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Articoli filtrati per data: Aprile 2014

Santissimo Crocefisso a Brienza

prima domenica di maggio - terza domenica di settembre

La festa del SS. Crocifisso

I festeggiamenti al SS. Crocifisso a Brienza (Potenza) - la festa più sentita dalla popolazione locale e dei dintorni - seguono il doppio rituale che in altre areee della Basilicata caratterizza il culto mariano: rito di andata a maggio - ascendente - dalla Chiesa madre di Brienza al al Santuario in cima alla montagna, e rito discendente di ritorno a settembre, quando dal monte si torna in città. La tradizione rimanda agli inizi del sec. XIII l'istituzione della cappella in cima alla montagna a seguito di un miracolo avvenuto nei paraggi. Nel 1814 la chiesa divenne santuario e l'anno successivo il papa Pio VII concesse al luogo indulgenze plenarie e parziali. Originariamente veniva venerata una scultura lignea policroma del Cristo in croce, risalente al XVI sec., che nel 1960 fu sostituita con l'attuale Crocifisso opera di G.V. Mussner di Ortisei. La scultura lignea originaria è oggi conservata sull'altare maggiore della Chiesa di San Zaccaria a Brienza. La statua è di rara bellezza ed i tratti intensi del Cristo hanno da sempre colpito profondamente i fedeli. Narra la tradizione che il Crocifisso, una volta terminato di essere scolpito, avesse preso vita all'improvviso e cominciato a parlare domandando all'artista come avesse fatto a raffigurarlo in maniera così perfetta.

Maggio: la salita

La prima domenica di maggio, originariamente il giorno 3, ricorrenza liturgica dell'Invenzione della Croce, avviene il "trasporto" del Crocifisso. Dalla Chiesa di S. Maria Assunta, chiesa matrice di Brienza, fino al Santuario al monte, lungo un percorso di circa 3 km., si snoda una processione solenne: in questa occasione, la Madonna Addolorata accompagna il figlio Gesù in processione fino al largo San Nicola allo Spineto dove, dopo una funzione religiosa, le due immagini si separano. La Madonna dell'Addolorata rientra nella chiesa matrice mentre Gesù crocifisso viene portato a spalla fino al Santuario per un cammino ripido e faticoso segnato dalle colonnette della Via Crucis. Giunti al Santuario, il Crocifisso resterà lì esposto alla pietà e alla devozione dei fedeli fino alla terza domenica di settembre. La festa di maggio sembra essere riservata piuttosto ai devoti abitanti di Brienza che, dopo la deposizione della statua nel Santuario, si diffondono nella campagna circostante per la consumazione di pasti tradizionali, tra cui biscotti inzuppati nel 'vincotto', soppressate, salsicce, formaggio e vino al suono delle tarantelle eseguite con gli organetti.

Settembre: la discesa

Le celebrazioni della terza domenica di settembre, giorno del rientro solenne nella chiesa madre di Brienza, e che cade qualche giorno dopo la festa liturgica dell'Esaltazione della croce, sono più complesse e la partecipazione dei fedeli è più ampia ed estesa. Per l'occasione giungono molti pellegrini dei paesi limitrofi e molti degli abitanti emigrati in giro per il mondo ritornano al paese. Durante il Santo Ottovario - otto giorni prima della processione di ritorno - i fedeli possono ottenere le indulgenze plenarie e parziali. Trascorsi questi giorni, la domenica mattina, dopo la Messa Solenne e la benedizione, il Cristo viene disteso su un telo di porpora e preceduto dal clero e dalle confraternite e seguito dalle giovani che portano sul capo "i cinti" - complesse composizioni votive di candele - sul capo e dal resto dei fedeli, ridiscende dal monte verso la chiesa dell'Annunziata.

Mentre la processione scende dal Santuario a monte verso Brienza, dalla Chiesa Matrice si avvia una seconda processione che accompagna la Madonna dell'Addolorata, vestita di bianco e seguita da fanciulle nella stessa tenuta, incontro al Figlio: il commosso momento dell'incontro, accompagnato dai sacri canti, detto "l'affrontata" avviene nei pressi del Calvario, alle porte del paese, qui le due processioni si fondono diventando un unico corteo.

La lunga processione giunge infine, fra preghiere e suoni, in piazza dove si volge il cosiddetto volo dell'angelo. Il momento del volo dell'angelo, rito di origine non chiara forse connesso al culto di San Michele, rappresenta sicuramente un altro degli aspetti caratteristici di questa cerimonia: un bambino, vestito da angelo, sospeso a mezz'aria su un cavo teso fra due palazzi e trattenuto da corde, viene calato e sollevato per sette volte sul Crocifisso e sulla Madonna, mostrando al popolo dei fedeli i sette simboli della Passione: incenso, calice, corona di spine, spada, croce, lancia, cero e recitando nello stesso tempo strofe sulla Passione.

Al termine di questa rappresentazione la processione riprende il suo corso e giunge alla Chiesa Madre riccamente parata a festa. Le due immagini, ritornate nella Chiesa, vengono esposte per la adorazione dei fedeli, con la Madonna ai piedi del Crocifisso. La festa si conclude a sera con uno spettacolo di fuochi d'artificio.

Testo: F. Floccia e B. Terenzi (tratto da Feste e Riti d'Italia). Adattamento a cura della Redazione


Foto: S. Cuneo, 1996-1998
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Madonna del Pollino a San Severino Lucano

prima domenica di giugno - venerdi sabato e domenica della prima settimana di luglio - seconda domenica di settembre

La salita

La prima domenica di giugno, all'alba dopo la messa, dal paese di San Severino Lucano (Potenza), si avvia la processione che porterà la statua della Madonna al Santuario sul monte, dove arriverà al tramonto dopo aver percorso ben 18 chilometri. Oltre agli abitanti di San Severino Lucano vi partecipano i fedeli provenienti da tutta la valle del Frido e da molti paesi limitrofi. Lungo il tragitto vengono effettuate alcune pause di ristoro e di preghiera su piccole strutture di mattoni a bordo strada, dette pisuoli, oltre ad una lunga sosta presso la frazione di Mezzana, dove viene celebrata la messa nella chiesa di Maria SS. dell'Abbondanza. Come avviene anche in altre processioni in occasione delle "poggiate" della statua si manifesta il rito dell'offerta ai pellegrini, da parte degli abitanti delle zone in cui sitrovano i pisuoli, di vino, caffè, latte, biscotti e frittelle.

Il trasporto della statua, affidato ad una confraternita laica che mantiene e tramanda questo rito, segue un preciso codice non scritto: la posizione del portatore rispetto alla statua, la durata del suo sforzo, il tratto da esso percorso, sono regolate da norme ben precise che, tuttavia, vanno perdendosi nel corso del tempo. Alla processione partecipano - sempre meno, col trascorrere degli anni - donne che, lungo il percorso accidentato del pellegrinaggio, portano in bilico sul capo le "cinte", pesanti e complesse composizioni di fasci di cereali e candele che costituiscono una forma di ex-voto peculiare della devozione in Basilicata.

Le portatrici sono spesso incitate a ballare dai suonatori che accompagnano la processione. La danza è un modo per esprimere devozione alla Vergine: la tarantella, che comunemente si associa ad occasioni ludiche, qui assume la forma di "danza processionale" e "devozionale". I cantatori e i suonatori di zampogna, organetto e tamburello sono tra protagonisti di questa giornata e di tutto il culto alla Madonna del Pollino. Lungo il percorso, i canti, la musica e la danza sostengono, incitano e danno energia ai pellegrini, ma soprattutto costruiscono un "ambiente sonoro" e coreutico che, a dire di molti, ha la stessa valenza della preghiera e che contribuisce ad avvicinare il divino.

La festa

Venerdì, sabato e domenica della prima settimana di luglio ha luogo la più festosa, affollata, sentita festa devozionale alla Madonna del Pollino ora custodita nel Santuario diocesano sul monte. Le provenienze sono dalla Basilicata e dalla Calabria e, anche se oggi è possibile raggiungere il Santuario in automobile, molti preferiscono ancora raggiungere il luogo sacro a piedi lungo antichi tratturi montani. L'area sacra è priva di strutture di accoglienza, pertanto, i pellegrini che decidono di festeggiare la Madonna per tre giorni devono costruirsi un ricovero per la notte e portarsi tutto il necessario per il sostentamento: i pellegrini innalzano sotto i faggi e gli abeti tende da campeggio o o allestiscono ripari di fortuna che. Dopo il saluto alla Madonna custodita nel Santuario, è il tempo degli incontri, dei saluti, del raccontarsi, dello scambio di prodotti tipici, vino e di strumenti musicali popolari. I fedeli provenienti da tutto il circondario, molto spesso, si incontrano solo in occasione di questa ricorrenza, che assume, quindi, anche il colore della festa popolare.

A partire dal tardo pomeriggio del venerdì tutta l'area comincia ad animarsi di tantissimi microeventi che coinvolgono questa comunità temporanea di fedeli e che hanno costituito un fertile campo di osservazione per generazioni di antropologi, etnomusicologi ed etnocoreologi di tutta Europa. Comincia a diffondersi il suono delle zampogne, delle surduline (una particolare zampogna diffusa soprattutto nell'area del Pollino e dell'alto Jonio, di piccole dimensioni e dalle caratteristiche tali da indurre gli organologi a pensare che sia uno degli strumenti di questo tipo più antichi sopravvissuti in Italia), degli organetti e dei tamburelli. I suonatori vanno al Santuario, eseguono suonate e danze devozionali al cospetto della Madonna, per poi ritornare al luogo dell' accampamneto. Qui è usanza portare i "suoni" ai membri più anziani della comunità, che partecipano attivamente, suonando, cantando o ballando e che, per tradizione, ricambiano la visita dei suonatori e dei danzatori con insaccati, carne arrostita e abbondanti libagioni. L'offrire cibo e vino, in questo contesto, assume una precisa simbologia legata sia all'ospitalità, sia a elementi religiosi, propiziatori ed augurali.

La danza è un altro degli aspetti che caratterizzano la festa di luglio: tarantella e pastorale calabro-lucana sono ancora molto vitali; le danze ludiche si alternano a quelle devozionali e, anche se questa pratica non è incoraggiata dalla Chiesa locale, è uso danzare nel Santuario o sul sagrato, soprattutto a notte inoltrata, davanti alla statua della Madonna. Quando è sera la montagna si illumina dei fuochi, sui quali, per tradizione, i pellegrini cuociono carne. Fino a qualche decennio fa centinaia di animali venivano macellati sul posto, un atto antico e simbolico che richiamava antichi riti sacrificali. Intanto, all'interno del Santuario, i devoti continuano a portare il loro omaggio alla Vergine. Alcuni, soprattutto i più anziani, rimangono in chiesa per tutta la notte rivolgendo alla Madonna preghiere, litanie e canti popolari. La mattina del sabato l'area circostante l'edificio di culto si affolla gradualmente di fedeli in trepidante attesa. Alle ore 11,00 tra manifestazioni di fede, suppliche, invocazioni e scoppi di mortaretti "esce la processione" dal santuario che dal mese di giugno custodisce la Statua: sul crinale tra le valli di Frido e di Sinni l'effige di Maria benedice il "popolo lucano" e poi, dall'altro versante, il "popolo di Calabria".

La processione si snoda lungo i percorsi della montagna preceduta dal clero e dalle donne con le cinte e seguita dalla banda, e dai suonatori del Pollino, ad ogni poggiata i fuochi pirotecnici salutano la Madre di Dio, mentre i fedeli, soprattutto le donne, si rivolgono alla Madonna come donna e come madre. Questo è il momento nel quale si manifestano apertamente le motivazioni personali che hanno spinto il fedele al pellegrinaggio: c'è chi rivolge richieste, chi ringrazia per la grazia ricevuta, altri espiano una colpa e come in tutte le manifestazioni delle religiosità popolare, tali atti sono pubblici ed esibiti anche attraverso modalità espressive non sempre coerenti con l'ortodossia cattolica.

Contrariamente a quanto comunemente si crede, a questo rito partecipano persone di tutti i ceti sociali, negli ultimi anni si è anche assistito ad un progressivo riavvicinamento dei più giovani, forse per merito di Giovanni Paolo II, che ha saputo rivitalizzare il culto mariano anche nell'ambito della pietà popolare.

Fino al 1999 la statua della Madonna, all'uscita della chiesa, veniva collocata su un poggio per dare modo ai fedeli di procedere al rito dell'incanto: una vera e propria asta con la quale si concedeva alla comunità che offriva la somma di denaro più elevata il privilegio di trasportare a spalla la statua della Madonna lungo il percorso processionale. A questo rito partecipavano solo gli uomini delegati dalle comunità di provenienza a fare delle offerte.

Intorno alle 13.00 la processione ha termine con il rientro della statua nel Santuario ove, per l'intera estate, potrà essere venerata dai fedeli, ma la festa non volge affatto al termine. Adesso i devoti ritornano ai loro ripari per il pranzo, le musiche e le danze. Per tutto il pomeriggio e la notte del sabato la convivialità e l'allegria dominano la comunità temporanea dei fedeli. È anche il momento in cui si rinsaldano i legami tra devoti provenienti da paesi diversi, si concludono affari, nascono amicizie ed anche amori.

La domenica, dopo aver reso il saluto alla Madonna e aver raccolto piccoli oggetti dal significato sacro e taumaturgico - come piccole scaglie della pietra della grotta del miracolo o erbe medicinali raccolte nell'area del Santuario - comincia il rientro dei pellegrini ai paesi di provenienza.

La discesa

La seconda domenica di settembre la statua della Madonna ritorna alla sua dimora invernale. Il rito del rientro prende avvio il sabato. I devoti salgono al monte, come per la salita, anche in questa occasione i membri della Confraternita di San Severino Lucano regolano, in modo discreto, il rito. La notte è vissuta in modo molto più intimo e silenzioso di quelle che caratterizzano i giorni della festa di luglio.

All'alba i membri della Confraternita ripongono la statua della Vergine sul baldacchino che servirà per il trasporto a valle, dopo la messa prende avvio la processione alla quale, ancora una volta, prendono parte i suonatori di zampogne e di organetto del Pollino.

L'arrivo ai primi centri abitati vede il rinnovarsi del rito dell'offerta: ciambelle dolci, vino, caffè, vengono offerti ai pellegrini, alle porte della frazione di Mezzana la statua viene posata e una lunga fila di devoti viene ad invocarla ed a renderle omaggio. A mezzogiorno la processione riprende alla volta della chiesa di Mezzana, dove sarà celebrata la messa. Ancora un tratto di strada e poi la statua arriva a San Severino Lucano. Qui, prima di entrare in chiesa, i membri della Confraternita la issano per tre volte prima di accompagnarla nella sua dimora invernale dove gli abitanti vengono a renderle omaggio. Adesso la Madonna del Pollino attenderà l'arrivo della primavera e con essa il rinnovarsi della devozione popolare.

Il Pollino

Il luogo sacro si colloca nella parte settentrionale del Massiccio del Pollino, ad un'altezza di 1537 metri s.l.m, all'interno dell'omonimo Parco nazionale. I primi insediamenti umani risalgono a dodicimila anni fa, da allora questa zona ha visto alternarsi greci, lucani, romani e longobardi. I monaci orientali giunti in quest'area intorno al X secolo disseminarono il territorio di eremi e cenobi. Nella prima metà del XI secolo vi si insediarono i Normanni, che pur favorendo il monachesimo occidentale si mostrarono tolleranti verso il rito orientale. Con i Normanni continua la creazione di piccoli e grandi centri monastici. All'arrivo, intorno al 1500 dei profughi "greco-albanesi" fuggiti dalle loro terre sotto la pressione ottomana, corrisponde il popolamento di alcuni centri nelle vicinanze del Santuario, dai quali provengono ancora oggi molti devoti alla Madonna del Pollino. Alla dominazione aragonese seguirono il Viceregno Austriaco e poi il dominio dei Borbone ed è proprio durante il regno di Ferdinando IV che l'intera area venne afflitta prima da una grave carestia (1714) e poi da un disastroso terremoto (1783). Secondo alcuni è proprio durante questo periodo di incertezze e di paura che nasce il culto e si erige il Santuario della Madonna del Pollino.

La storia

L'origine del culto alla Madonna del Pollino, la storia del ritrovamento della statua della Vergine e dell'edificazione del Santuario sono ancora oggetto di ricerca da parte degli studiosi e le versioni "popolari" sono numerose e diverse tra loro. Secondo alcune fonti il ritrovamento della statua lignea della SS. Vergine con Bambino - che originariamente pare fosse di fattura orientale o bizantina - risalirebbe agli inizi del '700. Attualmente la statua lignea della Madonna del Pollino, realizzata da autore ignoto probabilmente nel XIX sec., richiama alla simbologia della "Regina del cielo": la Vergine coronata si presenta in piedi, veste una tunica rosa antico e un manto giallo-oro; con la mano destra porge una rosa purpurea e con l'altra regge il S. Bambino coronato, rivestito con una tunica celeste a fiori, che mostra, con la mano destra, un globo crocifero. In passato la statua indossava un vestito ed un ampio mantello, rimosso da un contestato restauro, sul quale i fedeli appuntavano le loro offerte votive in denaro e gioielli. Due angeli completano il gruppo ligneo.

Tra le molte versioni sull'origine del culto tramandate oralmente dai devoti è costante l'apparizione della Madonna del Pollino ai pastori prima del ritrovamento della statua custodita in una grotta nelle immediate vicinanze dell'attuale Santuario. Secondo la ricostruzione fatta da due parroci di San Severino Lucano - Don Prospero Cirigliano, in uno scritto del 1929, e Don Camillo Perrone in un lavoro di ricerca pubblicato nel 1966 - pochi giorni dopo l'apparizione della Vergine ad un pastore, avvenuta nello stesso luogo ove si celava la scultura, avvenne che due donne, memori della presenza miracolosa della Vergine, andarono sul monte per ottenere la guarigione miracolosa del marito di una di loro. Assetate, mentre cercavano acqua in una grotta trovarono la cassa di legno in cui era racchiusa la statua della Madonna: al loro rientro trovarono l'uomo guarito che, in segno di riconoscenza, edificò la chiesa. In altre versioni si narra che la Madonna, sotto le sembianze di una "Bella Signora", si sarebbe rivelata ad una pastorella e avrebbe espresso, in una lettera da consegnare al clero, il desiderio che le venisse consacrato in quel luogo un edificio di culto.

Secondo la storia tramandata a Terranova del Pollino, l'origine del culto è ancora diverso. Tutti i pastori del monte usavano radunarsi nei pressi della grotta sul Pollino per concordare la suddivisione dei pascoli. Dopo circa un mese si incontravano nuovamente e agli inizi di settembre un nuovo incontro sanciva la fine dell'alpeggio. Ognuno di questi incontri diventava occasione di festa; si faceva musica con gli strumenti musicali tipici dei pastori, le zampogne, si facevano grandi mangiate di carne di animali macellati sul posto, ecc... Nel corso di uno di questi incontri l'attenzione dei pastori fu attirata da un bagliore proveniente dalla grotta, al cui interno trovarono una giovane donna avvolta da una intensa luce. Da allora i pastori, e tutti gli abitanti del Pollino, cominciarono a venerare quel luogo. All'intercessione della Vergine del Pollino sono attribuiti miracoli, inerenti soprattutto guarigioni fisiche e scampati pericoli. A testimoniarlo sono ancora oggi visibili decine e decine di ex-voto, iscrizioni, candele, abiti nuziali, capelli, ricami raffiguranti oggetti sacri custoditi presso il Santuario.

Testo: F. Floccia e B. Terenzi (tratto da Feste e Riti d'Italia). Adattamento a cura della Redazione


Foto: A. Rossi, 1968
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


 

Foto: A. Rossi, 1973
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologiaerino

 

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San Gerardo a Potenza

29-30 maggio

Il santo, patrono della città, viene venerato principalmente il 30 maggio, giorno della trslazione delle sue reliquie. E' ricordato per un miracolo in particolare: la liberazione della città dai Turchi, ad opera di una schiera di angeli chiamati da San Gerardo.

Foto: E. De Simoni e G. Torre (29 maggio 2010)
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Madonna della Lettera a Palmi

ultima domenica di agosto

La Varia di Palmi è una complessa macchina processionale che celebra l'ascensione della Vergine Maria. Il carro votivo, una immensa nuvola con astri rotanti che rappresentano l'universo, ha un'altezza di sedici metri e viene trascinata e sospinta da duecento 'mbuttaturi. Su di esso trovano posto figuranti che rappresentano il Padreterno, gli Apostoli e gli Angeli: li sovrasta l'Animella, una bambina collocata arditamente sulla estrema sommità della Varia, scelta per rappresentare la Madonna Assunta in Cielo.


Foto: M. Marcotulli, 2000-2005
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Santi Cosma e Damiano a Riace

SECONDA DOMENICA DI MAGGIO - 25-26-27 SETTEMBRE

La festa

I festeggiamenti nel Santuario di Riace (Reggio Calabria) si fanno risalire al 1669, quando le reliquie di san Cosma furono portate da Roma, ma Cosimo e Damiano furono istituiti Santi Patroni di Riace solo nel 1734. I Santi vengono festeggiati due volte l'anno secondo modalità differente.

La "festa di maggio" anche detta "festa del Braccio" coinvolge soprattutto la comunità di fedeli di Riace. Ogni anno, la seconda domenica di maggio, a ricordo di quanto accaduto al pastorello, le reliquie dei Santi vengono portate in processione al "castedu". Una teca d'argento a forma di braccio viene trasportata lungo un itinerario campestre attraverso i sentieri della campagna di Riace, dalla Chiesa Matrice fino a raggiunge la spiaggia di Riace Marina. Una volta giunti sulla spiaggia, la teca viene imbarcata e portata nei pressi di uno scoglio dove la tradizione racconta che sia rimasta l'impronta del piede di San Cosimo, dopo la traversata a nuoto dall'Arabia. Un tempo, durante il tragitto, i contadini, oggi i devoti che partecipano, deponevano sulla base dove è collocata la teca fasci di spighe di grano, piante di fave, di piselli e rami di ulivo, la processione veniva, infatti, intesa come rito propiziatorio contro la siccità.

La "festa di settembre", dal 25 al 27 del mese, coinvolge anche gran parte dei paesi limitrofi alla cittadina jonica, che giungono numerosi al Santuario, a piedi, ed è considerata unica nel suo genere per la grande partecipazione dei devoti Rom e Sinti della Calabria che vengono a venerare i Santi Cosma e Damiano insieme al Beato Zeffirino martire, di cui si conserva una effigie nel Santuario. Nel corso della festa di settembre le statue dei Santi medici sono portate in processione dalla Chiesa Matrice al Santuario per poi ritornare in paese al termine delle tre giornate.

I pellegrini pregano, cantano e portano doni sia per le grazie ricevute, sia nella speranza che i Santi medici accolgano le loro preghiere. Alcuni devoti trascorrono la notte nella Chiesa matrice, perpetuando così l'antico rito dell'incubatio.

Cartteristici del culto a Riace sono gli ex voto anatomici: proprie riproduzioni, benedette, in cera, delle parti del corpo guarite dai Santi -gambe, braccia, testa, cuore, ecc.- e dolci tipici di farina e miele. In alcuni casi, viene donato il "bambinello", quasi a voler consacrare, in segno di riconoscenza, ai Santi Medici la vita del bambino infermo da loro salvato. La fede nei due Santi medici è tale per cui ancora oggi alcuni bambini e qualche adulto veste con gli abiti dei Santi.

Il 25 mattina incomincia il rito lungo due percorsi di devozione paralleli, uno intorno al Santuario e l'altro dentro alla Chiesa Matrice a Riace. Fin dalle prime luci dell'alba da ogni parte della Calabria centinaia di devoti Rom e Sinti giungono al Santuario dove trascorreranno la notte danzando al suono della tarantella. In paese, intanto, nella Chiesa Matrice incominciano i festeggiamenti con il rito "e da calata e di santi" in cui le statue di Cosma e Damiano, vengono spostate dalla nicchia collocata sopra l'altare centrale, per essere esposte alla venerazione dei fedeli affinché possano toccarle ed offrir loro gli ex voto. La chiesa è addobbata con " u paratu", panneggi e decorazioni di stoffa e di carta colorata appesi ai muri, agli archi ed intorno alle statue. La chiesa lentamente si trasforma per la notte di veglia: l'arrivo dei pellegrini per: i fedeli pregano, cantano e, quelli venuti nella speranza di ottenere la grazia della guarigione dormono al suolo, compresi i più piccini, ripetendo l'antico rito dell'incubazione.

Il 26 mattina, al termine della veglia, i devoti Rom e Sinti partono dal Santuario, suonando e danzando, per raggiungere la Chiesa matrice dove i Santi stanno per essere portati fuori. I due cortei si uniscono sotto i Santi Cosma e Damiano. E' questo uno dei momenti più intensi della festa: la gente urla, applaude e tutti insieme i fedeli delle diverse comunità si preparano ad accompagnare i loro protettori al Santuario, danzando al suono dei tamburelli. Lungo il percorso i Santi ricevono di continuo offerte e voti, i bambini vengono protesi a toccare le statue per essere simbolicamente affidati alla protezione spirituale e materiale dei Santi miracolosi.

I Rom sono in testa al corteo danzando, i restanti fedeli chiudono il corteo, preceduti dal gruppo delle donne di Riace, dei paesi limitrofi e delle comunità Rom e Sinti che intonano canti e preghiere. L'apice della festa è segnato dall'arrivo al piazzale del Santuario. Tutti sono ormai uniti intorno a Cosma e Damiano, non esistono più differenze e divisioni. I Santi vengono portati sulla scalinata per essere mostrati ed ammirati da tutti i fedeli, i fuochi pirotecnici segnano l'ingresso delle statue nel Santuario. Una volta sistemati i Santi nel Santuario, come per incanto, tutta la comunità Rom scompare.

A sera ha inizio una nuova veglia, che stavolta si svolge al Santuario dove i devoti trascorrono la notte in preghiera interrotta da musica, canti e danze dei numerosi pellegrini accorsi per rendere omaggio ai Santi. Questa atmosfera di vitalità, gioia e spiritualità proseguirà fino al pomeriggio del 27 quando le statue in processione saranno riportate nuovamente alla Chiesa Matrice per rimanere là in attesa della prossima festa di maggio.

Rom e Sinti

La partecipazione intensa delle comunità Rom e Sinti della Calabria differenzia in modo sostanziale il culto praticato a Riace da quello praticato ai due Santi in molti altri luoghi d'Italia. Infatti si tratta del più grande raduno religioso di questa comunità, principale protagonista di questa straordinaria manifestazione di religiosità popolare. Ogni anno, fin dalle prime luci del 25, giungono in gran numero da ogni parte della regione, per venerare i Santi medici Cosma e Damiano riconosciuti loro protettori. Per questo motivo, la festa di San Cosma e Damiano a Riace è detta dagli abitanti del circondario "a festa di zingari". La loro presenza ha radici molto antiche, infatti in quanto grandi mercanti di bestiame, essi giungevano per la tradizionale fiera del bestiame che veniva fatta in passato in occasione della festa e che purtroppo da lungo tempo è stata interrotta.

Alcuni devoti indossano l'abito votivo mentre accompagnano la processione danzando. Animano con entusiasmo e trasporto la festa e mai come in tale occasione si assiste ad una fusione così spontanea e naturale con il resto della popolazione, mostrando come attraverso la devozione sia possibile abbattere le barriere razziali.

"a danza di curtegli"

La devozione di questo gruppo etnico si manifesta molto anche attraverso la danza. Nel corso della veglia del 25 settembre al Santuario, per tutta la notte organetti e tamburelli non cessano mai di suonare. La tarantella ballata a Riace può assumere anche il carattere di una danza armata "a danza di curtegli" più comunemente conosciuta col nome di "scherma". Si tratta di una danza esclusivamente maschile, dove gli uomini riuniti in una ronda delimitano e contengono lo spazio entro il quale balla una coppia chiamata ad esibirsi dal "Mastro di ballo". Chi balla esprime attraverso la tarantella la propria maestria e virilità. La coppia simula figure e movenze del duello a mano armata di coltello, danza che un tempo regolava dissidi, oltraggi o mancanze di rispetto. Oggigiorno i coltelli non si usano più e sono stati sostituiti dall'indice e medio della mano destra tesi a rappresentare l'arma. Gli uomini così duellano, simulando il combattimento, fino a che uno dei due contendenti venga toccato per tre volte dalle dita dell'avversario. Anche suonare per i Santi è considerato un onore, e questo rito viene eseguito fino allo sfinimento, fino a far sanguinare le mani.

Beato Zefferino Rom

Come già detto, nel Santuario di Riace è conservato un quadro raffigurante il Beato Zeffirino (Ceferino) Gimenez Malla detto "El Pelè" martire gitano, ucciso durante la guerra civile in Spagna. Fu proclamato beato da Giovanni Paolo II il 4 maggio 1997. Nato a Benavent de Sangría, in Catalogna, il 26 agosto 1861, fu fucilato a Barbastro, in Aragona, il 2 agosto 1936, per aver difeso un sacerdote. Si narra che fosse nato in una famiglia povera. Non va a scuola, ma impara a fare ceste, diventa esperto di muli e cavalli e spesso viene chiamato a fare da mediatore, essendo stimato per la sua sincerità e senso di giustizia. Un giorno aiuta un importante personaggio di Barbastro che, malato, era svenuto per strada. Unico, lo soccorre e porta a casa in spalla. La famiglia in segno di riconoscenza lo aiuta ad avviare una sua attività commerciale. Ormai affermatosi come personaggio buono e devoto, professa apertamente la sua religiosità, portando la sua testimonianza di fede soprattutto fra i membri della comunità Rom. Soccorre ed aiuta i più poveri e, pur non essendo andato a scuola, "legge" gli ammonimenti dell'apostolo Paolo ai Corinzi e realizza in sé la carità che "tutto copre, tutto crede, tutto sopporta". Diventato Terziario francescano, già in vita qualcuno lo definisce "santo". Quando nel luglio del 1936 viene arrestato ha 75 anni. Prega e a testa alta viene fucilato con in mano la corona del Rosario. Viene seppellito in una fossa comune con tutte le altre vittime della barbarie.

I Santi "Anargiri" Cosma e Damiano

I Santi Cosma e Damiano sono, in assoluto, i più importanti medici santi dell'antichità, tra i pochi a potersi fregiare del titolo di "anargiri" - che guariscono senza chiedere compenso. Protettori dei medici, dei farmacisti e delle professioni affini come i barbieri, le levatrici e i dentisti, sono per lo più rappresentati con la palma o con gli strumenti della loro arte. Sulla vita di Cosma e Damiano non si hanno dati storici certi, le poche notizie disponibili si possono rintracciare soprattutto nei Martirologi e nei Sinassari. Il loro culto, estesosi rapidamente a tutto il bacino del mediterraneo ed oltre, è molto antico e complesso e presenta numerose affinità con gli dei della medicina, i Dioscuri Castore e Polluce, Asclepio ed Iside medica.

I due Santi vengono festeggiati con date differenti a seconda delle tradizioni: la tradizione "asiatica", diffusa a Costantinopoli, li festeggia il 1 novembre; quella "romana", diffusa in Siria, il 1 luglio; quella "arabica", diffusa a Roma, il 17 ottobre. La Chiesa ortodossa, in linea con la tradizione orientale, li festeggia proprio in queste tre date. La Chiesa cattolica, invece, li commemora generalmente il 26 settembre, ma successivamente, in memoria della traslazione delle reliquie nella Basilica a Roma, la festività liturgica è stata spostata al 27 settembre.

Sulla nascita dei due Santi esistono molte leggende. Alcune versioni li ritengono gemelli, forse in analogia con il mito dei Dioscuri, ed identificano il padre nel martire cristiano Niceforo e la madre in una donna cristiana, Teodora o Teodata, che li educò alla fede insieme ai fratelli Antimo, Leonzio ed Euprepio. Teodoreto, vescovo di Ciro, in Siria, dal 440 al 458 d.C., - la fonte agiografica più antica - fa risalire la nascita dei due Santi, definendoli fratelli, alla seconda metà del sec. III d.C. a Egea, dove esisteva un tempio di Asclepio, dio della medicina, presso il quale i sacerdoti praticavano cure mediche anche attraverso la pratica dell'incubatio, un rito diffusissimo nell'antichità classica - sia in area greca che in area Italica - che consisteva nel recarsi presso il santuario, in stato di purezza, e dopo aver effettuato un sacrifico propiziatorio, nell' addormentarsi presso un luogo sacro, con la speranza di ricevere in sogno la visita del dio, i suoi opportuni suggerimenti o la guarigione miracolosa.

Secondo la tradizione occidentale, Cosma e Damiano partirono da Egea per recarsi in Siria - sede di una fiorente tradizione medica- per studiare medicina (anche se alcune versioni sostengono la loro abilità di guaritori fosse dovuta a poteri taumatologici). Ritornati nella loro città cominciarono a curare gli ammalati senza mai chiedere alcun compenso e proprio per questo venne loro assegnato l'appellativo "Anargiri". Nel "Sinassario" della Chiesa di Costantinopoli si tramanda che solo in una occasione fu loro data una ricompensa: tre uova donate a Damiano, all'insaputa del fratello, da una contadina guarita miracolosamente. Cosma rimase talmente deluso e mortificato che, rimproverato Damiano, espresse la volontà di essere sepolto lontano dal fratello. Anche intorno alla data e luogo della loro morte non esistono dati certi, forse subirono il martirio durante l'impero di Diocleziano, denunciati come cristiani dai sacerdoti del tempio di Asclepio, danneggiati economicamente dalla gratuità degli interventi medici dei due fratelli.

La loro passio li vede decapitati dopo una lunga serie di supplizi e sofferenze sopportati santamente. La memoria popolare tramanda una complessa narrazione circa le prove a cui vennero sottoposti e da cui uscirono indenni per volontà di Dio: in alcune narrazioni, mentre venivano lapidati, le pietre rimbalzarono contro i soldati; secondo altre, mentre venivano fustigati crudelmente, si rivolsero a Dio, che restituì i loro corpi illesi sotto gli occhi increduli dei presenti; secondo altre ancora, furono crocefissi e bersagliati dai dardi, ma le lance rimbalzarono senza riuscire a ferirli; altre narrano che perfino gettati in mare da un alto dirupo con un macigno appeso al collo, i Santi medici riuscirono a salvarsi. Alla fine, Cosma e Damiano morirono decapitati, assieme ai loro fratelli più giovani, Antimo, Leonzio ed Euprepio, nella città di Cirro, nei pressi di Antiochia, orientativamente intorno al 300 d.C.

Il culto dei Santi taumaturgi iniziò immediatamente dopo la loro morte e ad essi furono attribuiti un gran numero di miracoli terapeutici. Nella sua Legenda Aurea Jacopo da Varagine narra quello che viene indicato come il primo trapianto della storia: un devoto, avendo sognato i due Santi che gli applicavano la gamba di uno schiavo etiope morto, si risvegliò con la gamba sana e di colore scuro. Dal V secolo il loro culto cominciò a diffondersi inizialmente a tutto l'Oriente dove vennero costruite molte chiese a loro dedicate: meritano di essere ricordate le basiliche costruite in Palifilia, Cappadocia, Edessa e la sfarzosa basilica di Costantinopoli fatta costruire dall'imperatore Giustiniano guarito per loro intercessione da una pericolosa malattia. Attraverso gli scambi commerciali fra Roma e Oriente e grazie ai monaci bizantini, il culto raggiunse anche l'Occidente. Secondo la tradizione, i malati si recavano nella Basilica per chiedere la guarigione dai propri mali e praticavano il rito della "incubazione": si addormentavano nella chiesa e durante il sonno i Santi apparivano miracolosamente in loro aiuto, prendendosi cura di loro, facendo operazioni chirurgiche i cui segni erano miracolosamente evidenti al risveglio, applicando impacchi di olio e cera, oppure suggerendo in sogno al malato le cure. Sotto il Pontificato di San Gregorio Magno (590-604) le reliquie dei Santi Medici e dei loro fratelli furono traslate a Roma, nella loro Basilica fatta erigere dal Papa Felice IV nel Foro Romano proprio nelle vicinanze dei resti del tempio dedicato ai Dioscuri. Nel tempo le reliquie dei Santi furono distribuite nei numerosi Santuari a loro dedicati in tutta Europa, furono portate a Brema, a Monaco di Baviera, a Malta e in qualche città della Spagna, in Francia, dove sono in parte custodite nella chiesa metropolitana di Parigi.

In Italia esistono vari importanti Santuari dedi­cati ad essi fra cui, oltre al Santuario di Riace in Calabria, i Santuari in Puglia di Alberobello, di Bitonto, vicino a Bari che vanta una reliquia delle braccia dei Santi Cosma e Damiano, di Oria - comunemente detto S. Cosimo alla Macchia. E ancora i Santuari di Gaeta, di Secondigliano a Napoli, di Carbonara di Nola, d'Isernia, oltre a numerose parrocchie in molte città e pic­coli paesi. Reliquie dei Santi sono custodite anche a Venezia, nella chiesa di S. Giorgio; a Verona, nella chiesa di S. Procolo; nella Cattedrale di Amalfi, a Bologna, ad Imola, a Campobasso, a Tagliacozzo in Abruzzo. In Italia il culto non solo raggiunse rapidamente Roma ed il Lazio, ma si diffuse anche in Toscana dove la famiglia Medici, intorno alla metà del '400 li scelse come propri Santi patroni contribuendo a determinarne e diffonderne l'iconografia attraverso opere commissionate ad importanti artisti dell'epoca.

Il Santuario dei Santi Cosma e Damiano

Il Santuario, situato in basso, a qualche chilometro di distanza da Riace Superiore, è considerato il più importante della zona per le sue antiche origini e per i festeggiamenti ai due Santi che si tengono due volte all'anno. Le statue dei Santi sono conservate in paese nella Chiesa Matrice di S. Maria Assunta, detta anche Chiesa di S. Giacomo, da dove vengono tirate fuori per entrambe le ricorrenze festive e portate in processione fra Riace Superiore e Riace Marina. Opera di un ignoto scultore della scuola napoletana del '700, furono restaurate nel 1879 da Nicola e Pietro Drosi da Satriano.

L'origine del Santuario, meta di molti pellegrinaggi fin dai tempi più remoti, è fatta risalire ad una probabile struttura bizantina collegata con il vicino Monastero di S. Giovanni Theristis. Si tramanda che la confraternita dei SS. Cosma e Damiano fu istituita nel 1637 ad opera del Vescovo di Squillace. Oggi il Santuario, con l'annessa Casa del Pellegrino, in grado di accogliere circa duecento persone, si presenta affrescato con opere della scuola calabrese. Nel Santuario è presente anche l'effigie del Beato Zeffirino, Rom, martire.

Una delle leggende di fondazione tramanda che "un certo giorno di mille anni fa" un pastorello vide avvicinarsi due uomini che si presentarono dicendo di essere Cosimo e Damiano, due fratelli medici, quindi lo invitarono a lasciare il gregge per andare ad avvisare alla gente di Stignano che due medici provenienti dall'Oriente volevano edificare una chiesa. Il pastorello obbedì, ma invece di andare a Stignano si fermò nel più vicino paese: Riace. Molti uomini lo seguirono, ma giunti là dove si era intrattenuto con i due fratelli, non trovarono nessuno. Il ragazzo non si prese d'animo e chiese agli uomini di aiutarlo ad edificare la chiesa. Iniziarono la costruzione, lavorando fino al tramonto, ma al mattino trovarono che tutto era crollato, così dovettero iniziare daccapo, ma nuovamente, durante la notte, tutto andò giù. E così anche il terzo giorno. Durante la notte al pastorello apparvero in sogno i due Santi medici Cosimo e Damiano che gli consigliarono di andare a prendere nel luogo in cui si erano incontrati una delle pietre su cui si erano seduti e di inserirla nella costruzione così l'edificio non sarebbe più crollato. Seguite le indicazioni dei santi e collocata la pietra in un lato della costruzione, l'edificio di culto non crollo mai più.

Riace

Riace, cittadina famosa oltreché per le due stupende statue di bronzo, anche per il culto ai santi "medici" Cosma e Damiano, sorge su una collina a sette chilometri dalla costa jonica. Si dice prenda il nome dalle sue antiche origini greco-bizantine. La storia si perde nel tempo, ma la nascita del paese forse si può far risalire alla fine del XII secolo, quando, come in gran parte della fascia costiera, a causa della peste, della malaria e delle invasioni saracene, la popolazione fu costretta a rifugiarsi sulle colline intorno agli eremi dei monaci bizantini in fuga dall'Oriente. Si possono ancora rintracciare vestigia medioevali nei resti dell'antica cinta muraria, che inglobava numerose chiese, purtroppo quasi interamente distrutta dai terremoti nei secoli scorsi, e nel tessuto urbano dove sopravvivono impronte della sua antica storia.

Testo: B. Terenzi e C. Trimboli (tratto da Feste e Riti d'Italia). Adattamento a cura della Redazione


Foto: M. Marcotulli, 2004
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


Foto: C. Trimboli
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

 

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Settimana Santa a Nocera Terinese

Sabato Santo

I Vattienti

Nell'ambito delle celebrazioni liturgiche nei giorni che precedono la Pasqua a Nocera Terinese (Catanzaro), una tradizione locale ancora oggi particolarmente sentita è quella costituita dalla lunga processione funebre del sabato santo, che ripropone il rito dei vattienti, eredi, forse, della tradizione medievale dei disciplinati, che esprimono la loro partecipazione al lutto collettivo attraverso una pubblica autoflagellazione con una intenzionale effusione di sangue.

Si tratta di un rituale penitenziale, ma anche spettacolare, praticato in segno di devozione o di voto per una grazia chiesta o ricevuta davanti al gruppo ligneo della Pietà, o come i noceresi preferiscono chiamarla, dell'Addolorata, una Madonna seduta con il figlio morto in grembo. I penitenti, cinti il capo con una corona di spine, si battono le cosce nude con due piattelli rotondi di sughero, su uno dei quali sono conficcate punte di vetro, il sangue sgorga abbondante e il loro sacrificio umano diventa un segno materiale di espiazione.

Il rito occupa un posto centrale nel calendario festivo nocerese e, nonostante i numerosi tentativi di proibizione da parte delle autorità ecclesiastiche, resiste e si ripete ogni anno, seguendo un rituale articolato e scandito secondo modalità consolidate da una antica tradizione culturale condivisa e seguita da tutta la comunità che esprime la sua partecipazione corale al dolore di una madre per la morte del figlio.

La processione del Sabato Santo

A Nocera Terinese il sabato santo si svolge l'interminabile e drammatica processione della Madonna Addolorata e del Cristo morto. La mattina del sabato esce dalla chiesa dell'Annunziata il corteo aperto da un fedele che porta la grande croce. che deve essere nascosta alla vista della statua della Pietà, è un "fratello", appartenente alla congregazione laica che gestisce l'intera cerimonia e che sembra derivare dall'antica Congregazione della Santissima Annunziata. A notevole distanza, per far in modo che la Madonna non scorga la croce, segue la Pietà lignea seicentesca, scolpita secondo la tradizione in un unico tronco di pero selvatico da uno scultore che perse immediatamente la vista per non poter più ripetere un simile capolavoro. La Pietà, seguita da migliaia di persone e portata a spalla dal gruppo dei fratelli - i membri della confraternita, che indossano un saio bianco e recano sul capo una corona di erba spinosa - viene trasportata in processione per l'intero paese con ritmo lento e cadenzato, effettuando soste presso le chiese, all'interno delle quali sono stati allestiti i Sepolcri, davanti ad edicole sacre, a case e negozi di fedeli. I due simulacri devono incontrarsi fino alla ridiscesa alla processione, cioè quasi al termine della cerimonia.

Mentre la processione si snoda lungo la via principale della città al suono della banda musicale che intona la jone, una sorta di marcia funebre, in vari punti dello spazio urbano, un gruppo di uomini si prepara ad un antico rito che costituisce la fase più singolare della cerimonia: si tratta dei flagellanti o vattienti, cioè di coloro i quali in segno di devozione si percuotono le cosce e le gambe fino a provocare una abbondante fuoriuscita di sangue, una penitenza che ha l'intento di purificare se stessi ed i propri cari dai peccati commessi.

La "preparazione" del il penitente consiste in un energico massaggio dei polpacci e delle cosce con un infuso di rosmarino, preparato precedentemente in una caldaia di rame, per rendere parzialmente insensibili cosce e gambe che percuoterà, durante la processione, con gli strumenti rituali, la rosa e il cardo, piattelli di sughero dello spessore di 5 cm e del diametro di circa 10, il primo liscio, il secondo provvisto di 13 schegge di vetro, dette lanze. L'abito rituale del vattiente consiste in un pantalone corto ed una maglietta di colore scuro, sulla testa il mannite, un largo fazzoletto nero sul quale poggia una corona di spine di asparago selvatico - sparacògna - intrecciato in modo da non provocare ferite. Legato al flagellante da una lunga corda, è il suo accompagnatore, Acci'om, l'Ecce homo, spesso un ragazzo od un bambino. Questi, generalmente parente del vattiente, porta sulle spalle una croce di legno con i bracci obliqui avvolta da bende e nastri di tessuto scarlatto, il suo abbigliamento rituale consiste in un panno rosso che dalla vita scende fino alle caviglie, è scalzo ed ha in testa la corona di spine ricavate da un arbusto detto spinasanta. Con loro è anche una terza persona, l'Amicu, il portatore di vino, che avrà il compito di versare, sulle gambe sanguinanti, vino misto ad aceto, per disinfettare, ma anche per impedire l'immediata coagulazione del sangue cghe esce dalle ferite.

Prima di uscire e di compiere la flagellazione rituale, il battente si arrosa, cioè si bagna le mani nell'infuso di rosmarino e si riscalda i polpacci delle gambe e delle cosce, poi si percuote con, e col cardo. Terminate le fasi preparatorie, i penitenti sono pronti ad uscire per le strade del paese per compiere la loro prima flagellazione in pubblico che avviene davanti all'edificio dal quale escono in strada. Dopo aver strofinato la parte con un ruvido tappo, il penitente si percuote le gambe prima con la rosa, allo scopo di far affiorare più velocemente il sangue nei capillari e poi con il cardo picchia sui punti arrossati per far scorrere lungo le gambe i rivoli di sangue con cui viene segnato il petto nudo dell'Ecce homo. Compiuto questo primo atto rituale, il vattiente, di corsa, insieme all'Acci'omu e all'Amicu si dirige verso il cuore della processione.

I Vattienti si muovono per le strade in gruppi o in coppie isolate precedendo o seguendo la processione e, all'improvviso, sbucano da una strada e si avvicinano al gruppo dell'Addolorata, i confratelli allora fermano la statua ed i flagellanti, dopo essersi fatti il segno della croce, possono dare dà a questo rito antico e cruento, versando il loro sangue ai piedi della Vergine che alla fine viene baciata in segno di adorazione. Concluso il giro, che può durare anche più di un'ora, i penitenti fanno ritorno al luogo dell'iniziazione e si lavano ripetutamente le ferite con l'infuso di rosmarino per favorire la loro rimarginazione, quindi, rivestiti di tutto punto escono nuovamente per unirsi al corteo che segue la Pietà.

La processione prosegue così al gran completo il suo lungo peregrinare e, nel ridiscendere, raggiunge per la seconda volta Pizzu Cacàtu, il luogo che nell'immaginario popolare simboleggia il monte Calvario. Qui il fratello che ha portato la grande croce sta attendendo la statua della Pietà che, giunta, viene posta su un tavolo precedentemente apparecchiato: la Madonna si ricongiunge idealmente a suo figlio, da questo momento il fratello che porta la grande croce non deve più nasconderla al suo "sguardo". Ripreso lentamente il cammino e dopo circa otto ore di pellegrinaggio, il simulacro della Pietà fa il suo rientro nella chiesa dell'Annunziata.

Il culto della Madonna Addolorata

Madonna Addolorata o Maria Dolorosa, l'Addolorata oppure Madonna dei sette dolori (Mater Dolorosa) sono tra gli appellativi con cui viene invocata dai cristiani Maria, la madre di Gesù. La tradizione popolare ha assimilato la meditazione dei Sette Dolori nella devota pratica della "Via Matris" che, al pari della Via Crucis, ripercorre le tappe importanti delle sofferenze di Maria per la passione e la morte di suo figlio. Le processioni penitenziali, tipiche del periodo quaresimale, comprendono infatti anche la figura della Madre dolorosa che segue il Figlio morto, l'incontro sulla salita del Calvario, Maria posta ai piedi del Crocifisso. Queste processioni assumono l'aspetto di vere e proprie rappresentazioni, fortemente coinvolgenti, specie quelle dell'incontro tra il simulacro di Maria vestita a lutto e addolorata e il Cristo crocifisso. A Nocera Tirinese questo rito si compie con una solenne e intensa partecipazione popolare.

La Settimana Santa

Il dramma della Morte e Risurrezione di Cristo viene celebrato in tutto il mondo cattolico con riti e funzioni secondo una liturgia ufficiale che ricorda gli ultimi eventi della vita di Cristo, dal trionfale ingresso in Gerusalemme nella domenica delle Palme, ai riti del mercoledì e del giovedì santo che prevedono la Missa in coena Domini con la lavanda dei piedi per ricordare l'istituzione dell'Eucarestia, e l'allestimento del sepolcro in una cappella dove viene conservata l'ostia consacrata. In ogni chiesa, la casa di Dio, i fedeli compiono la rituale visita ai sepolcri, una veglia funebre ad un defunto speciale, il Salvatore, cui si vuole partecipare il proprio dolore individuale. Gli altari sono spogli e velati, ma davanti al sepolcro ci sono fiori e vasi ornati di grano biondeggiante, fatto germogliare al buio, i piatti della Madonna, che rimandano sia ai rituali della Pasqua ebraica sia ai giardini di Adone, allestiti in segno di lutto per la morte dell' eroe, durante le antiche cerimonie per la sua morte e risurrezione. Le manifestazione di dolore e di lamento funebre culminano nelle processioni e sacre rappresentazioni del venerdì e sabato santo, in cui il popolo diventa protagonista, attore e spettatore insieme della commemorazione della passione e morte di Gesù.

Nocera Terinese

Nocera Tirinese o Terinese è situata a circa 5 chilometri dalla costa Tirrenica, presso l'estremità nord del golfo di Sant' Eufemia, su di uno degli ultimi speroni del monte Mancuso, che lentamente degradano verso il mare, alla confluenza delle due vallate del torrente Grande e del Rivale. Fu detta Tirinese dal vicino piano della Tirena (dal latino laterina, mattonaia), dove, secondo recenti studi storici, si ritiene che sorgesse la città di Témesa conquistata da Crotone alla fine del sec.VI a.C. Divenuta colonia romana, fu distrutta dai saraceni nel X secolo. La Porta della città, oggi chiamata "Porta Vecchia", era orientata a tramontana; al di sopra di essa era il castello, vera e propria fortezza. Nocera subì la dominazione normanna, quella spagnola ed in seguito quella francese. Il nome con cui è conosciuta attualmente è di coniazione piuttosto recente; in precedenza infatti essa veniva chiamata col nome di "Nocera di Calabria".

Testo: P. Izzo. Adattamento a cura della Redazione


Foto: M. Marcotulli, 2000-2006
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

 

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San Rocco a Palmi

16 agosto

La festa in onore di San Rocco è la festa annuale più importante della città di Palmi ed una delle più importanti della Calabria. La festa richiama migliaia di fedeli, da tutti i centri vicini della Provincia. E' conosciuta anche per il "Corteo degli Spinati".


 

Foto: V. Contino, 1970
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


Foto: M. Marcotulli, 2000-2003-2004-2005
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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San Rocco a Cinquefrondi

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Carnevale a Bellizzi

MARTEDI GRASSO

Durante il Carnevale di Terlizzi si rivive la "Zeza", una scenetta carnevalesca, cantata al suono del trombone e della grancassa, che vide probabilmente la luce nella seconda metà del Seicento.


 

Foto: Università di Salerno 1974 - Rappresentazione della Zeza
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Carnevale a San Michele di Serino

Il Carnevale Serinese si festeggia con la tradizionale "A Mascarata" ed è uno dei carnevali più rappresentativi della bassa Irpinia. Nato nella frazione di San Biagio, si festeggia in alcune frazioni del comune di Serino.


 

Foto: E. De Simoni e G. Torre (24 febbraio 2009)
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Orario ICPI
Dal lunedi al venerdi
9.00-17.00
Metro Linea B (EUR Fermi) Bus 30 Express, 170, 671, 703, 707, 714, 762, 765, 791
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