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Articoli filtrati per data: Dicembre 2013

Le parole chiave del Patrimonio Im-materiale: FOLKLORE

Per la rubrica "Le parole chiave del Patrimonio Im-materiale" (a cura del Servizio VI DG-ABAP e ICPI), il prof. Pietro Clemente (antropologo culturale, già Università degli Studi di Firenze) ci parla della parola "FOLKLORE".

 

Blibliografia:

 

  • Cirese A. M. 1973, Cultura egemonica e culture subalterne, Palumbo, Palermo.
  • Clemente P., Mugnaini F., 2001, Oltre il folklore. Tradizioni popolari e antropologia nella società contemporanea, Carocci, Roma.
  • Clemente P., 2014, Le culture popolari e l’impatto con le regioni, in M. Salvati, L. Sciolla (a cura di) “L’Italia e le sue regioni”, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana Treccani, 2014 volume 3° “La cultura”.
  • Corso R., 1932 Folklore in “Enciclopedia ItalianaTreccani” http://www.treccani.it/enciclopedia/folklore_%28Enciclopedia-Italiana%29/
  • Dundees A., 1994, Folklore in “Enciclopedia delle Scienze Sociali Treccani”. http://www.treccani.it/enciclopedia/folklore_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/
  • Sanga G. (a cura di), 1980, La cultura popolare. Questioni teoriche, in La ricerca folklorica, vol.1, pp. 1-81, Grafo, Brescia.
  • Folclore in “Vocabolario Treccani”

 

http://www.treccani.it/vocabolario/folclore/

  • “Lares: bullettino della società di etnografia italiana”, vol. 1, Fascicolo 1, 1912, Ermanno Loescher & C., Roma

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LUCIGRAFIE: l'arte è il patrimonio immateriale a Gubbio

Quando il patrimonio immateriale incontra la creatività artistica, i colori e i suoni si fondono in forme nuove e inaspettate.
Accade così che sulla bianca pietra di un palazzo medievale il flusso dei ricordi riesca a dare vita al racconto senza tempo di una delle più travolgenti feste italiane: la Corsa dei Ceri, dipinta con la luce sulla facciata del Palazzo dei Consoli a Gubbio, nel corso del progetto sperimentale Lucigrafie avviato lo scorso 28 maggio dall'Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale.
Gli scatti di Roberto Galasso, con l'occhio esperto e appassionato di svariati decenni di impegno nella fotografia di architettura e d'arte contemporanea, hanno colto ogni sfumatura dell'immenso affresco virtuale.

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#VISIONIDAITERRITORI Il progetto di Salvaguardia del Corteo Storico della Repubblica Fiorentina e del Calcio Storico

La rubrica "Visioni dai Territori" ci porta a Firenze, per presentarci un progetto a carattere interdisciplinare e partecipativo, volto alla tutela e valorizzazione del Corteo Storico della Repubblica Fiorentina e del Calcio Storico Fiorentino. 
Il progetto, finanziato dall'Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale tramite il Fondo "Rievocazioni Storiche" assegnato dalla DG Spettacolo, è raccontato nel video che segue attraverso la voce di alcuni dei suoi partecipanti: il Servizio VI della DG ABAP e la Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato del MiBACT, il Corteo Storico della Repubblica Fiorentina e del Calcio Storico Fiorentino, il Dipartimento SAGAS dell'Università degli Studi di Firenze, l'antropologo culturale incaricato dell'indagine etnografica.
Si ringraziano per la partecipazione al progetto il Servizio Eventi, Manifestazioni Cittadine e Cerimoniale del Comune di Firenze, Direzione Ufficio del Sindaco; il gruppo di lavoro sulle Rievocazioni Storiche del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell'Università degli Studi di Pisa; le catalogatrici incaricate dalla Soprintendenza ABAP di Firenze, Pistoia e Prato; l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del MiBACT; il Centro Studi e Documentazione del Calcio Storico Fiorentino; i protagonisti del Corteo Storico della Repubblica Fiorentina e del Calcio Storico Fiorentino. 

 

 

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#LACULTURANONSIFERMA. #Visionidaiterritori: Il Palio di Legnano

A cura di Loris Bendotti - Funzionario demoetnoantropologo, Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Milano

 

Le rievocazioni storiche sono un fenomeno diffuso su tutto il territorio nazionale e sono una parte importante del nostro patrimonio culturale. Queste feste nascono dalle comunità e vivono nelle comunità, e solo grazie ad esse possono mantenersi vitali di edizione in edizione.

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Il 2 giugno 2020 avrebbe dovuto svolgersi il Palio di Legnano, l’insieme delle manifestazioni rievocative della Battaglia di Legnano che il 29 maggio del 1176 vide la vittoria dei comuni alleati nella Lega Lombarda sull’esercito imperiale di Federico I detto il Barbarossa.

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Cosa è il Palio ce lo raccontano in questo breve video Alessio Francesco Palmieri-Marinoni (storico del costume e coordinatore scientifico del Palio) e Lucia Miazzo (restauratore e consulente scientifico).

Crediti

Video: © Collegio dei Capitani e delle Contrade, realizzato da Giancarlo De Angeli

Foto Contrade: © Archivio Storico Contrada Legnarello; © Archivio Storico Contrada San Magno; © Selena Chinnici per la Contrada San Martino; © Contrada Sant'Ambrogio; © Associazione Contrada San Domenico; © Contrada La Flora; © Contrada San Bernardino; © Contrada Sant'Erasmo

Foto Sfilata e Foto Storiche: © Palio di Legnano; © Francesco Morello

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#ETNOMUSICOLOGIA: i CANTI DELLA PASSIONE IN SICILIA (A CURA DI GIUSEPPE GIORDANO, ETNOMUSICOLOGO)

Per la rubrica di etnomusicologia a cura di Claudio Rizzoni  (etnomusioclogo, funzionario DEA - MiBACT) Giuseppe Giordano – ricercatore in etnomusicologia presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata ci parla dei canti della passione in Sicilia

I materiali video proposti sono di proprietà di Giuseppe Giordano.

 

 

 

 

I canti della Passione in Sicilia

Lo scenario rituale che presenta tuttora la più estesa e intensa vitalità nel panorama siciliano è certamente costituito dal ciclo pasquale: dalla Quaresima alla Resurrezione. Le azioni che ricorrono in questo periodo, connesso come è noto all’equinozio di primavera, sono spesso il risultato di sincretismi tra canoni cristiano-cattolici e pratiche agrario-propiziatorie pre-cristiane.

I riti della Settimana Santa costituiscono un’occasione privilegiata di autorappresentazione per ciascuna comunità. Sono infatti giorni di intensa partecipazione collettiva che vedono impegnate specialmente le confraternite laicali, ma anche le associazioni e le corporazioni di mestiere. Questi gruppi, insieme alle istituzioni ecclesiastiche, si incaricano di elaborare programmi assai variegati che prevedono principalmente sfarzose processioni di simulacri e azioni drammatiche con personaggi viventi (denominate perlopiù mortori o casazze) che generalmente si pongono in continuità con la liturgia canonica, amplificandola nei contenuti ed elaborandone le forme celebrative.

Dalle rappresentazioni ambientate all’interno delle chiese ai riti che si svolgono nelle piazze o lungo le vie dei centri abitati, gli schemi cerimoniali intrecciano antiche consuetudini con pratiche di più recente introduzione, seguendo un processo di adeguamento e ri-funzionalizzazione.

Fra gli elementi che compongono la scena rituale, la musica e il canto assumono una particolare rilevanza nell’accompagnare i momenti celebrativi connessi alla Passione di Cristo: ritmi di tamburi “a lutto”, marce funebri, suoni di crepitacoli (tròcculi), squilli prolungati di trombe e canti devozionali marcano gli spazi cerimoniali e si pongono a “commento sonoro” del rito. La componente sonora della Settimana Santa trova però la sua più alta espressione nei canti in siciliano o in latino intonati durante le processioni o all’interno delle chiese, in particolar modo il Giovedì e il Venerdì Santo, giorni in cui si intensificano le occasioni rituali perlopiù di carattere paraliturgico.

I canti della Passione – denominati perlopiù lamenti, ladati o parti di la Simana – per tradizione vengono eseguiti da soli uomini (lamentatori) riuniti in gruppi corali (squatri) collegati perlopiù alle confraternite laicali, alle parrocchie o più raramente a corporazioni di mestiere. In questi ultimi anni, tuttavia, è stata rilevata anche qualche presenza femminile all’interno di alcune “squadre” di cantori. Questo interessante fenomeno, oltre a evidenziare un cambiamento di tipo stilistico nell’organizzazione stessa del canto, testimonia indubbiamente la vitalità di queste espressioni musicali e l’esigenza comunitariamente avvertita di non farle declinare, adattandole piuttosto a una concezione contemporanea della società.

In una ristretta area del Palermitano il repertorio dei canti di Passione è esclusivamente caratterizzato dallo stile monodico, sia solistico sia responsoriale, costituendo una specificità areale ben definita anche sotto il profilo storico culturale. Nelle località dove tuttora si rileva la permanenza di questo modello monodico, i canti presentano infatti alcune costanti che interessano sia le strutture poetiche sia gli stili esecutivi così come i contesti rituali entro cui vengono tradizionalmente eseguiti (esecuzioni itineranti notturne). Questi riti musicali, soprattutto nel passato, avevano la specifica funzione di “raccogliere” i membri delle confraternite laicali alle celebrazioni che di norma si svolgevano nelle prime ore del giorno seguente. D’altronde il modello della cosiddetta “chiamata rituale” è attestato per il passato anche per altre celebrazioni festive nella medesima area di riferimento.

In una estesa area dell’isola prevale invece il modello di canto polivocale la cui presenza è tuttavia più intensa nella parte centro-orientale. Questo specifico modo di canto presenta una struttura comune a quella del canto cosiddetto “ad accordo”, dove una voce solista intona per intero il testo verbale e le altre voci (che possono variare da una a quattro) realizzano sequenze accordali soprattutto in prossimità delle cadenze intermedie e finali. La voce principale di solito è detta prima e le altre vengono normalmente denominate secunna, terza, bassu. Talvolta è presente anche una voce acuta, solitamente all’ottava superiore rispetto al basso, di norma chiamata falsittu, sbigghiarinu, supravuci o schìgghia, a seconda delle località. La prima e il falsittu vengono eseguiti da singoli cantori, mentre le altre parti vocali possono essere anche raddoppiate.

Lo studio di questo repertorio musicale ha portato in alcuni casi a individuare rapporti con la tecnica del falsobordone, documentata nella musica scritta già a partire dal XV secolo ma riconducibile a prassi esecutive tradizionali ancora più antiche. Di norma in questo genere di repertorio la struttura musicale risulta fondata su segmenti melodici di senso compiuto che assumono una certa autonomia rispetto alla struttura del testo verbale, e quasi mai il verso musicale coincide con quello testuale. In altri casi i modelli di canto in uso durante la Settimana Santa si pongono in stretto rapporto con gli stili vocali che caratterizzavano soprattutto il mondo contadino o quello di altre categorie di mestiere (per esempio quello degli zolfatari o dei carrettieri).

Il repertorio polivocale accoglie testi verbali sia in siciliano sia in latino, questi ultimi provenienti da fonti liturgiche (inni, sequenze, salmi, versetti evangelici). La presenza di brani in latino farebbe presupporre, per il passato, un impiego degli stessi anche in contesti liturgici “canonici” (così come è ancora oggi osservabile presso alcuni centri siciliani). Fra i testi in latino figurano soprattutto lo Stabat Mater, il Popule meus, il Miserere, il Vexilla regis, l’Ecce lignum crucis. I cantori quasi mai eseguono integralmente il testo in latino, limitandosi di norma a intonare pochi versi iniziali ed eventualmente a ripeterli di volta in volta durante le processioni o nei momenti prestabiliti dalla tradizione locale. Sebbene la maggior parte di essi non comprenda appieno il testo latino (tra l’altro ampiamente modificato nella pronuncia popolare), i cantori riescono tuttavia a coglierne il significato più intimo, il senso più profondo, associando per tradizione ciascun brano a un momento preciso del rituale (l’incontro del Cristo con la Madre, l’arrivo al Calvario, la morte sulla Croce, ecc.).

I canti in siciliano invece hanno un carattere spiccatamente narrativo e sono perlopiù incentrati sul dolore di Maria che va in cerca del figlio condannato a morte. Quasi mai i testi verbali dei canti di Passione in siciliano evocano i sentimenti del Cristo condannato a morte. Ampio e invece l’uso di testi poetici che richiamano le sofferenze della Madre, esplicitate attraverso espressioni fortemente cariche di enfasi e di partecipato dolore.

Il canto tradizionale si pone dunque quale strumento privilegiato di compartecipazione individuale o comunitaria al dolore di Maria per la sorte del figlio condannato a morte. Non a caso le varie rappresentazioni rituali dell’incontro fra Cristo e sua madre (la cosiddetta spartenza), che tuttora si svolgono in città e paesi siciliani soprattutto la mattina del Venerdì Santo, sono sempre marcate dal canto tradizionale delle confraternite o di altri gruppi di cantori del luogo.

È attraverso il canto accorato che la comunità manifesta anzitutto sentimenti di cordoglio a Maria e al contempo abbraccia simbolicamente colui che si avvia alla morte, rinnovando così il legame con il divino e favorendo il rituale processo catartico di rinascita comunitaria che culminerà nella Domenica di Pasqua.

 

 

Esempi video:

 

115%;">Nel video sono contenuti quattro esempi relativi ad altrettante località in cui i riti della Settimana Santa presentano un particolare interesse soprattutto sotto il profilo etnomusicologico:

A Mussomeli, centro in provincia di Caltanissetta, la presenza di cinque nutriti gruppi di cantori che intervengono durante le processioni del Giovedì e del Venerdì Santo evidenzia una spiccata vitalità che investe tanto la dimensione rituale quanto quella musicale. Ciascun gruppo è connesso a una confraternita e nel corso della processione si posiziona dinanzi al fercolo di riferimento, indossando il proprio abito confraternale. In questo paese il repertorio polivocale dei canti di Passione è costituito esclusivamente da brani con testi in latino.

A Riesi, piccolo centro della provincia di Caltanissetta, nella notte fra il Giovedì e il Venerdì Santo il simulacro dell’Addolorata è portato in processione per l’intero paese, fra continui spari di castagnole disposte su strisce di polvere da sparo realizzate su richiesta dei devoti ai bordi delle strade, al passaggio della processione. La polvere da sparo e le esplosioni richiamano la memoria di una comunità di ex minatori che giorno per giorno sfidava la morte nelle miniere di zolfo della zona. Nel simulacro dell’Addolorata che va in cerca del Cristo condannato a morte ciascun riesino rivede l’immagine di una madre che disperata va alla ricerca del figlio dopo una delle tante catastrofi avvenute nelle miniere. Il canto accorato a la surfarara (al modo degli zolfatari) marca il tempo del lutto, accompagnando il simulacro del Cristo morto verso la sepoltura.

A Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, diversi gruppi di cantori, non strettamente legati a confraternite, cantano la Visilla (denominazione locale dell’inno liturgico Vexilla Regis) durante la lunga processione del Venerdì Santo. Ogni gruppo si posiziona dietro ciascuna delle varette (fercoli processionali su cui sono collocati gruppi statuari rappresentanti scene della Passione) sonorizzando gli spazi urbani toccati dalla processione.

A Pietraperzia, paese della Sicilia centrale in provincia di Enna, il canto delle lamintanze fa da sfondo, insieme alla banda musicale, alla solenne processione del Signuri di li fasci (Signore delle fasce), un Crocifisso fissato su un globo all’estremità di un’alta asta in legno (àrbulu) innestata su una macchina processionale portata a spalla dai circa ottanta confrati. Dal Cristo pendono centinaia di lunghi nastri bianchi (fasci) le cui estremità inferiori vengono sorrette dai fedeli, nell’intento di istituire un contatto fisico con il simulacro. Il gruppo dei cantori, in abiti confraternali, si posiziona dinanzi al fercolo processionale, rievocando i momenti della Passione di Cristo per mezzo di versi in siciliano intonati in forma responsoriale fra un solista che espone per intero il testo poetico e il coro che interviene all’unisono nelle cadenze intermedie e conclusive.

Bibliografia

BONANZINGA, Sergio

2002a ‘Suoni e gesti della Pasqua in Sicilia’, Archivio Antropologico Mediterraneo, I/VII, 5-7: 181-190.

2002b (a cura di), Riti della Pasqua in Sicilia, DVD,Università degli Studi di Palermo – Dipartimento di Beni Culturali, Palermo.

BUTTITTA, Antonino

1978 Pasqua in Sicilia, con fotografie di Melo Minnella, Grafindustria, Palermo.

GAROFALO, Girolamo e Elsa GUGGINO

1993 (a cura di), Sicily. Music of the Holy Week, CD, Auvidis-Unesco, D 8210, con libretto allegato.

GIORDANO, Giuseppe

2016 Tradizioni musicali fra liturgia e devozione popolare in Sicilia, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo, con 2 CD allegati.

2018 ‘Il canto della Settimana Santa’, in Rosario Perricone (a cura di), La cultura tradizionale in Sicilia. Forme, generi, valori, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo, pp. 191-209.

GUGGINO, Elsa e Ignazio MACCHIARELLA

1987 (a cura di), La Settimana Santa in Sicilia, disco Albatros VPA 8490, Milano, con libretto allegato.

MACCHIARELLA, Ignazio

1993 I Canti della Settimana Santa in Sicilia, Folkstudio, Palermo.

1995 Il falsobordone fra tradizione orale e scritta, Libreria Musicale Italiana, Lucca.

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#ITALIADALLEMOLTECULTURE. Il progetto di ricerca Co-Heritage: Microcosmi femminili di Torpignattara (per immaginare musei delle piccole cose quotidiane)

di Cristina Pantellaro

Camminare o passeggiare per le strade disordinate, affollate e rumorose di Torpignattara, un quartiere della periferia di Roma, è una esperienza stimolante, soprattutto se a farlo è un’antropologa che ha letto “L’invenzione del quotidiano” di Michel De Certeau e “I passages” di Walter Benjamin e ha appena avviato una ricerca sul quartiere Casilino e sui vissuti quotidiani di alcune comunità di origine straniera nell’ambito del Progetto Co.Heritage, promosso dall’Ecomuseo Casilino ad Duas Lauros.
Camminare per le strade di Torpignattara significa imbattersi in una vivacità dello sguardo, fatta di un susseguirsi di vetrine che propongono merci di vario genere: un piccolo bar di altri tempi espone i maritozzi con la panna e in prossimità del cui esterno si raggruppano, seduti, uomini anziani del quartiere, un ristorante poco visibile al suo interno con i menù in lingua cinese e privi di traduzioni, negozi di abbigliamento e di monili bangladesi, estetiste cinesi e vetrine che esibiscono teste di manichini con una selezione di parrucche colorate, trattorie tipiche romane e negozietti di olio e di vino, e ancora cibo da asporto indiano che inonda la strada di profumi speziati.
Questo genere di esperienza si propone ad ogni passo, lungo le strade che definiscono il perimetro del quartiere e il cui disordine è accentuato dall’affastellamento di stili architettonici di edifici che risalgono a epoche diverse e che rievocano a volte la vita rurale e altre, postmodernismi creativi, o sorprendono con percorsi di street art e murales realizzati attraverso iniziative condominiali e piccoli scorci di vendita di pane e pizza gourmet.
È in questo scenario che ho incontrato le donne bangladesi che sono diventate protagoniste della mia ricerca, a volte sopraffatta dai rumori di treni metropolitani che corrono veloci in via Casilina, o seduta in un piccolo tavolino arrangiato di un chiosco sul marciapiede di via Marranella, con un registratore portatile anch’esso custode dei suoni della città, oltre che delle voci delle mie interlocutrici.
L’obiettivo era quello di indagare in che modo le culture espressive delle comunità straniere si inseriscono e si mescolano a quelle preesistenti del territorio che abitano e vivono nel quotidiano.
Ma mentre osservavo lo spazio urbano, in particolare, inteso come rappresentazione di un operoso espressivo femminile, mi sono soffermata sulle “cose”, sugli oggetti che lo riempivano; e mentre osservavo le “cose” ho visto i corpi diventare spazi simbolici per eccellenza, mescolarsi in contesti pubblici, ciascuno portatore di narrazioni e di storie da raccontare.
Il mio taccuino si è riempito di liste, di elenchi di oggetti di uso quotidiano che “occupano” lo spazio del corpo femminile e che come segnali luminosi forniscono molte informazioni di coloro che li indossano, della loro cultura, delle tradizioni, di contaminazioni creative, di legami affettivi, dello status e del proprio credo religioso.
Per raccontare quindi le culture espressive, ho deciso di cominciare proprio da quegli oggetti a cui le donne, con le quali ho conversato, sono particolarmente affezionate, e li ho distinti in due categorie.
La prima relativa alla sfera pubblica, in cui la “cosa” e il suo significato viene riconosciuto simbolicamente dalla collettività di appartenenza, e l’altra riconducibile alla dimensione privata, in cui acquistano valore perché racchiudono, in modo tangibile, la memoria di un momento importante della propria vita che ha segnato un rito di passaggio (Van Gennep).
Nella mia lista compaiono “cose” come l’orecchino da naso che sostituisce la fede nuziale cattolica e rappresenta l’unione del matrimonio, ma che in Italia smette di essere tradotto come condizione di status da chi non condivide la cultura bangladese, oppure un anello che la madre ha donato alla figlia ancora minorenne e che apparteneva al nonno che non ha mai conosciuto e che resta chiuso in un cassetto in attesa di essere indossato.
Attraverso gli oggetti, le donne con cui ho conversato mi hanno descritto modi confacenti di parlare, per esempio senza fretta e senza urlare, modi femminili di camminare, a passi brevi e con incedere più lento di quello degli uomini, modi di indossare alcuni indumenti, come la sciarpa o il foulard che ogni donna possiede e la identifica come una vera bangladese. E ancora modi di preparare unguenti con oli e frutta, oppure di mangiare e di cucinare specialità locali.
Visto che le donne sono tenute a indossare abiti che non esaltano le forme del corpo ed alcune utilizzano anche il velo, i toni sgargianti, le fantasie dei tessuti, floreali, ricamati, o gli accostamenti dei colori hanno il compito di valorizzare il corpo femminile. Il velo può essere indossato in diverse maniere e ve ne sono per ogni occasione, quelli più comodi e pratici per lavorare, oppure altri più pregiati per le grandi occasioni.
Da quegli oggetti che hanno uno status sociale riconosciuto è stato immediato ricevere notizie su ciò che, in un paese straniero, ciascuno decide di mantenere, tramandare e valorizzare della propria cultura di origine; ma accanto a questi vi sono quegli altri che restano ancorati alla sfera privata del significato che gli viene attribuito e che afferiscono alla più diffusa cultura di massa, come per esempio un rossetto oppure un ciondolo di swarovski.
Questi due oggetti “materializzano” due momenti importanti nella vita di Nayana ed in quella di Sadia, perché in essi viene incorporata la narrazione del loro viaggio e del cambiamento nelle loro vite.

Nayana ha quasi quarant’anni ed è arrivata in Italia circa venti anni fa, quando ancora la comunità bangladese non era così presente sul territorio come lo è oggi. Arriva dopo essersi sposata, insieme al marito che ha già lavorato in Svizzera e si trasferiscono a Colli Albani, nella campagna romana. I primi tempi non sono facili per Nayana che rimane a casa senza uscire, spesso a letto tutto il giorno. Il cugino che vive in Italia già da molto tempo e che ha rappresentato per lei un punto di riferimento, in occasione di una visita a casa della parente, si accorge del suo stato d’animo e, per invogliarla ad uscire, le regala cinquantamila lire invitandola a reagire: “Vestiti, esci e vai a comprare quello che vuoi”. Nayana non conosce l’italiano e il cugino le insegna alcune frasi necessarie, “Quanto costa?” “Grazie”, “Prego”. Così finalmente esce di casa e sceglie un negozio in cui fare i suoi acquisti, una profumeria, in cui la prima cosa che compra è un rossetto della Dior.
Quel rossetto sancisce l’inizio del suo cambiamento di vita, la prima volta che compie un’azione in autonomia e, ancora oggi, lo conserva nella sua collezione di rossetti il cui numero aumenta di anno in anno.

NAYANA

Nayana, settembre 2019 – Foto: Cristina Pantellaro

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Nayana, settembre 2019 Foto: Cristina Pantellaro


Sadia ha diciotto anni, vive a Torpignattara e frequenta la scuola serale di turismo perché in Italia vorrebbe lavorare in questo settore.
È arrivata dal nord del Bangladesh, da Rajshahi chiamata anche Silk city (città della seta), un luogo noto anche per le sue Università. Sadia mi descrive la sua città di origine come un luogo verde, pieno di alberi di mango, pulito, contrariamente a quanto si pensi in genere del Bangladesh, e non particolarmente inquinato. Il padre lavora da diciotto anni in un negozio di souvenir e si è quindi trasferito pressappoco dopo la sua nascita.
Sadia racconta che non ha saputo cosa significasse avere un padre finché non è arrivata in Italia sebbene il genitore fosse presente con lunghe e frequenti conversazioni al cellulare e nei periodi di ferie dal lavoro. Mi dice di sentirsi fortunata di avere “questi genitori” che la amano.
Nel periodo di separazione e nell’attesa di riunirsi in Italia, il padre regala a Sadia tanti libri illustrati, ricchi di informazioni storiche, promettendo alla figlia un posto bellissimo: “Un paese quasi paradiso! Si sta bene, c’è una bella vita ed è pieno di Storia”.
Tuttavia, la vista di “quei vecchi palazzi” e non di grattacieli si rivela una delusione e ci vorrà del tempo per apprezzare e scoprire Roma.
Il suo arrivo in Italia è segnato dal ricordo di un grande pacco pieno di giocattoli, vestiti e regali di benvenuto. Ma tra tutti i doni ricevuti, quello che conserva nel suo cassetto, nel quale ci sono i gioielli di un certo valore, “le cose d’oro”, è un ciondolo a forma di farfalla che le è stato regalato da un collega di lavoro del padre al suo arrivo in Italia e che ha indossato per molti anni, a tal punto da rompere la collana che lo reggeva e scheggiare il monile.
“Il ciondolo ce l’ho da dieci anni e lo conservo da tutto questo tempo. Quando lo prendo e lo guardo mi fa ricordare tante cose”.

SWAROVSKY

Swarovski, settembre 2019 Foto: Cristina Pantellaro

SADIA

Sadia, settembre 2019 Foto: Cristina Pantellaro 

Molti antropologi e ricercatori, in rapporto ad altre discipline, l’arte, i musei, le tradizioni popolari, la cultura di massa, hanno riflettuto e scritto sugli oggetti di uso quotidiano e sul valore simbolico di cui vengono caricati dalle persone che li espongono, esibiscono in vario modo, sulle pareti di un museo o sul proprio corpo, o che li conservano in piccoli scrigni privati, in fondo ai cassetti che aprono la memoria a ricordi sopiti. Oggetti che smettono di esistere nella funzione a cui erano destinati e che si trasformano in “oggetti di affezione” (Pietro Clemente), in oggetti narranti di storie contadine altrimenti destinate all’oblio (Ettore Guatelli) oppure da Res derelicta e ciarpame diventano protagonisti di collezionismi estremi (Vincenzo Padiglione).

Sugli oggetti seriali e di uso quotidiano della cultura di massa e sulle forme di consumo sono stati realizzati molti studi, come quello di Fabio Dei e Pietro Meloni e persino è stata elaborata una teoria dello shopping (Daniel Miller), ed attribuita una vita sociale alle cose (Arjun Appadurai), in cui il consumatore agisce e non è agito dal consumo che viene risemantizzato in una chiave di soddisfazione personale e di simbolizzazione del quotidiano.

Questi due oggetti presi, ad esempio, per raccontare sinteticamente il rito del viaggio, ma soprattutto dell’incontro con l’altro, e dell’inizio di un nuovo percorso, smettono di essere rossetti o ciondoli per diventare proiezioni materiali di frammenti di esistenze.

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Le riflessioni presentate rientrano in una più ampia ricerca etnografica realizzata nell'ambito del progetto Co.Heritage dell'Ecomuseo Casilino Ad Duas Lauros di cui avevamo già parlato in un precendente post dedicato al tema della relazione tra pratiche sportive e spazio sociale (leggi qui).

La ricerca è coordinata da Alessandra Broccolini e realizzata da Flavio Lorenzoni, Daniele Quadraccia e Cristina Pantellaro.

www.ecomuseocasilino.it

 

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LUCIGRAFIE

L’attenzione dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale nei confronti di Gubbio e delle infinite stratificazioni e declinazioni del suo patrimonio culturale, nasce nel lontano 1911, quando Lamberto Loria, mitico fondatore della nostra istituzione e dell’interesse verso quello che oggi chiamiamo patrimonio immateriale, volle con tutta la sua determinazione esporre i Ceri di Gubbio nella Mostra di Etnografia Italiana organizzata nell’ambito dei festeggiamenti per il cinquantenario dell’Unità d’Italia.

Quegli stessi Ceri, i mezzani costruiti nel 1894, esposti nelle sale del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari del Museo delle Civiltà, sono stati i protagonisti di una memorabile iniziativa di repatriation che li ha visti tornare a Gubbio nel 2017 in occasione della mostra “L’ultima muta”, realizzata sulla base di un approfondito studio dei carteggi conservati presso l’Archivio Storico dell’ICPI.

Ai documenti visivi, raccolti nel corso di moltissime rilevazioni etnografiche realizzate dall’Istituto a partire dagli anni Settanta del secolo scorso ad oggi, si è aggiunto nel 2018 "Prodigio in Slow Motion", il film di Francesco De Melis, prodotto dall'Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale che nell’arco di un solo anno, un 2019 tutto da raccontare, è riuscito ad emozionare il Cile, l’Argentina ed il Messico e punta ora alla Bienal de la Habana, nel progetto espositivo itinerante “Racconti (in)visibili”. Lo stesso film che, nella versione “affresco digitale”, videomapping realizzato dagli exibithion designers di OpenlabCompany sulla volta della ex- chiesa di San Sisto, oggi Museo di arte contemporanea Francesco Messina, ha stupito la città di Milano, nella mostra “Con straordinario trasporto”, dove molti eugubini, tra i tanti visitatori affascinati, hanno provato la straordinaria emozione di avere i Ceri mezzani nel cuore di Milano, insieme alle iconiche strutture delle macchine festive di Nola, Palmi, Sassari e Viterbo.

La rilevanza antropologica della Corsa dei Ceri e l’appassionamento che la sua complessità di pratica festiva suscita tra gli studiosi, sono stati il punto di partenza di molti progetti di valorizzazione e di salvaguardia, di innovazione in campo espositivo, di apertura al panorama culturale mondiale: un percorso nel quale al valore scientifico, si accompagnano la propositività e la grande disponibilità della comunità ceraiola e delle istituzioni eugubine sostenute dall’entusiasmo e dalla solidarietà della Rete delle Grandi Macchine a Spalla di cui Gubbio è parte da quasi 15 anni.

Il 15 maggio, giorno della Corsa, è sempre segnato sull’agenda dell’Istituto come giornata non disponibile per nessun altro evento e non di rado, mettendo a calendario gli impegni istituzionali e la routine di servizio ci troviamo a dire “No, a metà maggio non possiamo, ci sono i Ceri!” Quest’anno, benché il 15 maggio fosse cerchiato già da tempo e tutti gli appuntamenti fissati alla giusta distanza, i Ceri non hanno corso.

La quarantena che ha bloccato la nostra quotidianità, ha fermato anche il tempo della festa, il ritmo della corsa, il rinnovarsi rituale del tempo e delle stagioni. L’attesa della guarigione collettiva, una pratica che i nostri giorni non avevano mai conosciuto, ha cristallizzato i suoni, i gesti, i profumi, i sapori e i colori della festa, ma non ha certamente cambiato il suo senso più profondo: l’affidamento alla devozione dei Santi, l’offerta del sacrificio, il voto, la preghiera, l’invocazione della grazia. Quella di quest’anno è stata la corsa più ardua, la salita più dura, la muta più difficile: è stata “l’assenza” il peso insostenibile sulle spalle dei ceraioli, un dolore che nessuno meritava, al quale solo la fede più profonda può dare un senso.

La sospensione delle Sacre Rappresentazioni e degli altri eventi devozionali e festivi legati alla Passione di Cristo e alla Settimana Santa, che ha impedito lo svolgersi di pratiche devozionali tra le più significative e radicate della nostra tradizione, è stata la prima di una serie di assenze con le quali le comunità festive italiane si sono dovute confrontare. Il nostro lavoro di documentazione e i nostri abituali percorsi accanto alle comunità festive ci hanno portato, in questi giorni, a misurarci con l’incertezza, con il disorientamento, con il dolore delle comunità private della possibilità di rappresentare e celebrare riti e tradizioni. Abbiamo così riflettuto sul valore dell’antropologia visiva non solo come strumento di analisi critica del visibile, ma anche per il suo valore documentario o, più semplicemente, ma non banalmente, per la sua funzione di raccogliere e conservare ricordi.

In questa lunga attesa di ritorno alla festa, in cui il potere evocativo della memoria compone nella mente di ognuno la sequenza unica e irripetibile del flusso dei ricordi, è nata l’idea di Lucigrafie, una performance virtuale nel cuore di Gubbio che si ispira a quei ricordi trasfigurandoli in un’opera di arte contemporanea, e che sarà anche il cuore di un nuovo progetto di video installazioni evocative che la Rete delle Grandi Macchine a Spalla realizzerà in collaborazione con l’ICPI e con l’Ufficio Patrimonio Unesco nell’anno del tempo sospeso.

Lucigrafie prevede la proiezione sulla facciata del Palazzo dei Consoli, a Gubbio, di una versione inedita di "Prodigio in Slow Motion", come un immenso affresco "all'aria aperta", in alta risoluzione, con un potentissimo impianto audio surround dislocato in quadrifonia e con la sorprendente scenografia evocativa dei Quiet Ensemble, un duo di performers che hanno maturato, nel campo delle istallazioni con elementi naturali -incluso il governo dei fumi e degli agenti atmosferici- una esperienza internazionale.

Lucigrafie, evocazione della memorabile assenza in tre atti in forma di video-arte, sarà messa in scena da Openlabcompany – lo stesso team che, oltre gli affreschi milanesi, ha progettato e realizzato la sezione audiovisiva della mostra “Unwritten structures. Racconti (in)visibili”. L’intera performance verrà a sua volta filmata, da terra e in volo, con un set di cinecamere in movimento per la regia di Francesco De Melis che ha ideato l'evento in collaborazione con l'Archivio di Antropologia Visiva dell'Istituto.

Il film diventerà una sorta di installazione dell'installazione, che l'Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale inserirà nel percorso espositivo della mostra internazionale Racconti (in)visibili, che, nonostante tutto, sta proseguendo il suo itinerario rafforzando la valorizzazione e la promozione del patrimonio immateriale italiano nel mondo.

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#VISIONIDAITERRITORI L’Infiorata e la Festa dei Misteri: un viaggio attraverso le mappe interattive e il fumetto digitale del Segretariato Regionale per il Molise

di Lia Montereale - Segretariato Regionale per il Molise

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Mappa borghi del Segretariato regionale per il Molise

Iniziamo il nostro viaggio partendo dalla mappa borghi e precisamente da Campobasso. Ma prima vediamo insieme cosa sono le mappe tematiche interattive che ci accompagneranno in questo percorso.

Il Segretariato Regionale per il Molise, articolazione periferica del MiBACT, nel 2018 ha creato nove mappe tematiche interattive per divulgare la conoscenza del patrimonio culturale presente nella regione (mappe che nel corso degli anni si sono arricchite di contenuti e approfondimenti).

Le mappe raccolgono su un'unica piattaforma digitale le informazioni che riguardano il territorio, fornendo al visitatore uno strumento semplice da usare che, attraverso testi, ipertesti ed immagini, racconta e facilita la conoscenza del Molise.  

Sono interattive, sono costruite su piattaforma Google, sono utilizzabili sia da dispositivo fisso che mobile e sono dedicate ognuna ad uno specifico tema del patrimonio culturale del Molise.

Possono essere consultate a questo link: www.molise.beniculturali.it

Partiamo quindi da Campobasso (mappa borghi), capoluogo del Molise. La città ha origini longobarde e probabilmente esisteva già nell'ottavo secolo con una propria cinta difensiva, edificata sui resti di un'antica fortificazione sannita. 

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Salita San Bartolomeo (borgo antico) a Campobasso. Foto di Lia Montereale

Secondo alcune ipotesi, il suo nome potrebbe derivare da Campus Vassorum, il luogo dove risiedevano i vassalli. Secondo altre ipotesi, il nome indicherebbe lo sviluppo della città verso le zone più basse rispetto al Castello Monforte che la dominava.

Tra le feste e le tradizioni popolari che appartengono al patrimonio culturale campobassano esploriamo in dettaglio l'Infiorata e i Misteri.

Ogni 31 maggio, Campobasso festeggia l'Infiorata e omaggia la Madonna dei Monti con magnifiche composizioni floreali che sono vere e proprie opere d'arte allestite nel borgo antico della città.

La comunità partecipa attivamente a questo evento creando tappeti di fiori dalle forme più diverse: disegni geometrici, simboli religiosi e raffigurazioni di Maria Santissima.

L’origine di questa tradizione ci porta indietro nel tempo e risale alla presenza di una comunità di frati cappuccini nella chiesa di Santa Maria Maggiore.

 

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Chiesa di Santa Maria Maggiore. Foto di Lia Montereale

Si narra che nel 1905 il vescovo di Bojano-Campobasso affidò la chiesa, da tempo abbandonata, ai frati e questi si impegnarono a ristrutturarla per renderla più accogliente e decorosa.

La chiesa, ristrutturata e risistemata, fu inaugurata il 30 maggio 1911 e il mattino seguente la statua della Madonna fu portata in processione per le vie della città.

Da allora è iniziata la processione della Madonna del Monte di fine maggio e ha preso avvio la successiva tradizione dell’Infiorata.

L'evento, di natura religiosa, precede e introduce i festeggiamenti per il Corpus Domini e quindi la festa dei Misteri.

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Allestimenti floreali in preparazione dell’Infiorata. Foto di Donato D’Alessandro

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Palazzo Japoce a Campobasso, sede degli uffici del Segretariato Regionale per il Molise.

Foto di Donato D’Alessandro

Viaggiamo idealmente e spostiamoci quindi su un’altra mappa: la mappa delle feste e delle tradizioni del Molise e scopriamo che cos’è la festa dei Misteri.

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Mappa feste e tradizioni del Segretariato regionale per il Molise

I Misteri sono macchine, dette anche ingegni, costituiti da una base di legno nella quale è inserita una struttura in ferro che si sviluppa in verticale. Questa a sua volta si ramifica e porta con sé, ad ogni estremità, delle imbracature in ognuna delle quali viene posto un bambino. I bambini interpretano diversi personaggi. Possono essere angeli, diavoli, ma anche Santi e Madonne. Sembrano sospesi nel vuoto ma in realtà i loro costumi nascondono la struttura che li sostiene e le imbracature su cui sono collocati.

A seconda del Mistero rappresentato, ci sono anche altri personaggi nella scena, sia bambini che adulti, con ruoli specifici a seconda del personaggio interpretato.

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Processione dei Misteri. Foto di Donato D’Alessandro

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Processione dei Misteri. Foto di Donato D’Alessandro

Ma quali sono le origini di questa festa?

Ci troviamo nella Campobasso del sedicesimo secolo ed è proprio in questo periodo che abbiamo notizie di rappresentazioni sacre su palchi in legno costruiti vicino alle chiese. Successivamente, le principali confraternite laiche di Campobasso, per celebrare la festività del Corpus Domini, iniziarono a rappresentare scene sacre su barelle che venivano trasportate a spalla in processione. Il soggetto che veniva rappresentato sulle barelle cambiava ogni anno. Intorno alla metà del diciottesimo secolo, queste stesse confraternite affidarono allo scultore campobassano Paolo Saverio Di Zinno la progettazione di macchine da usare per la rappresentazione delle scene e per il trasporto dei figuranti e ne affidarono l’esecuzione ad abili fabbri ferrai di Campobasso.

Furono costruiti diciotto Misteri di cui sei furono distrutti durante il terremoto che colpì il Molise il 26 luglio 1805. Da allora hanno sfilato gli altri dodici Misteri “sopravvissuti” che raffiguravano Sant'Isidoro, San Crispino, San Gennaro, Abramo, Maria Maddalena, Sant'Antonio Abate, l'Immacolata Concezione, San Leonardo, San Rocco, l'Assunta, San Michele e San Nicola. Poi, nel 1959, i cugini Tucci, sulla base di un disegno attribuito a Paolo Saverio Di Zinno, realizzarono un tredicesimo Mistero, il Sacro Cuore di Gesù, che oggi chiude la sfilata.

Ma chi rende possibile l’organizzazione e l’allestimento delle scene e di questa solenne processione? In passato erano le confraternite a gestire la processione dei Misteri, ma a partire dal diciannovesimo secolo, a seguito della soppressione delle confraternite, la processione dei Misteri è organizzata dal comune di Campobasso che, dal 1997, è supportato dall'Associazione Misteri e Tradizioni diretta dalla famiglia Teberino.

Dopo più di 250 anni dalla loro realizzazione, le macchine processionali sono pienamente funzionanti e vengono fatte uscire ogni anno in occasione della festa dei Misteri nel giorno del Corpus Domini. I Misteri sono usciti eccezionalmente anche domenica 2 dicembre 2018, in pieno periodo invernale, per celebrare i 300 anni dalla nascita di Paolo Saverio di Zinno (1718-1781).

Rappresentano scene dell'Antico e del Nuovo Testamento e scene tratte dalla vita di alcuni Santi.

Durante l’anno le macchine processionali sono esposte presso il “Il Museo dei Misteri” a Campobasso gestito dalla stessa associazione.

Spostiamoci quindi su un’altra mappa, la mappa dei musei locali di appartenenza non statale.

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Museo dei Misteri a Campobasso. Foto di Donato D’Alessandro

Come abbiamo già avuto modo di vedere, la partecipazione attiva della collettività alla processione, rende i Misteri una festa fondamentale nell’ambito del patrimonio immateriale del Molise. Il Museo dei Misteri contribuisce alla diffusione della conoscenza e allo sviluppo della ricerca legata a questa antica processione mediante una serie di attività tra cui la digitalizzazione della documentazione e delle testimonianze ad essa relative, aggiornando costantemente il proprio sito web su cui è possibile consultare tutte le informazioni sulla festa e sul singolo Mistero (significato della scena rappresentata, numero dei personaggi, dei portatori e perfino il peso in Kg del Mistero), rendendo disponibile materiale informativo sia in italiano che in inglese, etc..

Il Museo è costituito da una sala d’ingresso che espone costumi d’epoca originali insieme a fotografie che ritraggono alcuni dei momenti più belli delle precedenti manifestazioni, una sala proiezioni “Gino Aurisano” che consente di vedere filmati della processione dei Misteri girate nel 1929, 1948, 1952, 1958, Roma 1999 e 2006, riguardanti la preparazione e lo svolgimento della manifestazione, che in parte ricreano l’atmosfera che si viveva e si vive ancora a Campobasso nel giorno di Corpus Domini. Infine, nella sala degli ingegni “Cosmo Teberino” è possibile ammirare le tredici macchine processionali di Paolo Saverio di Zinno.

Il Museo svolge dunque un ruolo centrale nel contesto della processione dei Misteri. Custodisce ed espone le macchine processionali che possono essere viste anche durante l’anno (e non solo in occasione del Corpus domini quando vengono fatte sfilare all’esterno); queste stesse macchine, progettate più di 250 anni fa da Paolo Saverio di Zinno e conservate nel museo, sono quindi ancora oggi utilizzate dalla comunità in occasione della processione dei Misteri.

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InternoMuseo dei Misteri a Campobasso - Gli ingegni di Paolo Saverio di Zinno.

Foto di Donato D’Alessandro

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InternoMuseo dei Misteri a Campobasso - Gli ingegni di Paolo Saverio di Zinno.

Foto di Donato D’Alessandro

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InternoMuseo dei Misteri a Campobasso. Foto di Donato D’Alessandro

Come abbiamo visto, il Museo non è un semplice contenitore che custodisce gli ingegni (le macchine di cui sopra) ma è strettamente legato alla comunità campobassana e al suo bagaglio di feste e tradizioni. Questo a dimostrazione che i musei, soprattutto i “piccoli musei” legati al territorio, svolgono un ruolo chiave nella salvaguardia e nella trasmissione del patrimonio culturale immateriale. Alcuni infatti, come in questo caso, svolgono un ruolo centrale e attivo nella conservazione, trasmissione e divulgazione della festa e della tradizione mantenendo un solido e stabile legame con la comunità di appartenenza, e promuovendo allo stesso tempo la tradizione anche in chiave turistica e di sviluppo territoriale.

Come Segretariato Regionale per il Molise abbiamo inoltre realizzato un fumetto digitale “C’era una volta…Molise”, disponibile in tre lingue (italiano, inglese e spagnolo) e consultabile su www.molise.beniculturali.it.

Il protagonista, personaggio di fantasia, è un frate con il blocco dello scrittore che non sa come riempire le pagine del suo manoscritto. Decide così di lasciare la sua abbazia e di intraprendere un viaggio alla scoperta del Molise. Incontrerà personaggi storici e leggendari legati al territorio che gli faranno da guida lungo il suo percorso, aiutandolo a ritrovare l’ispirazione e l’estro artistico. Le sue numerose avventure lo porteranno ad immergersi e a conoscere il grande e variegato contenitore del patrimonio culturale demo-etnoantropologico del Molise.

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“C’era una volta…Molise”, fumetto digitale del Segretariato Regionale per il Molise. Fra Giuseppe incontra Delicata Civerra, soprannominata la “Giulietta campobassana” per la tragica sorte amorosa che la accomuna al personaggio shakespeariano. È un personaggio leggendario che ci racconterà la storia della Chiesa di Santa Maria Maggiore e il significato dell’infiorata.

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“C’era una volta…Molise”, fumetto digitale del Segretariato Regionale per il Molise. Delicata Civerra spiega il significato dell’Infiorata.

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“C’era una volta…Molise”, fumetto digitale del Segretariato Regionale per il Molise. Festa dei Misteri

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“C’era una volta…Molise”, fumetto digitale del Segretariato Regionale per il Molise

Festa dei Misteri

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“C’era una volta…Molise”, fumetto digitale del Segretariato Regionale per il Molise.

Festa dei Misteri- incontro con il diavolo.

Per maggiori informazioni sulla festa dei Misteri e sul patrimonio culturale materiale e immateriale visitabile a Campobasso, è possibile consultare i seguenti link:

Festa dei Misteri_Istituto Centrale Patrimonio Immateriale

Festa dei Misteri 2006 Canale YouTube Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale

Festa dei Misteri 2017 Canale YouTube Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale

Associazione e Museo dei Misteri di Campobasso

Segretariato Regionale MiBACT per il Molise

Il nostro viaggio di oggi si conclude qui e speriamo di avervi incuriosito sul patrimonio demo-etnoantropologico di cui le feste e le tradizioni sono un elemento importante, anche se non l’unico. Vi diamo appuntamento al prossimo “viaggio” per scoprire insieme nuovi aspetti e nuovi elementi di questo grande patrimonio.

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#LACULTURANONSIFERMA. Il progetto MigrArti: presentazione di Paolo Masini e visione del corto "Krenk" di Tommaso Santi

 

Per la rubrica "Italia dalle molte culture", Paolo Masini ci racconta il progetto MigrArti promosso dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo. Un’esperienza che ha dato un segno istituzionale importante e decisivo sul piano della valorizzazione e alla diffusione delle produzioni culturali delle comunità di migranti stabilmente residenti in Italia.

Attraverso una serie di bandi, il progetto MigrArti ha aperto negli anni scorsi nuove opportunità per sostenere le forme espressive e creative dei “nuovi italiani”. I bandi, rivolti soprattutto alle seconde generazioni, hanno permesso di realizzare numerose produzioni inedite nel settore dello spettacolo dal vivo e in quello dell’audiovisivo, con la realizzazione di rassegne cinematografiche e la produzione di cortometraggi.

Per l’occasione, Paolo Masini ci presenta uno dei corti realizzati nell’ambito del progetto: Krenk, un cortometraggio realizzato dal regista Tommaso Santi, Vincitore del Premio MigrArti 2018.

Link: https://vimeo.com/281783766

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#LACULTURANONSIFERMA. Le parole chiave del patrimonio im-materiale: OGGETTO (a cura di Emanuela Rossi)

Emanuela Rossi (antropologa culturale, Università degli Studi di Firenze) ci introduce al tema dell'oggetto di natura demoetnoantropologica. 

Riferimenti bibliografici

Barbara Kirshenblatt-Gimblett, Objects of ethnography in Exhibiting Cultures. The Poetics and Politics of Museum Display, I.Karp-S. Lavine (eds), London/Washington, Smithsonian Institution, 1991, pp. 386-443;

Barbara Kirshenblatt-Gimblett, From Ethnology to Heritage: The Role of the Museum, SIEF Keynote, Marseilles, April 28, 2004;[http://www.nyu.edu/classes/bkg/web/SIEF.pdf]

Emanuela Rossi, Passione da museo. Per una storia del collezionismo etnografico: il museo di Antropologia di Vancouver, Firenze, Edifir, 2006;

Emanuela Rossi, Presenze/Assenze/Spostamenti, in "Antropologia Museale",14|numero 40/42|2017-2018; 

George W. Stocking, Gli oggetti e gli altri. Saggi sui musei e sulla cultura materiale, Roma, Ei editori, 2000. 

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Orario ICPI
Dal lunedi al venerdi
9.00-17.00
Metro Linea B (EUR Fermi) Bus 30 Express, 170, 671, 703, 707, 714, 762, 765, 791
Amministrazione
trasparente

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