappresenta, dunque, per Jamali e per i suoi compagni un’importante forma identitaria volta al consolidamento di una prossimità con la Madrepatria. Nei giocatori afghani che la indossano crea orgoglio e senso di appartenenza. È per questo che il suo gruppo di amici, insieme ad altre comunità, ha creato una sorta di piccola coppa del mondo romana (e non solo) a cui partecipano squadre di varie nazioni del Commonwealth: Bangladesh, Sri Lanka, India, Pakistan, Inghilterra e anche Italia. È un torneo molto sentito dai membri delle varie nazionali e occupa un importante spazio nella pianificazione dei momenti ludico-ricreativi dei partecipanti, che si sobbarcano tutta la (non facile) organizzazione: «Quando stavamo a Colli Aniene l'anno scorso, a dicembre, abbiamo giocato tantissimo e ci siamo divertiti tantissimo. Ho giocato anche io: ogni tanto gioco con i ragazzi della squadra, perché ho mal di schiena, diciamo, e non riesco a farlo, anche per colpa del lavoro. Però organizzo. E quella l'avevo organizzata io» (Jamali).

 

Sport e Spazio pubblico: un confronto col Bangladesh

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Villa De Sanctis, 2019 (Ph. Daniele Quadraccia)

Hossain è un ragazzo bengalese di venti anni arrivato a Roma quando ne aveva sei. Nel 2012 è ritornato per 4 anni in Bangladesh per approfondire lo studio dell’Islam e di traduttore del Corano. È tornato in Italia da pochi mesi e ora si divide tra la famiglia e la moschea di Via Capua, dove continua la sua formazione e aiuta soprattutto con i più piccoli. Spesso li porta a giocare al parco di Villa De Sanctis, soprattutto d’estate quando non c’è la scuola. Al contrario dell’Italia, mi dice, in Bangladesh praticamente non esiste il calcio. Lo sport più praticato è senza dubbio il cricket, a cui si inizia a giocare da piccolissimi. Si pratica più o meno a tutte le età, dai più giovani agli adulti. In Bangladesh non c’è un concetto di spazio e parco pubblico come qui in Italia, dove si può andare a correre, sedersi, camminare e giocare. Perciò si gioca in strada, ovunque ci sia uno spazio vuoto, o di sera, quando le persone sono a casa: «La gente sta tutto il giorno al lavoro e non trovi mezzo metro quadro di spazio per mettere piede. Però in alcune parti ci stanno delle campagne, oppure un posto vicino al lago o a un fiume, perché il Bangladesh è tutto pieno di fiumi. In alcune parti i ragazzi fanno un campo piccolo, portano il filo della corrente e giocano da quelle parti».

 

Golden Night Team: la costruzione di una squadra di calcio

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Torpignattara, 2018 (Ph. Daniele Quadraccia)

I legami di amicizie e di conoscenze sono il substrato fondativo delle costellazioni di gruppi sportivi e di squadre informali che continuamente si aggregano e disgregano all’interno dei quartieri. Spesso sono formate da giovani o giovanissimi e non hanno una struttura pienamente organizzata, ma rappresentano i nuclei embrionali di potenziali squadre e associazioni, che talvolta vedono la luce, altre volte si sciolgono disperdendosi o confluendo altrove. È un panorama fluido e disomogeneo, difficile da rintracciare e seguire nella sua processualità se non in due momenti precisi: gli allenamenti e le partite. I primi nella maggior parte delle volte si espletano proprio nei parchi o nelle piazze, ovunque ci sia spazio a sufficienza; mentre le seconde possono essere giocate in contesti pubblici o privati, a seconda del grado di formalità della competizione.
La costituzione di una squadra costituisce un momento delicato per i giovani ragazzi. Oltre all’aspetto sportivo vengono messi in gioco valori e legami, strategie e tattiche di aggregazione e di convincimento, delusioni, momenti altalenanti di profonda condivisione e senso di tradimento. La squadra è il luogo privilegiato per costruire e rinsaldare amicizie, per sentirsi protetti e allo sesso tempo forti da poter competere con altre. Roman, tra i fondatori della Golden Night Team (che ha militato nel torneo ufficiale Bangla di calcio a 8 che si è giocato tra novembre e dicembre del 2018) mi ha raccontato la travagliata gestazione della squadra, inserendola all’interno della sua biografia e dei rapporti con i suoi amici: «Hanno abbandonato due/tre di loro, hanno detto "Guardate ragazzi, io da domani non gioco più con voi, gioco con un'altra squadra". "Ah come, loro erano i nostri rivali e ora tu giochi con loro? Scusa, tu non perdi solo la squadra, tu perdi anche l'amicizia. Pensaci, io ti do tempo, una settimana, due settimane. I ragazzi di Torpigna, guarda, nessuno ti darà il valore che tu avevi prima". Ho cercato di spiegare, ma non hanno ascoltato. "Vabbè allora se tu vieni noi ti salutiamo con un ciao come stai e basta, non ti aspettare altro"».

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