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Articoli filtrati per data: Dicembre 2013

Alle origini del Museo

Nel 1906 l'etnologo Lamberto Loria, grazie ai finanziamenti del mecenate fiorentino Giovannangelo Bastogi, fondò a Firenze il Museo di Etnografia, in Borgo San Jacopo 19. Loria si avvalse della collaborazione di eminenti studiosi: Aldobrandino Mochi, che diverrà condirettore del Museo, Alessandro D'Ancona, Francesco Baldasseroni, Angelo De Gubernatis, Paolo Mantegazza - ideatore nella stessa città del Museo Psicologico (1891) - Giuseppe Pitré - responsabile del Museo Etnografico di Palermo.

La necessità di raccogliere e tutelare i documenti etnografici italiani in un'apposita sede era già stata avvertita da Luigi Pigorini, direttore del Regio Museo Preistorico-Etnografico situato nella sede del Collegio Romano. In una relazione inviata nel 1881 al Ministero della Pubblica Istruzione, Pigorini richiedeva spazi per allestire una nuova sezione del Museo che avrebbe dovuto "comprendere ciò che hanno tuttora di speciale le nostre popolazioni campagnole nelle industrie, negli utensili ed ornamenti, nelle fogge degli abiti", ma la sua richiesta non venne accolta.

lauriaIl Museo di Etnografia fondato da Loria espose inizialmente circa duemila oggetti di cultura popolare, il nucleo originale della collezione, raccolti agli inizi del 1900 da Mochi e dallo stesso Loria e destinati presto ad aumentare, come dimostrano i cinquemila oggetti presenti nel 1908 che costringeranno Loria al trasferimento del Museo nella sede fiorentina di Via Colletta 2.

La collezione era di estremo interesse tanto che Ferdinando Martini, allora Ministro della Pubblica Istruzione e vice presidente del Comitato per l'Esposizione Internazionale, che si sarebbe tenuta nel 1911 per celebrare il cinquantenario dell'unità d'Italia, aveva proposto a Loria, già nel 1906, di trasformare il Museo in Mostra Etnografica in occasione delle celebrazioni garantendogli, alla chiusura dell'esposizione, la realizzazione del Museo Nazionale di Etnografia Italiana posto sotto la tutela dello Stato. Tale esposizione sarebbe stata, quindi, la premessa per la sistemazione definitiva della importante collezione etnografica a Firenze.
Il museo fiorentino raccoglieva categorie di oggetti e documenti riferiti agli usi popolari italiani, caratteristici delle diverse regioni ed era solo parte di un più vasto programma culturale e cognitivo, che prevedeva un'indagine rigorosa sulla diversità delle usanze e dei costumi, delle espressioni di pratiche tradizionali, dei vari aspetti della ritualità magica e religiosa localizzabili nel tempo e nello spazio.

L'elenco degli oggetti e dei documenti, ordinati per categorie, che appare nell'opuscolo pubblicato nel 1906 destinato a far conoscere l'utilità e il programma del nuovo Museo, è illuminante per la quantità di preziose informazioni che offre, permettendo la ricostruzione dei riferimenti entro cui operava Loria. Si pensi alla cosiddetta scuola fiorentina, nata intorno alla prima cattedra di Antropologia affidata nel 1869 a Paolo Mantegazza.

Mantegazza aveva individuato nella dimensione culturale il motore dell'agire umano e l'uso del concetto antropologico di "cultura" che comprendeva i documenti etnografici, "demopsicologici" o folklorici siano essi raccolte di novelle, leggende, proverbi, dizionari, grammatiche, testi ecclesiastici, incisioni di musica e canti, fotografie o altre immagini di scene e di costumi, modelli di case, barche, veicoli, strumenti agricoli e industriali, ceramiche, utensili domestici, prodotti artistici. Idee che coincidono con quanto espresso nel 1871 dall'antropologo britannico Edward Burnett Tylor che, indicando l'antropologia come lo studio "della cultura o civiltà", aveva definito la cultura un complesso di "conoscenze, credenze, arte, morale, diritti, usanze, e tutte le altre capacità o abitudini acquisite dall'uomo in quanto membro della società".

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Laboratorio audiovisivo

Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

Il Laboratorio Audiovisivo opera nell'ambito delle lavorazioni delle immagini (foto e video) e dei suoni (analogici e digitali), applicando le tecnologie della multimedialità: riprese video, editing digitale, elaborazioni fotografiche, illuminotecnica. Realizza alcuni progetti grafici inerenti alle iniziative dell'Istituto e del Museo e assicura la funzionalità della rete informatica interna e di tutte le postazioni ad essa collegate.

Svolge il lavoro di propria competenza in occasione di mostre, concerti, rappresentazioni teatrali e performaces artistiche ospitate negli spazi dell'Istituto. Al Laboratorio è annessa la Sala delle Conferenze, dotata di attrezzature atte allo svolgimento di seminari, convegni e rassegne videocinematografiche. Il Laboratorio garantisce inoltre al pubblico un servizio di visionamento, previa prenotazione, degli oltre 2000 titoli che fanno parte del patrimonio videocinematografico dell'Archivio di Antropologia Visiva dell'Istituto.

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2013-2014

14 febbraio - 8 marzo 2013 - Pegni d'amore dagli archivi del Museo

pegni-amore

L'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia propone, dalle collezioni del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, una selezione di oggetti collegati al tema dell'amore, esposti nella Sala delle Colonne dal 14 febbraio (ricorrenza di San Valentino) all'8 marzo. I pegni d'amore costituiscono una delle principali categorie di doni che, in ambito rituale, sono offerti non tanto a un singolo individuo ma in virtù della sua posizione all'interno della famiglia o del suo rapporto con il donatore.

Tra i doni più diffusi vi sono oggetti con scritte d'amore e strumenti per il lavoro femminile e per la casa: rocche decorate secondo una simbologia di fertilità o con figure umane e zoomorfe; stecche da busto in legno arcuato, con motivi di cuori, stelle, rami fioriti, chiavi, disegni geometrici o immagini riferite alla coppia; scaldini in ceramica "ricamati"; stampi per dolci.
Simboli che alludono all'unione sono presenti anche in alcuni anelli di fidanzamento: due mani che si stringono o che sorreggono un cuore, le colombe, la doppia spola e la doppia foglia. Un esempio di dono femminile agli uomini è rappresentato da alcuni fazzoletti ricamati, che recano sul bordo versi amorosi indirizzati al futuro marito.

A cura dell'Archivio di Antropologia Visiva (Emilia De Simoni, Stefania Baldinotti, Stefano Sestili) e del servizio Inventario e Depositi Etnografici (Paolo Maria Guarrera, Roberta Scoponi, Nicolò Giacalone, Anna Cologgi, Franco Rossi Gandin)

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Pegni d'amore (di Stefania Baldinotti)

Il pegno d'amore è stato ed è tuttora simbolo dell'amore eterno e della fedeltà tra due persone che si amano. In un passato non tanto remoto ai doni che si scambiavano tra innamorati era delegata la funzione di comunicare all'esterno ogni piccolo passo che due giovani compivano durante il periodo del fidanzamento: il corteggiamento, la dichiarazione, la richiesta ufficiale della mano della sposa erano accompagnati da veri e propri rituali che si svolgevano nell'atmosfera festosa che preannunciava la tappa definitiva del matrimonio e quindi la formazione di un nuovo nucleo familiare all'interno della comunità. Pegno d'amore per eccellenza, l'anello, anche detto anello celato per distinguerlo dall'anello delle nozze, viene portato in dono dai giovani più facoltosi, ma sono diffusi anche altri gioielli, come pettini, spille, orecchini in oro o in argento decorati con simboli che alludono all'unione amorosa, come gli anelli di fidanzamento detti "a manucce", che rappresentano due mani che si stringono o che sorreggono un cuore: il repertorio decorativo è ricchissimo, parole d'amore incise nell'oro o dipinte a smalto, colombe, stelle, chiavi, nodi d'amore, fiori ed intrecci di elementi vegetali spesso elaborati nell'ancora attuale schema concentrico della presentosa. Altri doni di fidanzamento molto diffusi sono gli strumenti per il lavoro femminile che preannunciano le attività della donna nel suo futuro ruolo di moglie e di madre, ad esempio tra gli attrezzi per la filatura ed il ricamo è molto frequente che il fidanzato regali una rocca, realizzata con le sue mani e decorata con simboli di fertilità e d'amore o con figure umane, spesso una figurina femminile che simboleggia l'amata. Il pensiero premuroso del fidanzato si esprime anche attraverso altri oggetti di utilizzo quotidiano, oltre ai piatti ed ai boccali in ceramica decorati con frasi affettuose è frequente anche che venga portato in dono uno scaldino, una sorta di cestino di ceramica o terracotta traforato e ricamato come un merletto al cui interno un po' di brace accesa consente all'amata di tenere le mani al caldo. Esiste poi un dono di natura molto intima che le ragazze conservano gelosamente: la stecca da busto, fascia di legno flessibile che costituisce il sostegno interno del bustino, elemento fondamentale dell'abito tradizionale femminile. Particolarmente diffuse in tutta l'Italia centro-meridionale, le stecche da busto, che l'innamorato intaglia personalmente con i motivi tradizionali dell'alfabeto simbolico dell'amore, sono il pegno che le ragazze tengono più vicino al cuore: chiamata proprio per questo "dono del cuore" la stecca intagliata è accompagnata da molte usanze rituali, come quella di deporla nella cassa del marito deceduto troppo giovane in segno di perpetuo amore. Oltre a cuocere pani o dolci lavorati con decorazioni a stampo ottenute con timbri di legno incisi con motivi di cuori che l'innamorato stesso scolpisce per poi donare all'amata, l'esempio più classico di dono femminile è rappresentato dai fazzoletti. Regalare come pegno d'amore fazzoletti che recano sul bordo versi amorosi ricamati - fazzolettini da mettere al taschino o grandi fazzoletti colorati da annodare intorno al collo - significa asciugare le lacrime delle pene d'amore: il futuro marito ne ostenta il possesso davanti agli amici indossando il fazzoletto sull'abito della festa con chiaro significato di fedeltà.

Bibliografia
Bellucci G., Folclore umbro. Pegno di fidanzamento, 1898
Toschi P., Il Folklore, Roma, 1954
Toschi P., Arte popolare italiana, Roma, 1960
Toschi P., Il Folklore, tradizioni, vita e arti popolari, in Conosci l'Italia, vol. XI, Milano, 1967


 

9 novembre 2013 - 2 febbraio 2014 - MOSTRA DOSSIER: L'ARTIGIANATO SARDO DI IERI E DI OGGI

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Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari organizza, a conclusione del progetto "Arcipelago Mediterraneo", realizzato nell'ambito del Programma Operativo di Cooperazione Transfrontaliera Italia-Francia Marittimo, una serata ed una mostra dedicate alla cultura sarda. Nel Salone d'Onore del Museo, sabato 9 novembre 2013, dalle ore 15.00 alle ore 19.30, la Sardegna sarà al centro dell'attenzione.
Nella Sala Dossier, adiacente, fino all'8 dicembre, sarà possibile visitare una mostra di artigianato sardo dalle collezioni museali, affiancata da una selezione di manufatti moderni, curata dall'arch. Antonello Cuccu. Si potranno confrontare gli oggetti del passato con la produzione attuale: abiti, gioielli, tessuti, cestini e ceramiche di una terra dove l'artigianato è continuità. Sarà anche esposta un'ampia selezione di foto di Sebastiana Papa, dalla ricerca sul campo "Orgosolo 1966": uno spaccato duro e poetico della vita sarda in Barbagia.

Si ringrazia l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, in particolare la Direttrice Laura Moro, per aver gentilmente concesso la riproduzione delle immagini di Sebastiana Papa e la stampa dai negativi.

Allestimento: Stefania Baldinotti, Emilia De Simoni, Nicolò Giacalone, Paolo M. Guarrera, Roberta Scoponi, Franco Rossi Gandin
Organizzazione tecnica: Stefano Sestili - Archivio Fotografico: Marisa Iori - Archivio Stampe: M. Letizia Campoli


 

29 maggio - 14 dicembre 2014 - A SUD DEL MUSEO

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La mostra dossier "A Sud del Museo" rientra nell'ambito delle iniziative espositive che il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari ha avviato nel 2013 con la finalità di presentare, in percorsi tematici periodici, alcuni esemplari tratti dalle collezioni conservate nei depositi museali. La riproposizione degli oggetti alla pubblica fruizione è iniziata con l'artigianato sardo e prosegue nel 2014 con una mostra dedicata alle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia.

"Mio sud, / mezzogiorno / potente di cicale" scriveva il poeta calabrese Franco Costabile: in letteratura e in antropologia il Sud è stato spesso rappresentato come un territorio fortemente evocativo, una sorta di alterità colorata e luminosa, spesso accompagnata da venature di arcaicità.

"A Sud del Museo" intende offrire, attraverso l'esposizione di costumi, maschere, oggetti devozionali, cartelloni di cantastorie, strumenti di lavoro e manufatti artigianali, un itinerario visivo in cui si intrecciano temi del quotidiano e del festivo, episodi delle vite individuali raccontati negli ex voto: grazie ricevute, interventi salvifici di figure religiose che, dall'alto, governano il rischio dell'esistere. Un esistere, nel Sud, che è anche gioiosità e ironia delle maschere carnevalesche, delle marionette allusive, e sapiente bellezza di opere uniche prodotte tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento.

A SUD DEL MUSEO

Mostra dossier a cura di Emilia De Simoni
Mostra di grafica a cura di M. Letizia Campoli
Direzione tecnica: Stefano Sestili
Allestimento, restauro e conservazione: Roberta Scoponi, Nicolò Giacalone
Collaborazione all'allestimento: Franco Rossi Gandin
Didascalie: Francesca Montuori
Verifiche inventariali: Giuliana Barilà
Strutture: MATEC Impianti di Mario Trincia


 

24 giugno - 30 luglio 2014 - LA MAGIA DEL COLORE NELL'ARTE TRADIZIONALE RUMENA

24-06-2014

La mostra "LA MAGIA DEL COLORE NELL'ARTE TRADIZIONALE RUMENA", che il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari ospiterà dal 24 giugno al 30 luglio, è parte di una serie di eventi proposti nell'ambito del Festival Internazionale "PROPATRIA - Giovani Talenti Rumeni", che si svolgerà a Roma dal 20 giugno al 6 Luglio. Questa quarta edizione del Festival vedrà una partecipazione internazionale con nomi di spicco della cultura rumena: Cipriana Smarandescu (Italia), Elisabeth Sombart (Svizzera), Lavinia Dragos (Romania), Lucia Stanescu (Italia), Tudor Andrei e Aurelia Visovan (Austria), Vlad Crosman (Francia) e Lavinia Bocu (Romania), Catalina Diaconu (Italia), IAMAlina (Italia), nonché giovani ragazzi della diaspora rumena che eccellono in vari settori dell'arte e della cultura.
La mostra, ospitata dal Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari nell'ambito delle periodiche collaborazioni e scambi con istituzioni internazionali, sarà centrata sul costume popolare rumeno ed è realizzata grazie al contributo del Museo Nazionale del Villaggio - Dimitrie Gusti di Bucarest, CabliFunART Romania, l'artista Silvia Floarea Tòth e il Museo delle Guardie di Frontiera di Năsăud. Per più di un mese le due sale del Museo dedicate alle mostre temporanee si trasformeranno in un vero e proprio angolo di Romania: un villaggio tradizionale in miniatura.
Abiti tradizionali appartenenti al patrimonio storico del "Museo del Villaggio" e provenienti dalle principali zone geografiche della Romania si troveranno insieme agli antichi costumi della zona di Năsăud, proposti dall'Ambasciatrice del Costume Popolare Rumeno, Silvia Floarea Tòth. Completeranno l'esposizione tappeti decorativi, oggetti d'arredo, ornamenti, accessori, fotografie d'epoca: tutti materiali esposti per la prima volta fuori dal territorio nazionale. L'abito tradizionale romeno ricco spesso di decorazioni frutto di lunghe lavorazioni, è rimasto quasi immutato nei secoli: si trovano molte somiglianze tra il modo in cui si vestono ancora oggi i contadini di alcune località della Romania perfino con il modo in cui venivano rappresentati i daci sulla Colonna Traiana.
L'inaugurazione il 24 giugno alle ore 18.00 (ingresso libero) sarà accompagnata da uno spettacolo del coro multietnico "Incanto. Voci femminili senza confini" diretto dal M° Paula Gallardo Serao con l'Ensemble Artaras, Rep. Moldova, diretto da Lidia Bolfosu.
Il Festival è organizzato e promosso dall'Associazione culturale rumeno-italiana PROPATRIA con il sostegno del Ministero degli Esteri Rumeno-Dipartimento per i Romeni all'Estero e l'Ambasciata della Romania in Italia e con i patrocini di: Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Regione Lazio, Provincia di Roma, Comune di Roma-Assessorato per la Cultura, Creatività e Promozione Artistica, Comune di Roma-Municipio XIV, Accademia di Romania a Roma.


 

25 settembre - 25 novembre 2014 - 25.8.1964. C'ERA TOGLIATTI

togliatti

Dal 25 settembre al 25 novembre il MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI E TRADIZIONI POPOLARI ospiterà la mostra fotografica "25.8.1964. C'era Togliatti" che esporrà per la prima volta al pubblico romano le immagini con cui l'allora giovane fotografo Mario Carnicelli, pistoiese d'elezione, documentò, con intensità e modernità di sguardo, la partecipazione alle esequie di Palmiro Togliatti dal 22 al 25 agosto di 50 anni fa.
La mostra, prodotta dal COMUNE DI PISTOIA - PALAZZO FABRONI ARTI VISIVE CONTEMPORANEE, curata scientificamente da Bärbel Reinhard e Marco Signorini, è inserita nell'ambito della XIII edizione di "FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma". Da questa mostra è stata tratta un'edizione speciale dell'editore ravennate Danilo Montanari che raccoglie, in una scatola di legno, 35 delle fotografie scattate da Mario Carnicelli durante i funerali del "Migliore" nell'agosto del 1964.
Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari ha voluto, ospitando questa esposizione nelle sue sale, contribuire ad una visione e rappresentazione della società italiana nella convinzione che lo sguardo degli artisti renda testimonianza dell'evoluzione dei processi antropologici del divenire della nostra società. I numerosi scatti fotografici sono allestiti a grandezza naturale, per creare un dialogo fra le immagini e gli spettatori. Se ancora oggi è possibile ri-guardare queste immagini, in una trasposizione visiva essenziale e per questo 'eterna', è perché a loro volta esse, tramite questi sguardi, ci riguardano, anche nell'accezione di avere a che fare con noi. Rinnovano il senso di partecipazione di una collettività tutta e affermano il valore dello sguardo di un artista che si è fatto testimone della storia del suo Paese.
Le fotografie sono accompagnate da alcuni testi, tra i quali quello di Alfredo Reichlin di cui si riporta questo breve stralcio: "Queste foto ci riportano a quella giornata drammatica e irripetibile. Fu la più intensa manifestazione di popolo che io abbia mai visto. Dico intensa nel senso del sentimento che quel popolo esprimeva e nei suoi significati. Da un lato i sentimenti semplici, elementari, il dolore per la morte di una persona cara. Dall'altro la sensazione che finiva un'epoca e che colui che veniva a mancare non era una persona come le altre, era il loro Capo. Io camminavo dietro il feretro insieme ai compagni della segreteria e la cosa che più mi colpì fu un gruppo di operai abbarbicati a una inferriata in via Labicana che ci gridava col pugno chiuso e piangendo come bambini : "non traditelo". Tale, in effetti era il rapporto tra Palmiro Togliatti e il suo popolo. Era una grande mente, aveva la cultura e la taglia di quei grandi intellettuali europei che l'Italia ogni tanto è capace di esprimere" (Alfredo Reichlin)
Nel pomeriggio del 25 Settembre, in occasione dell'apertura, sarà presente l'autore che accoglierà i visitatori per introdurli alla mostra.
Mario Carnicelli è nato ad Atri nel 1937. All'età di dodici anni si trasferisce con la famiglia a Pistoia, frequentando fin da piccolo lo studio fotografico del padre. Più incline alla fotografia documentaria che all'attività commerciale, lavorerà in seguito come fotogiornalista freelance ed inviato speciale, portando avanti anche progetti di ricerca personali. Nel 1966 vince una borsa di studio che gli permette di viaggiare per gli Stati Uniti, dove tornerà più volte per realizzare un lavoro originale e rilevante. Ha collaborato con varie riviste e quotidiani, tra i quali: Espresso, Panorama, Corriere della Sera, Il Giorno, Popular Photography, la Nazione. Ha collaborato con l'Istituto di Etnologia dell'Università di Perugia. Ha esposto in Europa e negli Stati Uniti, all'Interkamera di Praga, al SICOF Milano, al Grattacielo Pirelli di Milano, al Cantiere Sperimentale dell'Immagine di Firenze, alla Johns Hopkins University
di Bologna. Vive e lavora a Pistoia.

Nell'ambito della mostra viene proiettato il documentario
L'ITALIA CON TOGLIATTI
Produzione: UNITELEFILM
Collaborazione per la regia: Gianni AMICO, Giorgio ARLORIO, Libero BIZZARRI, Carlo LIZZANI, Francesco MASELLI, Lino MICCICHE', Glauco PELLEGRINI, Elio PETRI, Sergio TAU, Paolo TAVIANI, Vittorio TAVIANI, Marco ZAVATTINI, Valerio ZURLINI
Voce di Enrico Maria SALERNO
Durata 40' – b/n

Il film è la cronaca dei funerali di Palmiro Togliatti. Il segretario del Partito comunista muore a Yalta, il 21 agosto 1964. Qui Togliatti riceve l'estremo saluto dei ragazzi del campo Artek. I dirigenti sovietici seguono fino all'aeroporto la salma di Togliatti, insieme ai dirigenti comunisti italiani che lo accompagnano nel suo ultimo viaggio di ritorno in patria. Atteso da migliaia di compagni - la bara è portata a spalla da un gruppo di giovani comunisti - Togliatti arriva a Roma. Un flusso ininterrotto di persone scorre nella camera ardente allestita nella sede della direzione del partito. Poi, una folla immensa, di circa un milione di persone, segue la salma del dirigente comunista scomparso, fino a piazza San Giovanni, quindi al cimitero del Verano.


"25.8.1964. C'era Togliatti"
Foto di Mario Carnicelli
Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari
25 settembre - 25 novembre 2014

A cura di Baerbel Reinhard e Marco Signorini
Una mostra in collaborazione con il Comune di Pistoia, Palazzo Fabroni
Responsabile scientifico MAT: Maura Picciau
Comunicazione: Francesco Aquilanti, Emilia De Simoni
Segreteria organizzativa: Laura Ciliberti, Marina Innocenzi, Claudia Graziosi
Amministrazione: Raffaella Bagnoli, Maurizio Di Gregorio, Gianna Rita
Allestimento e tecnologie: Stefano Sestili, ditta Matec

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2010-2012

10 dicembre 2009 - 10 gennaio 2010 IL TIRO DELLA GRANDE FUNE
Mostra fotografica realizzata da Massimo Berretta.

Il Tiro della Grande fune (Naha ōzunahiki) si svolge annualmente a Naha, capoluogo dell'isola di Okinawa, nella domenica di ottobre che precede il giorno della Festa dello sport. È una sorprendente competizione durante la quale due squadre opposte si sfidano tirando una corda gigantesca. La fune, realizzata oggi in paglia proveniente da Taiwan, è la più grande del genere mai costruita ed è entrata a far parte del guinness dei primati nel 1995. L'evento, che occupa il secondo giorno del grande Festival di Naha costituendone l'attrattiva principale, è preceduto al mattino dalla parata dei 14 stendardi, ognuno dei quali rappresenta un quartiere della città. La parata degli stendardi parte dalla via Kokusai Dōri e guida la grande folla degli spettatori fino al crocevia di Kumoji dove ha luogo la gara del Tiro della Grande fune. La tradizione del tiro alla fune di Naha risale al XVII secolo ma lo svolgimento annuale è entrato in vigore solo dal 1971, in occasione del 50º anniversario della fondazione del governo municipale di Naha. La grande fune è costituita da due elementi, maschio (wuunna) e femmina (miinna), di uguale lunghezza, peso e larghezza, che presentano ad una delle due estremità una chiusura a forma di grande anello. Durante la cerimonia l'unione dei due anelli viene realizzata per mezzo di un bastone (kanuchiboo) di legno di sandalo rosso, del peso di 365 kilogrammi, lungo 3 metri e 65 centimetri e con un diametro di 43 centimetri. Dopo che ha avuto luogo questa unione, i gruppi rivali rispettivamente rappresentanti l'Est (corda maschio) e l'Ovest (corda femmina) si potranno affrontare e potranno iniziare a tirare la grande fune, ciascuno nella propria direzione, fino a quando uno dei due supererà i 5 metri dal centro della linea di partenza aggiudicandosi la vittoria. Le grida di incitamento dei capi delle due corde e le parole pronunciate a gran voce dai partecipanti per scandire il tempo e accompagnare lo sforzo fisico, si mescolano alla musica e al ritmo crescente dei tamburi mentre una moltitudine di spettatori assiste eccitata. Ad aderire ogni anno sono in migliaia: circa 280 mila persone, di cui più di 100 mila sono coloro che partecipano tirando la fune. Sebbene in origine questo rituale appartenesse esclusivamente alla sfera del religioso con la principale finalità di propiziare l'esito di abbondanti raccolti, in tempi più recenti, la festa ha assunto un valore squisitamente celebrativo. Con tale manifestazione, infatti, si vuole commemorare l'incursione aerea del 10 ottobre 1944, evento nefasto durante il quale la città di Naha fu quasi completamente rasa al suolo. Nella mostra è esposta anche una selezione di preziosi manufatti di corallo e di madrepore, della collezione privata Liverino di Torre del Greco. I manufatti, databili tra il XVIII e XIX secolo, sono esempi di differenti tipologie di corallo: asiatico e mediterraneo. L'isola di Okinawa ancora oggi rappresenta una fonte fiorente di coralli che esporta per la lavorazione in tutto il mondo.


15–21 giugno 2010 - CAMPUS ROM, C'ERA UNA VOLTA SAVORENGO KER
A cura di Michele Carpani, Max Intrisano, Maria Teresa Bovino

La mostra è un evento collaterale della I ed. della Festa dell'Architettura di Roma "Index Urbis"
L'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia (IDEA) ospita una mostra multimediale che racconta due esperienze di ricerca realizzate dal collettivo di artisti Stalker/ON in collaborazione con le comunità Rom della capitale. Due anni di lavoro, vissuti tra intese e malintesi, che hanno visto nascere progetti coraggiosi e sogni condivisi, narrati dalla mostra fotografica Campus Rom e dal documentario "C'era una volta... Savorengo Ker, la Casa di Tutti" di Fabrizio Boni e Giorgio de Finis, presentato in anteprima assoluta.
MOSTRA FOTOGRAFICA "CAMPUS ROM"
Il racconto, attraverso lo sguardo eterogeneo di diversi fotografi, di "Campus Rom, oltre i campi nomadi". Un progetto di ricerca transdisciplinare, formazione reciproca, progettazione e azione condivisa, attivato, da Stalker/Osservatorio Nomade, insieme a diverse comunità rom di Roma, in collaborazione con il Dipartimento di Studi Urbani della Facoltà di Architettura di Roma Tre ed altre organizzazioni cittadine, nazionali e internazionali, per affrontare l'emancipazione civile, culturale, economica, sociale e abitativa dei Rom, verso il superamento della realtà dei campi nomadi in Italia. Lo scopo dei fotografi è stato quello di documentare l'intervento diretto nello spazio urbano e narrare il processo costantemente aperto e fluido di attraversamento e superamento delle barriere tra le varie culture, e le energie che si sono sviluppate dando vita ad un'arte combinatoria in grado di rendere percettibile una comunità "invisibile".
Fotografie di: Simona Caleo, Giorgio de Finis, Max Intrisano, Massimo Percossi, Maria Stefanek, Maria Teresa Bovino, Hector Silva Peralta, Alessandro Imbriaco
ANTEPRIMA DEL FILM "C'ERA UNA VOLTA... SAVORENGO KER, LA CASA DI TUTTI"
Savorengo Ker (che in lingua Romanés significa "la casa di tutti") è un progetto sperimentale di costruzione partecipata realizzato nell'ex campo rom Casilino 900. È la storia di un'idea semplice e coraggiosa, divenuta il simbolo di emancipazione di una comunità emarginata. Il progetto è stato ospitato alla Biennale di Architettura di Venezia, è stato visitato da numerosi parlamentari europei, recensito dalla stampa internazionale e dibattuto nelle accademie di mezzo mondo, ma a Roma, dove la casa è stata costruita e presentata, ha incontrato solo ostilità e inutili polemiche. Ora quella casa non c'è più.
Regia di: Fabrizio Boni e Giorgio de Finis. Produzione: In Iride Sfoggio 2009. Durata: 55 minuti
TAVOLA ROTONDA
Insieme ad antropologi e architetti, ai rappresentanti delle comunità Rom e delle associazioni che operano sul territorio, si discuterà delle conseguenze del nuovo piano nomadi a Roma e delle proposte per superare il dispositivo dei campi rom, nel tentativo di individuare tematiche e strategie capaci di sottrarre il dibattito in corso dalla trappola dell'emergenza sociale.
Intervengono: Stefania Massari (direttrice dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia); Emilia De Simoni (antropologa, Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia); Barbara Terenzi (coordinatore Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani); Mirsad Sedjovic, Hakja Husovic, Bayram Hasimi, Nenad Sedjovic, Klej Salkanovic (direttori dei lavori della casa Savorengo Ker); Najo Adzovic (Coordinatore di Rom a Roma); Graziano Halilovic (presidente Roma Onlus); Giorgio Piccinato (ex direttore del DIPSU); Francesco Careri (Stalker/ON, DIPSU); Lorenzo Romito (Stalker/ON); Marco Solimene (antropologo); Fabrizio Boni e Giorgio de Finis (autori del film "C'era una volta...Savorengo Ker, la casa di tutti").


3 marzo 2011 - 8 maggio 2011 - L'INVERNO RUSSO
Mostra organizzata con il Festival Internazionale Diaghilev Post Scriptum e l'Unione Artistica Europea

Nell'ambito delle manifestazioni per l'Anno della cooperazione culturale Italia-Russia, il Festival Artistico "Diaghilev Postscriptum" di San Pietroburgo, rappresentato dal direttore artistico Natalia Metelitsa e dal Direttore esecutivo Ekaterina Sirakanian, d'intesa con l'Unione Artistica Europea (UAE) di cui è Presidente Marisa Pinto Olori del Poggio, e con il sostegno del Prof. Louis Godard, ha promosso la mostra "L'inverno russo".
La mostra illustra attraverso l'esposizione di 200 oggetti provenienti dai più prestigiosi Musei di San Pietroburgo - Museo dell'Hermitage, Museo di Arte Russa, Museo Etnografico, Museo-Parco Nazionale Tsarskoye Selo (ex residenza imperiale), Museo "Peterhof" (ex residenza imperiale), Museo del Teatro e della Musica - le tradizioni delle feste invernali russe della Corte dello Zar che univano gli elementi della cultura popolare tradizionale a quelli dell'aristocrazia. Proprio gli oggetti, i costumi e le carrozze invernali saranno i protagonisti di questa mostra allestita su disegno di Emil Kapelush e Alexander Malishev, famosi designers di San Pietroburgo. Questi oggetti trasporteranno il visitatore nelle atmosfere fredde, ma accoglienti, della tradizione russa, rievocando una festa di origine antichissime: la Maslenitsa, considerata il ponte di passaggio dall'inverno alla primavera. L'antico evento, con la partecipazione sia della corte dello Zar che del popolo, veniva celebrato con musiche, balli, giochi e maschere e può essere equiparato al nostro Carnevale. Tra gli oggetti di maggior prestigio: la slitta dello zar Nicola II, la slitta di carnevale del XIII sec., i costumi del famoso Ballo al Palazzo d'Inverno del 1903, tenutosi per celebrare i 200 anni dalla fondazione della città avvenuta nel 1703, i costumi del ballo "Veronese" così chiamato in onore del Rinascimento italiano oltre alle tele del pittore Boris Kustodiev.


16 marzo 2011 - 15 maggio 2011 - L'ANGELO DELLE ACQUE
Opere recenti di Mario Teleri Biason

9 giugno - agosto 2011 - SPIRITUEL - HANJI Capolavori in carta di gelso dell'artigianato coreano
Mostra organizzata dall'Associazione Culturale Korean Art in Europa e dall'Hanji Development Institute

Esiste in Corea una connessione intima fra il buddismo e la carta. Durante il periodo Koryŏ, quando il buddismo era al culmine, veniva effettuato un gran lavoro di copiatura e di stampa dei sutra buddisti e di altri scritti. Naturalmente, questo richiedeva che vi fosse una fonte affidabile di carta di alta qualità , e i monaci di molti monasteri sparsi per il paese si dedicavano a soddisfare questa necessità. Svilupparono le loro tecniche alla perfezione e la carta coreana divenne molto apprezzata e ricercata, non solo dagli stessi coreani, ma anche dai cinesi e dai giapponesi. La carta coreana conosciuta con il nome di hanji (韓紙), prodotta principalmente con la pianta del "gelso della carta" (Broussonetia kazinoki), è famosa per la sua qualità fin dai tempi più antichi nei paesi confinanti, Cina e Giappone. È anche così strettamente collegata con la vita di ogni giorno dei coreani da essere elencata come uno dei "quattro amici necessari per lo studio" (la carta, il pennello per scrivere, l'inchiostro e il calamaio). Per i coreani è stata molto importante da sempre ed è un patrimonio culturale prezioso da far conoscere al mondo e che dovrebbe essere conservato intatto per le generazioni future. Molto tempo fa la carta coreana che oggi si chiama semplicemente hanji fu denominata con nomi diversi a seconda del periodo storico, del suo colore, delle sue dimensioni, dell'area in cui veniva prodotta, del materiale usato per crearla, del processo di produzione e del suo utilizzo. Si sono così classificati circa 200 tipi diversi di hanji. Questa grande varietà di carta usata principalmente per scrivere e dipingere, veniva impiegata anche per creare articoli di uso comune e bellissimi oggetti d'arte che avremo l'opportunità di ammirare in questa mostra che l'Associazione Culturale Korean Art in Europa con l'Ambasciata della Repubblica di Corea hanno voluto organizzare presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.


24-25 settembre 2011 - MODA E COSTUME AD ATINA NEI PRIMI ANNI DEL NOVECENTO

La Mostra "Moda e costume ad Atina nei primi anni del Novecento" è curata dalla Direzione Generale PaBAAC e dall'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, con la collaborazione dell'Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi, della Soprintendenza Archeologica di Roma e della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio, sede di Atina.
I cinque abiti femminili esposti, gli elementi di costume e i gioielli, appartenenti alle collezioni dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, provengono dalle località di Atina e Casalvieri e sono databili fra la fine del XIX secolo e i primi anni del XX. Sono stati acquisiti fra il 1908 e il 1910 da Lamberto Loria per la grande mostra del Cinquantenario dell'Unità d'Italia, svoltasi a Roma in Piazza d'Armi nel 1911. I raccoglitori locali, oltre allo stesso Loria, risultano essere Mainardi e Graziani.
Tra gli abiti interi vi sono: un costume nuziale, un abito festivo e un costume da bambina. I gioielli di Atina in esposizione accompagnavano l'abito festivo; per quanto riguarda l'oreficeria di Casalvieri, i primi tre pezzi in ordine di numero di inventario sono relativi all'abito nuziale. Le foto degli abiti (Abito femminile, Atina 1907; Abito femminile, Atina 1907; Donna in abito da sposa o da cerimonia, Atina 1907), provenienti dall'archivio fotografico dell'Istituto, servivano all'epoca soprattutto per il corretto montaggio dei costumi in mostra. Palazzo Ducale - Atina


8-30 ottobre 2011 - L'ARTIGIANATO ARTISTICO TRA PASSATO E FUTURO
Mostra di opere degli allievi e dei docenti Scuola d'Arte e dei Mestieri del Comune di Roma "Nicola Zabaglia"

Assessorato alle Attività Produttive al Lavoro e al Litorale
Dipartimento Attività Economico-Produttive, Formazione-Lavoro
Nel 1870, un gruppo di artisti ed uomini di cultura romani, attivi nell'allora Consiglio Comunale, rappresentarono l'esigenza di accrescere qualitativamente la preparazione dei giovani che lavoravano nelle officine e nei laboratori artigiani, attraverso l'acquisizione delle cognizioni del disegno e della storia dell'arte. Così, l'anno successivo, nacquero le Scuole Serali del Comune di Roma, quali istituzioni culturali che offrivano una specifica preparazione culturale a fabbri, scalpellini, falegnami, intagliatori, decoratori etc con il preciso intento di valorizzare le opere frutto delle attività artigianali.
Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, nato per raccogliere i molteplici documenti "d'indole intellettuale, morale, artistica e pratica" come riporta il Regio Decreto del 1923, ha accolto in occasione dei festeggiamenti del 150° Anniversario dell'Unità d'Italia l'esposizione delle opere degli allievi della scuola "N. Zabaglia", riaffermando in tal senso la propria missione istituzionale volta alla conservazione, alla salvaguardia ed alla valorizzazione delle arti applicate e dell'artigianato.
La mostra, a cura della Dott.ssa Stefania Severi e dell'Arch. Renato Borzelli, responsabile dell'allestimento, presenta le opere, circa 100, degli allievi e dei docenti della Scuola d'Arte e dei Mestieri del Comune di Roma "Nicola Zabaglia" elaborate nell'anno 2010-11. Tutti i corsi, guidati dal Prof. Roberto Sacco, all'epoca coordinatore, hanno avuto al centro della loro didattica il tema delle tradizioni in dialogo con le opere del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, istituito con i materiali della mostra tenutasi a Roma nel 1911 per i 50 anni dell'unità nazionale.
Il corso di pittura (Laura Barbarini) ha lavorato sui mesi dell'anno. Il corso di ceramica (Romana Vanacore e Graziella Zamarra) ha rivisitato il contenitore per l'acqua. Il corso di disegno (Franco Crocco) ha riproposto gli antichi mestieri. L'illustrazione (Barbara Duran) si è ispirata alle favole italiane di Italo Calvino. Vari oggetti di fattura italiana sono stati restaurati (Restauro di Materiali Antichi: Marco Castracane e Giuliano Salaro). Il corso di affresco (Michelina Lambriola e Cristiana Pompei) ha rielaborato "L'allegoria del Buon Governo" di Lorenzetti e soggetti pompeiani. Le tecniche pittoriche antiche (Letizia Ardillo e Alessandra Pasqualoni) hanno ideato segni zodiacali e finti marmi. Il corso di scultura e formatura (Antonella Conte) si è sbizzarrito dai bersaglieri alla "Pizza Italia". Il mosaico (Prof.sse Elisabetta Accoto e Gabriella D'Anna) ha ripreso frammenti di antichi mosaici. Il corso di grafica al computer (Rossella Canuti) ha elaborato locandine per il museo e il progetto "Facce d'Italia". Alcuni ex allievi si sono uniti con opere omaggio all'arte italiana. La mostra ha avuto una prima edizione a Capri (NA) presso il Centro Caprense "Ignazio Cerio" nello scorso mese di Giugno. Un CD, con veste grafica di Antonella Conte, raccoglie l'intera produzione. Antonella Conte ha curato altresì l'immagine della mostra.
La Mostra ha ottenuto il patrocinio della Regione Lazio - Assessorato Cultura Arte e Sport e della Provincia di Roma - Assessorato alle Politiche Culturali.


10 novembre - 21 dicembre 2011 - IL PIANETA CARTA NEL III MILLENNIO - LE ORIGINI MARCHIGIANE: LA CARTA E FABRIANO

Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari che già in passato ha presentato a cura del CeSMA la Mostra ne promuove questa seconda edizione con carattere prettamente marchigiano e presenta alcune stampe ed alcuni volumi sul tema appartenenti alle proprie collezioni. L'esposizione, concepita in due sezioni strettamente correlate, una storica propedeutica ed una contemporanea vuole portare all'attenzione del visitatore la CARTA, quella di Fabriano, protagonista principale, unica ed insostituibile nelle varie forme ed applicazioni che l'uomo nel corso dei secoli le ha voluto dare. La sezione storica presenta alcuni documenti relativi al passaggio dall'uso della pergamena alla carta ed a seguire la carta per scrittura e stampa con riproduzioni delle storiche arti grafiche A. Tallone (dalla scrittura manuale a quella digitale); la filigrana (quale elemento di sicurezza e per riproduzioni artistiche) del Maestro Franco Librari; la carta per usi artistici con le incisioni del Maestro Roberto Stelluti, acquerelli degli artisti della Royal Water Colour Society; la carta per le banconote ed i valori e sua evoluzione. Il percorso espositivo accompagnato da un ricco apparato iconografico espone una cospicua parte di materiali provenienti dal Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano. Ne sono curatori Sandro Farroni già Direttore Generale della "Cartiere Miliani Fabriano SpA" e Venanzio Governatori quale Consigliere della Fondazione CARIFAC. Il nucleo contemporaneo, a cura di Stefania Severi, attraversa la seconda metà del XIX secolo fino ai giorni nostri, partendo da tre presenze ampiamente storicizzate: Guelfo, Sante Monachesi e Wladimiro Tulli. Molti altri nomi sono presenti nell'esposizione Eros Donnini, Renzo Barbarossa, Bruno d'Arcevia, Maurizio Meldolesi, Riccardo Piccardoni, Mario Sasso, Sandro Trotti, Valeriano Trubbiani etc.
Nell'ambito della mostra martedì 29 novembre a partire dalle ore 10.00 nella Sala Conferenze si terrà una giornata di studio dedicata alla Carta di Fabriano ed alla sua utilizzazione. Interverranno oltre al Direttore ad interim dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia - Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari dott.ssa Daniela Porro, altri rappresentanti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Franco Moschini Presidente del CeSMa, Sandro Farroni esperto in carta, Stefania Severi critico d'arte, gli incisori Eros Donnini e Roberto Stelluti, Gabriele Mazzara per l'acquerello, Enrico Tallone tipografo storico artistico. Si terranno delle dimostrazioni sulla fabbricazione della carta a mano a cura del Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano e si concluderà con un assaggio di prodotti tipici marchigiani.


23 novembre 2011 - 5 febbraio 2012 - EROINE DI STILE. La moda italiana veste il Risorgimento

In occasione della mostra "Eroine di stile. La moda italiana veste il Risorgimento" organizzata presso il Museo Nazionale Romano in Palazzo Altemps (Roma) nel quadro delle celebrazioni per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, l'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia ha concesso in prestito 6 abiti tradizionali datati fine '800 - primi anni del '900.
Questi abiti furono esposti nella grande esposizione etnografica del cinquantenario dell'Unità d'Italia (Roma 1911) e fanno parte delle raccolte di Lamberto Loria, etnografo e fondatore storico del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
I costumi tradizionali sono relativi a sei regioni d'Italia particolarmente interessate dai moti risorgimentali: Piemonte (Fobello); Lombardia (Premana); Lazio (Casalvieri); Calabria (San Lorenzo del Vallo); Liguria (Quaratica); Campania (Caserta e dintorni [Sessa Aurunca]). Museo Nazionale Romano in Palazzo Altemps


1 dicembre 2011 - 29 gennaio 2012 - LA TRADIZIONE DEI PRESEPI DI CRACOVIA
Mostra organizzata in collaborazione con il Museo Storico della Città di Cracovia

Ogni anno il Museo Storico della Città di Cracovia, in occasione delle festività natalizie, presenta nei musei degli altri Paesi i presepi delle sue collezioni; questi, sintesi di stili architettonici che vanno dal gotico al barocco al rococò, riproducono le cupole e le torri dei più famosi monumenti di Cracovia.
Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, nell'anno della Beatificazione di Giovanni Paolo II, ospita Cracovia con una mostra che sarà inaugurata nella Sala delle Colonne il 1 dicembre 2011, alle ore 17.00.
L'esposizione include nel suo percorso la Sala dedicata al Ciclo della Vita, nella quale oltre ai due presepi napoletani del '700, verranno esposti anche alcuni presepi di varie regioni italiane appartenenti alle collezioni museali.
Per l'allestimento dei presepi polacchi saranno utilizzati cassoni nuziali finemente intagliati in gran parte di origine sarda (fine 800 / inizi 900) della collezione originaria del Museo; per la prima volta verrà esposto un presepe polacco appartenente alle collezioni del Museo, restaurato nel 2007 in occasione del salone del restauro di Ferrara dello stesso anno. La manifestazione ha avuto il patrocinio della Fondazione "Giovanni Paolo II per la Gioventù".

Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia - Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari


5 dicembre 2011 - 8 gennaio 2012 - LA FESTA DELLE FESTE
Roma e l'Esposizione Internazionale del 1911

festafeste

Dalla mostra inaugurata il 5 dicembre 2011 una nuova sezione espositiva permanente dedicata alle origini del Museo.
Il 2011 è stato un anno particolarmente significativo per il nostro Paese, che ha visto, sull'intero territorio nazionale, le celebrazioni per il 150º anniversario dell'Unità d'Italia. Non poteva mancare in questo ambito di condivisione unitaria la testimonianza del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari (attualmente compreso nell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, istituito dal MiBAC nel 2008). Il 5 dicembre 2011 è stata infatti inaugurata una mostra che ripropone i luoghi, gli eventi e le atmosfere connessi alle Mostre Etnografica e Regionale realizzate a Roma durante l'Esposizione Internazionale del 1911 (Roma, Torino e Firenze), dalle cui raccolte ha tratto origine il nucleo principale delle collezioni del Museo stesso.
Come una sorta di "mostra delle mostre", l'esposizione presenta, tra narrazione fotografica e ricostruzione documentaria, un itinerario attraverso le opere che in quell'occasione vennero realizzate sotto la regia dei più importanti architetti dell'epoca: apparati effimeri, ma anche importanti interventi urbanistici che, insieme, hanno contribuito a delineare la configurazione attuale di interi quartieri di Roma. Con la riproposizione di costumi tradizionali, oggetti della quotidianità e della religione popolare, viene ricostruito un passato che costituisce una tappa fondamentale della nostra cultura e della nostra identità. I materiali regionali esposti nel 1911 erano in parte costituiti dalla collezione dell'etnologo Lamberto Loria (1855-1913) che, dopo aver compiuto numerose spedizioni in paesi extraeuropei, si rese conto, durante un breve soggiorno nel Sannio, della necessità di documentare anche in Italia quella cultura agro-pastorale messa in crisi dalla progressiva industrializzazione. La mostra prende avvio dal volume "La festa delle feste. Roma e l'Esposizione Internazionale del 1911". In occasione della pubblicazione sono state acquisite numerose immagini relative ai luoghi e agli eventi dell'esposizione romana, dalle fototeche dell'Iccd, del Museo di Roma, del Vaticano e di Editalia. Il lavoro di ricerca documentaria, bibliografica e iconografica ha coinvolto le diverse professionalità del personale dell'Istituto e ha prodotto una consistente mole di informazioni. Su tali basi è stato costituito l'idoneo supporto scientifico per la realizzazione di questa mostra, il cui "progetto di conoscenza" è raccontare al pubblico un evento poco noto, che ha tuttavia lasciato tracce indelebili, dal punto di vista scientifico nella successiva museografia etnologica italiana e da quello storico artistico nel tessuto urbanistico della Capitale.

Ideazione e coordinamento generale: Stefania Massari, Daniela Porro (direttore ad interim dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia)
Mostra a cura di: Stefania Baldinotti, Emilia De Simoni, Paolo Maria Guarrera
Progetto di allestimento, direzione tecnica e progetto illuminotecnico: Oreste Albarano, Stefano Sestili
Testi: Stefania Massari, Stefania Baldinotti
Ricerche bibliografiche e documentarie: Stefania Baldinotti, Anna Paola Bovet, Laura Ciliberti, Francesco Floccia, Marina Innocenzi, Marisa Iori, Francesca Montuori, Valerio Lazzaretti, Lidia Paroli
Acquisizione, elaborazione digitale e masterizzazione delle immagini: Stefano Sestili con Simonetta Rosati
Laboratorio di restauro: Lucia Carta Brocca, Roberta Scoponi, Nicolò Giacalone, Franco Rossi Gandin
Ufficio inventario: Anna Cologgi
Ufficio amministrativo: Loredana Alibrandi, Raffaella Bagnoli, Maurizio Di Gregorio, Enrico Vergantini
Segreteria: Claudia Graziosi
Allestimenti: Matec Impianti
Si ringraziano per i prestiti gentilmente concessi: Laura Moro, direttore dell'istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione; la Biblioteca Vaticana.

Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia
Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari


21 gennaio - 25 marzo 2012 - L'ABITO POPOLARE RUSSO

21-01-2012

in collaborazione con il Museo Etnografico Russo di San Pietroburgo

La Mostra presenta cinquanta abiti databili tra il XIX e il XX secolo, appartenenti alle collezioni del Museo Etnografico Russo di San Pietroburgo, originari di differenti regioni della Russia di cui una rilevante parte fu raccolta e conservata a partire dal 1867, anno in cui si tenne a Mosca la prima Esposizione Etnografica. Il criterio adottato nella scelta degli abiti esposti è stato quello di offrire, anche ad un pubblico non specializzato, la possibilità di apprezzare la tradizione culturale russa attraverso l'abito popolare e mostrare in maniera adeguata tutte le diversità ed il valore estetico dell'abbigliamento tradizionale. Il visitatore potrà così rintracciare immediatamente i temi dell'evoluzione storica ed osservare l'abito popolare con le sue peculiarità, il luogo in cui era diffuso, il legame con la ritualità, l'età e il sesso di chi lo indossava. I principali tipi di abiti maschili e femminili tra i quali il più arcaico con la poniova, il sarafàn un abito lungo senza maniche e l'abito con la gonna a righe. Ancora oggi, in alcune località, le donne anziane continuano a portare la poniova, la camicia, il perednìk ed il copricapo, secondo i modelli tradizionali. La collezione è stata esposta in Mostra nel 2009 a Parigi e viene riproposta a Roma in occasione dell'Anno della cultura e della lingua russa in Italia.


5 dicembre 2012 - 31 marzo 2013 - LA SEDUZIONE DELL'ARTIGIANATO. OVVERO: IL BELLO E BEN FATTO

05-12-2012

A cura di Bonizza Giordani Aragno e Stefano Dominella

Una grande mostra che celebra la maestria sartoriale del Made in Italy attraverso l'esposizione museale di centotrenta abiti. "La Seduzione dell'Artigianato ovvero: il bello e ben fatto", promossa da Unindustria - Unione delle Industrie e delle Imprese di Roma, Frosinone, Rieti e Viterbo in collaborazione con CNA - Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa del Lazio e con il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, con il contributo della Camera di Commercio di Roma e con il Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Provincia di Roma, della Camera Nazionale della Moda Italiana e di AltaRoma, che inaugura il 5 dicembre presso il Salone d'Onore del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni di Roma, è un tributo all'Alto Artigianato racchiuso nella moda italiana. Un focus sulle straordinarie lavorazioni e sulle sapienti mani artigiane che le realizzano, fiore all'occhiello del bello e ben fatto rigorosamente italiano. La vernice della mostra sarà preceduta da una conferenza stampa che illustra l'evoluzione della professione Sartoriale, partendo dalle Caterinette fino alla dressmaker. Saranno presenti: Attilio Tranquilli - Vice Presidente Vicario Unindustria Roma, Daniela Porro - Direttore Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed etnoantropologico per il Polo Museale della città di Roma, Nicola Zingaretti - Presidente Provincia di Roma, Lorenzo Tagliavanti - Direttore CNA Roma, Maurizio Tarquini - Direttore Generale Unindustria, Stefano Dominella - Vice Presidente con delega alla moda Sezione tessile abbigliamento moda e accessori Unindustria, Stefano Micelli - Professore di Economia e Gestione delle Imprese Università Cà Foscari, Bonizza Giordani Aragno - Storica della moda.
L'esposizione, a cura del Vice Presidente con delega alla moda Sezione tessile abbigliamento moda e accessori Unindustria Stefano Dominella e della storica della moda Bonizza Giordani Aragno, si articolerà non solo attraverso meravigliosi manufatti inediti e contemporanei ma, la rivisitazione del "bello e ben fatto" partirà dal costume popolare italiano che all'Expo internazionale a Roma nel 1911 decretò il successo del nostro Paese come leader del settore manifatturiero in Europa. Grazie alla lungimiranza della Sovrintendente Daniela Porro saranno in mostra anche preziosissimi costumi, patrimonio storico del Museo, accanto agli abiti degli stilisti più acclamati del nostro secolo. E ancora in esposizione tavole di ricami preziosissime dagli anni Trenta ad oggi e croqui di lavorazioni sartoriali eccelse. Completeranno l'esposizione fotografie di laboratori-couture e sartorie, tanti volti sconosciuti da ammirare e immagini di particolari di quelle lavorazioni che hanno fatto la storia della moda ma che ancora oggi vengono realizzate con indubbia maestria, anche grazie alle nuove tecnologie. Plissé, nervature millimetriche, asole di ogni tipo, tessuti dipinti a mano e molte altre tecniche sartoriali saranno protagoniste della mostra. In mostra le mirabilie sartoriali delle più importanti case di moda italiane e di giovani designer che con la loro creatività rappresentano il futuro del Made in Italy. Sono stati inoltre coinvolti gli studenti dei più importanti Istituti e Accademie di moda e design e storici atelier di calzature che ancora oggi realizzano un prodotto rigorosamente fatto a mano.
Un percorso espositivo didascalico e sorprendente, con abiti e materiali mai visti prima,un excursus creativo-artigianale, sia per il pubblico tecnico che per i comuni visitatori della mostra. Durante la vernice della mostra verranno premiate una sarta première per l'impegno profuso durante la sua lunga carriera e una giovane dressmaker con l'augurio di diventare un'affermata professionista del settore.

Si ringraziano: Armani, André Laug, Antonio Marras,Benedetta Bruzziches, Bertoletti, Blumarine, Camillo Bona, Carta e Costura, Dal Co', Delfrance Ribeiro, Emilio Schuberth, Enrico Coveri, Fondazione Annamode, Fondazione Gianfranco Ferré, Francesco Scognamiglio, Gabriele Colangelo, Galitzine, Gattinoni, Klopman, Lancetti, Laura Biagiotti, Leonardi, Maison Litrico, Marella Ferrera, Maurizio Galante, Max Mara, Mila Schön, Missoni, ModatecaDeanna, Mortari, Nicola Del Verme, Odile Orsi, Prada, Raffaella Curiel, Renato Balestra, Roberta di Camerino, Roberto Capucci, Roberto Cavalli, Roberto Spinelli, Romeo Gigli, Salvatore Ferragamo, Sante Bozzo, Santo Costanzo, Sarli, Scuderi, Sorelle Fontana, Spadafora, Sportmax, Sylvio Giardina, Stefano Merola, Teatro dell'Opera di Roma, Tiziano Guardini, Valentino,Versace, Walter Albini. Istituti e Accademie italiane di moda: Accademia di Costume e di Moda, Accademia di Belle Arti Frosinone, Accademia Koefia, Accademia Maria Maiani, Accademia Nazionale dei Sartori, Istituto Europeo di Design, Istituto Virginia Woolf, Scuola di Moda Ida Ferri

CREDITI
Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari - Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia
Direttore ad interim: Daniela Porro
Allestimento: Oreste Albarano, Roberta Scoponi, Franco Gandin, Nicolò Giacalone
Comunicazione web e Archivio di Antropologia Visiva: Emilia De Simoni
Apparati audiovisivi e multimediali: Stefano Sestili, Simonetta Rosati
Ufficio del Direttore: Loredana Alibrandi
Segreteria di Direzione: Laura Ciliberti, Marina Innocenzi, Claudia Graziosi
Segreteria Comunicazione web: Francesca Montuori
Accoglienza e vigilanza: Antonio Fiorillo
Attività in conto terzi: Luigia Ricci Rozzi

Catalogo
Testi: Daniela Porro, Paolo Maria Guarrera
Fotografie: Massimo Berretta
Ricerche inventariali: Paolo Maria Guarrera, Roberta Scoponi, Anna Cologgi

Realizzazione e organizzazione
Mostra a cura di Bonizza Giordani Aragno e Stefano Dominella
Ideazione Progetto a cura di Sezione Tessile Abbigliamento, Moda e Accessori di Unindustria
Organizzazione e Ufficio Stampa a cura di Unindustria
Realizzazione Progettuale a cura di Unione Servizi Roma
Redazione, coordinamento e ufficio stampa moda: Edoardo de' Giorgio, Gustavo Marco P. Cipolla, Giulia Cupello
Progetto di allestimento: REDSTUDIO
Coordinamento allestimento: Rossella Ronti, Joi De Santis
Studio grafico per l'allestimento: Maria Giudice
Immagini fotografiche delle aziende associate Unindustria: Paolo Belletti

Si ringraziano
Anna Biagiotti, Barbara e Marisa Curti, Paola Fidanza, Silvia Samaritani Giordani. Gabriella Lo Faro, Simona Marchini, Maria Stella Margozzi, Rita Samaritani Midulla, Deanna Ferretti Veroni

Catalogo
Concept a cura di Stefano Dominella
Immagini fotografiche a cura di Antonio Barrella
Studio grafico a cura di Simona Petrollini
Styling dello shooting fotografico ed elaborazione archivio di moda a cura di Simona Aragno, Lucia de Grimani, Isabella Faggiano
Realizzazione catalogo: Edizioni Sette Città Srl

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Casa trentina

Il modello trentino costituisce un esempio del polimorfismo delle dimore alpine, i cui materiali costruttivi tipici testimoniano la confluenza di due diverse tradizioni architettoniche, quella latina in muratura e quella germanica di legno. L'esemplare esposto presenta la copertura di paglia, un tempo largamente diffusa, poi progressivamente scomparsa per la deperibilità e l'infiammabilità del materiale usato. Per lo più riunite in villaggi, secondo la tendenza all'insediamento accentrato, prevalente nell'area alpina, le case trentine hanno di solito una struttura unitaria, con abitazione e rustico disposti sotto lo stesso tetto.

Questo tipo di dimora ha il tetto a spioventi molto inclinati di paglia, ma più spesso composto da tavole di legno e scandole. La casa, a due o tre piani, richiede un impiego prevalente di legname, spesso solo il pianterreno è in pietra; le scale di legno sono prevalentemente interne, sui lati esterni sono poggioli, balconi e ballatoi. Le costruzioni di grandi dimensioni ospitano famiglie e lavoratori stagionali, elemento centrale della casa è la stube generalmente al primo piano la stanza più curata che si svolge intorno ad una grande stufa.

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Casa colonica

Presente in gran parte del nostro paese la casa unitaria è costituita da una sola costruzione in muratura, a due piani, con tetto a due spioventi poco inclinati ricoperti di materiale laterizio coppi (tegole) o émbrici. Nelle case di questo tipo l'abitazione (cucina e camera da letto) e il rustico (stalla e fienile) possono essere giustapposti, cioè uno accanto all'altro, oppure sovrapposti con il rustico a pianterreno.

La casa di tipo unitario, specie nell'Italia centrale, è legata al tradizionale sistema di mezzadria. In esposizione è la casa colonica toscana del Valdarno superiore, nella cui struttura si individuano chiari elementi di architettura rinascimentale e urbana, quali portico e loggia ad arcate, tetto a padiglione, torre colombaia. Tali elementi ne indicano la proprietà da parte della borghesia mercantile cittadina, che inizia alla fine del Medioevo a investire capitali nell'acquisto delle terre e nell'organizzazione dei poderi.

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Trullo

La casa di pietra con base quadrangolare costituita da un solo vano con basso accesso, senza finestre, con il camino in pietra solitamente ad un solo piano con copertura a terrazzo a botte, a volta, a padiglione (lamia in Puglia) è il tipo di abitazione diffusa nell'Italia meridionale. Un tipo particolare è il trullo, la dimora tipica delle Murge pugliesi.

Costruzioni a pianta circolare i trulli possono essere sparsi nelle campagne oppure, nelle forme più evolute a pianta quadrangolare, riuniti a formare un abitato (Alberobello).

Si tratta di costruzioni in muratura a secco con tante guglie coniche quanti sono gli ambienti interni. L'originaria pianta circolare è conservata, oltre negli esemplari di più antica costruzione, nei ricoveri temporanei e nei rustici. Sui coni di copertura, culminanti in pinnacoli simbolico-decorativi di varia forma, sono dipinti a calce simboli grafici di carattere magico-religioso.

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Soffitti in gesso

Il soffitto formato da pannelli portanti di gesso, sorretti da travi e traverse in legno differentemente ornato con marchi e simboli è stato spesso utilizzato in case coloniche ed è un tipo di prodotto che permette di affrontare sia il tema della tradizione artistica popolare che le tecniche e le funzionalità costruttive dell'architettura rurale. Per questo sono stati ricostruiti nel percorso espositivo due soffitti in gesso, l'uno piemontese del Basso Monferrato e l'altro siciliano di Montallegro, comune in provincia di Agrigento, che permettono di porre a confronto due tecniche esecutive e quindi due diverse tradizioni culturali: nel Basso Monferrato l'uso del gesso era legato soprattutto ai soffitti decorati a rilievo, realizzati mediante matrici lignee intagliate da artigiani specializzati. A Montallegro invece, dove il gesso ha costituito il materiale edilizio di più largo impiego fino agli anni '60, i soffitti presentavano un aspetto meno rifinito, con l'armatura di canne spesso lasciata a vista.

Soffitti di gesso del Basso Monferrato

Il sistema costruttivo dei soffitti con travature di legno e pannelli di gesso è documentato in Piemonte dal XVII al XIX secolo. L'area di diffusione del fenomeno si estende nei territori del Basso Monferrato e di parte dell'Albese, e coincide con una zona di notevole concentrazione di depositi gessosi. Ai vantaggi economici derivanti dall'impiego di materiale di produzione locale, questo tipo di soffitto aggiungeva la praticità della tecnica di costruzione. I pannelli venivano messi in opera mediante una matrice di legno che recava intagliato in negativo il disegno da ottenere in rilievo nella specchiatura del cassettone del soffitto. Posata l'orditura lignea, si collocava la matrice tra due travetti; si procedeva quindi alla gettata dell'impasto di gesso, nello spessore del quale si disponeva un'armatura costituita da canne o da rametti di nocciolo o castagno. A presa ultimata, la matrice, precedentemente trattata con olio di lino per favorire il distacco del gesso, veniva rimossa dal basso, quindi spostata in corrispondenza dei travetti successivi fino a completare l'intero soffitto. In tale modo si costituiva una piastra monolitica che serviva da pavimento per il piano superiore dato che il soffitto di "gesso armato", era portante e quindi contemporaneamente anche solaio.

Il repertorio iconografico delle matrici per i soffitti di gesso risulta assai vario (motivi fitomorfi, zoomorfi, geometrici, ispirati alla simbologia religiosa e araldica) e si avvale sia di forme auliche, talvolta sottoposte a semplificazione, sia di forme riconducibili alla cultura rurale. I motivi decorativi consentono di stabilire una serie di legami con l'arte della lavorazione del legno: evidenti sono per esempio i rapporti con l'intaglio di mobili, porte, finestre, nonché con quello degli arredi ecclesiastici. Le matrici erano infatti realizzate da intagliatori specializzati (minusieri), per quanto il linguaggio estremamente semplificato di alcune decorazioni attesti anche la presenza di un artigiano contadino e forse dall'esecutore al fruitore del prodotto finito. Significativi appaiono anche i nessi con altre tecniche artigianali (ricamo, ferro battuto), mentre non si evidenziano rapporti con la decorazione plastica a stucco, pur così diffusa nell'architettura barocca piemontese.

Alcuni motivi decorativi godettero di particolare fortuna, come dimostra la presenza di varianti, la loro permanenza nel tempo, la loro estesa diffusione territoriale. Il frequente impiego di una stessa matrice in comuni diversi è connesso al fenomeno della mobilità dei mastri muratori che costruivano i soffitti. Utilizzato anche per realizzare elementi di arredo come cornici di camini, mensole, scansie, il gesso resta fra i materiali da costruzione più largamente usati nel Basso Monferrato fino al termine dell'Ottocento quando, con l'affermarsi di nuove tecniche legate all'industria, viene relegato fra i comuni leganti edilizi.

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Arredo

La funzione di arredare e corredare degli utensili necessari la casa è di norma socialmente regolamentata e compete, a seconda delle usanze locali, a uno dei coniugi al momento del matrimonio.

L'arredo tradizionale era di solito costituito da alcuni elementi base: i letti, i sedili, la madia per il pane, la cassa per il corredo. Queste ultime hanno un rilievo particolare essendo mobili di profondo valore simbolico e si presentano spesso riccamente intagliati, come nel caso dei cassoni nuziali sardi. Di sicuro interesse risultano anche le piccole sedie esposte, usate dalle donne davanti alla soglia della propria abitazione per intrattenersi con le vicine, che suggeriscono la dialettica interno-esterno, vita familiare-relazioni sociali.

La cassa è l'elemento più antico nella storia del mobile, destinata a soddisfare le necessità del contenere, del conservare, del trasportare, del tenere in ordine, è quasi sempre associata al corredo domestico tradizionale. L'espressione "cassa nuziale" arricchisce il dato funzionale di profondi valori emotivi: la cassa nuziale rappresenta l'universo femminile nel momento di passaggio dalla vecchia alla nuova casa. E' anche l'oggetto che più di altri concentra in sé l'abilità tecnica e artistica dell'artigiano, espressa nell'intaglio e nell'intarsio del legno, allude, con gli oggetti conservati, all'abilità femminile che trova applicazione nel tessere i tessuti e nel ricamo i cui motivi vengono reiterati nei ricchi intagli dei frontali dei cassoni. Questi hanno decorazioni differenti a seconda della provenienza ornati nel prospetto frontale con ruote solari, cuori, uccelli, rami di fiori e foglie, simboli religiosi a protezione della felicità e della fertilità degli sposi.

Morfologicamente ben documentata è anche la madia, che ha la funzione di contenitore per preparare e conservare il pane, alimento denso di valore sacrale e di significati simbolici, metafora di vita e di sopravvivenza, la cui funzione nutritiva si intreccia ad altre più complesse funzioni sociali e rituali. Intorno all'uso della madia ruotano numerose credenze popolari connesse in modo particolare al simbolismo della lievitazione.

Mobili tipologicamente più moderni, come il comò, l'armadio, la credenza, sono stati adottati dalle classi popolari in tempi più recenti e risentono dell'influenza dell'arredo delle classi superiori, come nel caso degli armadi con decorazioni policrome provenienti dall'Alto Adige, dove la tradizione degli armadi dipinti, connessa al fiorente artigianato del legno, è particolarmente vitale tra la fine del Settecento e dell'Ottocento.
Lo spazio riservato alla camera da letto, che nella casa popolare costituisce lo scenario di alcuni momenti culmine del ciclo della vita, presenta esemplari di letti e di armadi, alcuni utensili come gli scaldaletto, e oggetti afferenti la sfera magico-religiosa, quali ad esempio le pitture su vetro da appendere alle pareti o le acquasantiere destinate al capezzale del letto.

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Focolare

Il focolare costituisce il fulcro della domesticità, il nucleo essenziale: il fuoco è la casa. Simbolo della famiglia luogo di raduno dei suoi membri, il focolare rappresenta il punto di contatto con il trascendente, come confermato da una serie di credenze popolari che sottolineano le valenze magico-sacrali della catena e la funzione del camino quale sentiero dei morti.

Gli accessori per il focolare e gli utensili domestici riferibili alla sfera alimentare e ai lavori domestici dell'approvvigionamento, della conservazione e della preparazione del cibo costituiscono una articolata esemplificazione di funzioni, forme e materiali diversi., ad essi è stata riservata una vetrina che, a ricordo della centralità della vita domestica, occupa una posizione centrale ed è in asse con la camera da letto.

Punto di convergenza "delle memorie dei propri antenati" il focolare costituisce il "cuore della casa". Il fuoco riscalda, illumina, cuoce, pertanto insieme ai vari tipi di accessori: alari, catene, treppiedi, graticole, molle, palette, soffioni, soffietti, spiedi sono esposti nella vetrina i recipienti per la cottura: paioli, pentole, padelle e tegami in metallo, terracotta e pietra ollare. Sono poi presentati altri utensili relativi alla sfera alimentare e ai connessi lavori domestici della preparazione del cibo, dell'approvvigionamento e della conservazione di alimenti e bevande: catini, colatoi, recipienti per il sale, taglieri, vasi per conserve, recipienti per il trasporto dell'acqua, quali secchi, conche e brocche, e ancora fiasche e boccali per il consumo di liquidi in campagna e in casa, di particolare interesse risulta la collezione dei recipienti in terracotta di Caltagirone.

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Orario ICPI
Dal lunedi al venerdi
9.00-17.00
Metro Linea B (EUR Fermi) Bus 30 Express, 170, 671, 703, 707, 714, 762, 765, 791
Amministrazione
trasparente

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