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Articoli filtrati per data: Dicembre 2013

#LACULTURANONSIFERMA. Narrazioni da "Italia dalle molte culture" - I Gurdwara dell’Agro Pontino. Rosa Anna Di Lella e Bianka Myftari

  • Appunti dalla ricerca su “Architetture informali, socialità e costruzione di un senso di comunità intorno alla rete dei gurdwara” di Rosa Anna Di Lella

  • La narrazione di oggi ci porta nel Lazio meridionale, in Provincia di Latina, un territorio che ha visto negli ultimi decenni una trasformazione del paesaggio antropico avvenuta grazie alla presenza crescente di una “comunità di diaspora” indiana, proveniente prevalentemente dal Punjabi, che dagli anni Ottanta e attraverso diverse fasi migratorie ha iniziato a vivere in questo territorio – il cosiddetto Agro Pontino – già denso di stratificazioni sociali e culturali legate a precedenti migrazioni interne.

  • I materiali che qui condividiamo, e che continueremo a condividere nelle prossime settimane, costituiscono una prima restituzione di una ricerca avviata nell’aprile 2019 e tutt’ora in corso: riflessioni, stralci da diari di campo, frammenti di reportage fotografici e documentazione audiovisiva che ci permettono di entrare in un contesto territoriale attraverso racconti e materiali grezzi, non definitivi, seguendo uno sguardo che si sta costruendo.

  • Il principale tema che la ricerca sta indagando è il ruolo che i diversi gurdwara (tempio, letteralmente “porta del guru” in punjabi) stanno assumendo - nel territorio in esame - nella costruzione di relazioni sociali, nella trasmissione di pratiche culturali e nella creazione di vincoli di solidarietà comunitaria, attraverso l’analisi dell’organizzazione di momenti festivi e di riunione collettiva, delle modalità di trasformazione di spazi riqualificati in luoghi di culto e dell’organizzazione di un sistema di cooperazione e partecipazione comunitaria che comprende diversi comuni nella provincia di Latina, da Aprilia a Formia. Partiamo però da qualche dato sulla “comunità sikh” in Italia.

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  •   Borgo Hermada e San Vito, 2019 (Ph. Roberto Galasso, © ICPi)

     1. Qualche numero sulla migrazione degli indiani sikh in Italia: il Lazio

  • Nell’International Migrant Stock del 2019, il report delle Nazioni Unite che stima i flussi delle migrazioni contemporanee, troviamo il seguente dato: la diaspora indiana nel 2019 ha raggiunto il numero di 17.5 milioni di persone, rendendo così l’India il paese maggiormente interessato dal fenomeno della migrazione internazionale. Secondo i dati del Ministry of External Affaire dell’India, sono più di 31 milioni gli Indiani che vivono all’esterno come NRI (Indiani non residenti) e PIO (Persone di origine indiana). Come scrive Vanessa Azzeruoli (2014) nell’analizzare le catene migratorie dall’India, l'immigrazione indiana si concentra in Lombardia, cui seguono Emilia Romagna, Veneto, e Lazio (dati ISTAT 2011).

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  • San Vito, 2019 (Ph. Roberto Galasso, © ICPi)

     È difficile stimare quante di queste persone provengano dal Punjab, ma è possibile fare delle stime, come possiamo leggere nel report di In Migrazione: “Sono più di 20.000 ogni anno i giovani della regione del Punjab indiano che migrano verso l’Europa, e l’Italia è una delle mete principali”. Attualmente, nel Lazio sono circa 12.000 gli indiani provenienti dal Punjab (stima CGIL).

  • Come scrive K. Lum (2012a), il Italia risiede la seconda più grande comunità di Indiani in Europa, che dal punto di vista occupazionale è impiegata in diversi settori: circa 10,000 indiani lavorano in Italina nell’agricoltura, soprattutto nell’Italia centrale, mentre nell’Italia del nord i settori prevalenti sono quelli nell’allevamento e nell’industria casearia (Lum 2012a, 2012b).

  • Non c’è modo qui di affrontare le complesse e diversificate motivazioni alla base del progetto migratorio che toccano questioni di natura economica e politica e che rimandano alla storia dell’India, alle ferite lasciate dal colonialismo e a quelle dei conflitti interni (Denti - Ferrari - Perocco 2005), né di tracciare nel dettaglio le fasi migratorie e le complesse reti transnazionali ad esse collegate (Azzeruoli 2014).

  • È importante però sottolineare, come suggerisce anche la ricerca condotta in questo anno, che si tratta di una migrazione principalmente maschile caratterizzata da ricongiungimenti familiari che avvengono una volta raggiunte forme di stabilizzazione del percorso migratorio, con trasformazioni in atto negli ultimi anni a seguito della crisi economica del 2008.

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 Pontinia, 2019 (Ph. Roberto Galasso, © ICPi)

 2. I Gurdwara 

  • “Per noi il tempio è semplicemente una casa, e senza il tempio non possiamo rispettare i principi fondamentali della nostra religione. Noi il tempio lo chiamiamo Gurudwara, “Guru” vuol dire Dio, e “dwara” casa, la casa del Dio. Ogni fine settimana tutti vengono al tempio per pregare, per condividere e per fare qualcosa per gli altri. (…) Abbiamo creato un’associazione culturale, religiosa e sportiva. La mia idea di fondo era quello di fare qualcosa per i ragazzi, soprattutto per i più piccoli che dimenticano la nostra cultura, i nostri costumi e insegnamenti sikh. Per la nostra religione è molto importante gli insegnamenti dei nostri Guru, per esempio l’insegnamento dell’uguaglianza tra uomini e donne. Per esempio nel langar la parità e fondamentale, per mangiare ci si siede per terra come segno di uguaglianza, tutti insieme senza nessun segno di distinzione. La tradizione del langar fu introdotta da Guru Nanak, il fondatore del sikhismo. L’idea di fondo era quello di abolire qualsiasi forma di divisione come quello delle caste, e di sostenere il principio di parità tra tutti i popoli del mondo, indipendentemente dalla religione, stato sociale, colore, sesso, età. (…) L’idea mia nasce propria da questa tradizione di uguaglianza e condivisione. Volevamo offrire ai ragazzi un luogo per giocare e passare il tempo. Ho notato che in Italia si devono spendere i soldi per poter accedere ai campi di sport. Invece in India i campi di calcio per esempio, sono aperti a tutti e senza pagamento. Lì non giocano undici contro undici, ma possono essere anche cinquanta contro cinquanta, sono partite di amicizia e possono giocare tutti. In questo modo si crea un clima di amicizia e un legame forte. La stessa cosa volevamo fare qua, anche perché molte famiglie non c’è l’ha fanno a pagare e a mandare i loro figli per divertirsi. Quindi abbiamo pensato di prendere in affitto un luogo dove i ragazzi sia indiani che italiani possono giocare insieme. Sono convinto che realizzeremo anche questo progetto. (…) Posso dire che da quando abbiamo aperto nel 2015 qui il tempo di Borgo Hermada, è diventato un tempio storico da dove sono partite tante altre cose, abbiamo affrontato molte problematiche come quello dello sfruttamento, senza il tempio tutto ciò non era possibile. Qui organizziamo anche l’esame della lingua che serve per prendere il permesso di soggiorno, oltre che classi per imparare la lingua italiana”.

  • È cosi che Gurmukh Sinhg ci racconta cosa è per lui il tempio, rimarcando diversi aspetti che anche le ricerche mettono in evidenza: il luogo di culto come punto centrale nella costruzione di un senso di comunità e di appartenenza, nel rinnovare legami con il paese di origine, nel sostenere e offrire accoglienza e servizi per le persone di recente migrazione (Gallo 2012). I templi sono espressione al contempo creano un nuovo modo di leggere il territorio, una nuova geografia dell’appartenenza (Vertovec, citato da: Gallo 2012).

 

  • Il tempio sono punti significativi sul territorio, esprimono leadership territoriali e gruppi di interesse articolati secondo un’organizzazione vasta che si attiva soprattutto nelle occasioni delle celebrazioni collettive, durante le quali tutte le comunità di riferimento dei diversi templi partecipano alla raccolta fondi e alla preparazione di cibi e bevande che vengono poi distribuiti ai partecipanti del singolo evento. Il calendario stesso delle celebrazioni che abbiamo seguito nel corso del 2019 è organizzato collegialmente dai referenti dei gurdwara del territorio, con una dislocazione nel tempo e nello spazio delle diversi appuntamenti che quindi coinvolgono a rotazione tutto il territorio. Allo stesso tempo sono luoghi del tempo libero, d’incontro e di socialità, ma anche di scambio di informazioni, luoghi da cui si organizzano rivendicazioni e manifestazioni contro il caporalato. Spazi del tempo di festa e del vivere quotidiano in cui dare forma alla trasmissione di saperi e modalità di percepire il mondo.

  • Da una semplice ricerca su Google Maps si può notare quanti siano i templi attualmente presenti sul territorio dell’Agro Pontino: Cisterna di Latina, San Vito, Terracina, Fondi, Pontinia, Sabaudia per la provincia di Latina e ancora Lavinio e Velletri nella provincia di Roma. Sono templi costruiti in zone rurali o nelle vicinanze dei centri abitati, accolti acquistando o affittando ex capannoni industriali o strutture agricole, riadattate e rimodellate secondo una organizzazione dello spazio che ha delle costanti: un ingresso con il parcheggio, uno spazio di confine tra esterno e interno dove lasciare le scarpe, lavarsi le mani e i piedi, un struttura principale per la preghiera dove sono presenti il Libro e l’alloggio del sacerdote, uno spazio cucina dove preparare i cibi e consumarli (langar). 

 

  • Dentro la ricerca: dal diario di campo. Visita ai templi sikh di Cisterna di Latina, Pontinia e Borgo Hermada di Bianka Myftari 

  • Sabato 3 agosto
  • In una calda giornata d’estate io e Rosa Anna siamo partite dalla stazione di Termini per arrivare a Latina dove ci aspettava Marianna. L’obbiettivo della ricerca e quello di osservare da vicino i templi Sikh, che tipo di architettura hanno, come funzionano e soprattutto il ruolo che svolge all’interno della comunità. Dopo che Marianna è venuta a prenderci, da lì a poco in un bar di Pontinia, ci ha raggiunto anche Gurmukh Singh, il nostro interlocutore privilegiato. Gurmukh è una figura di forte rilievo, rappresentante della comunità Sikh nel Lazio, uno dei fondatori del tempio di Borgo Hermada. 
    • Si occupa non solo della organizzazione del tempio e delle ricorrenze religiose, ma da anni si batte contro lo sfruttamento agricolo dei lavoratori sikh nell’Agro Pontino,tra Latina, Pontinia, Aprilia, Bella Farnia, Sabaudia, Borgo Hermada, San Felice al Circeo, Terracina e Fondi.
    • Ed è proprio lui insieme a Marco Omizzolo, ricercatore e responsabile scientifico della cooperativa In Migrazione, ad aver organizzato il primo sciopero della storia dei braccianti Sikh davanti alla prefettura di Latina nel aprile del 2016. Come racconta Gurmukh quel giorno ha segnato una piccola vittoria per i diritti dei braccianti, una situazione che conosce benissimo perché anche lui per 15 anni ha fatto il bracciante, prima di decidere di aprire un’attività commerciale nei pressi di Borgo Hermada. In qualsiasi avvenimento importante per la comunità, il tempio (chiamato gurdwara) svolge un ruolo fondamentale. Per i Sikh il tempio è il centro di tutto, per la comunità è vista come uno spazio multifunzionale, in cui pregare, stare insieme, cucinare, a volte diventa anche un luogo di svago soprattutto per i giovani.
    • Dopo il caffè al bar, tutti insieme ci dirigiamo verso un nuovo tempio situato nel centro abitato di Cisterna di Latina. La strada per arrivare è un po’ malconcia, Cisterna è un piccolo paese che sorge ai margini settentrionali dell’Agro Pontino, ed è un centro importante agricolo e industriale. Anche in questa piccola provincia di Latina la comunità Sikh nel corso dei anni è diventata più grande ed è nata la necessità di avere un tempio in cui riunirsi in preghiera.
    • Dopo aver attraversato le stradine che costeggiano i tanti campi coltivati, entriamo a Cisterna: è una zona residenziale fatta per lo più di villette, vediamo da lontano la bandiera arancione della che segnala il tempio sikh che sventola per testimoniare la propria presenza e offrire conforto e aiuto ad ogni persona che desidera recarsi.

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      • Cisterna di Latina, 2019 (Ph. Bianka Myftari, © ICPi)

      • Da subito si nota uno spazio grande, davanti a noi ci sono due edifici, uno grande che sarà il tempio, e l’altra più piccola che svolgerà la funzione di langar, la cucina comunitaria.  Ci dicono che recentemente sono stati acquistati grazie alle offerte della comunità Sikh, anche qua, come la maggioranza dei templi ha le tipiche dimensioni di un capannone, forse un ex-deposito auto o una officina.
      • All’interno l’ambiente è molto grande, ci sono alcuni volontari che a seconda delle proprie possibilità e abilità offrono il loro contributo per la costruzione del tempio. Alcuni dipingono, altri si occupano dell’elettricità. Il primo che ci da il benvenuto è il sacerdote del tempio. Insieme a Gurmukh ci fa strada e ci conduce verso le scale dove portano a delle piccole stanzette “adeguate” in base alle loro esigenze.

 

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      • Cisterna di Latina, 2019 (Ph. Bianka Myftari, © ICPi)

    • Una di quelle stanze svolge la funzione di un piccolo tempio provvisorio dove i credenti possono recarsi finché non sarà terminata la costruzione del tempio nuovo. L’ambiente e diviso in due parti da una tenda ed è coperto da tappeti. Nella prima stanza, sono seduti fedeli di diverse età, invece nella seconda stanza si trova il testo sacro, il Guru Granth Sahib Ji, collocato sopra un altare sormontato da un baldacchino. I fiori anche se finti sono elemento principale dell’arredamento intorno al testo sacro. Sul lato sinistro del baldacchino si intravede dietro la tenda un letto dedicato al “riposo” del libro. I fedeli si mettono in fila davanti al baldacchino per porgere i saluti e inchinandosi di fronte al Guru Granth Sahib. Durante l’inchino si può fare un’offerta in denaro nell’apposita cassetta, la quale andrà a finanziare il mantenimento del tempio. Dopo l’inchino i fedeli sempre in preghiera girano intorno al libro in maniera rispettosa, dopodiché si siedono per terra.
    • Appena ci siamo seduti un volontario si avvicina per offrirci il “Karah-Parshad”, budino di semolino preparato con burro, farina, zucchero e acqua. Il dolce rappresenta il corpo di Dio e per questo deve essere preso con tutte e due le mani come segno di rispetto.
    • Un fedele mi racconta che ogni fine settimana lui e la sua famiglia vengono al tempio non solo per pregare ma soprattutto per aiutare a preparare il langar, la cucina comunitaria. Il volontariato e il senso del dovere verso la comunità sono le colonne portanti della fede sikh.
    • Dopo aver parlato con alcune persone, quindi, lasciamo Cisterna e ci dirigiamo verso un altro Gurdwara che conosciamo bene, quello di Pontinia. L’esterno del tempio sembra un cortile scolastico, ci sono molti ragazzi e bambini che giocano. In quel momento si stavano svolgendo due funzioni religiose, la prima all’interno del tempio composta solo dagli uomini, e la seconda all’esterno del tempio composta maggiormente da donne. Tutti avevano in mano un libricino che conteneva la parola di Dio scritto.

     

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      • Pontinia, 2019 (Ph. Bianka Myftari, © ICPi)

    • Abbiamo poi incontrato un gruppo di giovani, tra cui Raman, una giovane ragazza, di seconda generazione, che conosce bene la tradizione sikh e vuole esserne depositaria.
    • Raman è estroversa, ha voglia di raccontarsi e di condividere con noi la sua esperienza all’interno della comunità. Nonostante la sua giovane età ha le idee chiare, nella sua famiglia è stata la prima ad essere battezzata, afferma che e stata una sua libera scelta, ed il fatto che è stata la prima nella sua famiglia a fare questo passo la rende orgogliosa.
    • Essere battezzati sikh  significa non solo portare avanti la propria tradizione ma allo stesso tempo comporta una serie di obblighi e rinunce. E considerata il segno totale della dedizione alla fede, che si accompagna con i segni fisici della fede e 5 K: portare il pugnale (Kirpan), non tagliare mai i capelli, portati sempre raccolti sotto il turbante, avere sempre con sé il pettine (Kangha), le brache lunghe (Kacha), e l’ultimo il quinto segno portare un braccialetto di ferro chiamato Kara, rappresenta il ricordo costante di Dio.
    • Raman racconta con entusiasmo che fa parte dei  Gatka, una disciplina marziale in cui un gruppo di fedeli, eseguono dimostrazioni con diverse armi come bastoni, cerchi, catene e spade, e commemorano in questo modo le figure dei guerrieri Sikh che combatterono contro il nemico. Questa disciplina venne insegnata nelle scuole Gatka, e spesso anche nei templi sikh, dove tutti possono partecipare, anche le donne, pur se si tratta di una disciplina precedentemente riservata solo ai uomini. Raman afferma che fare parte di questo gruppo non significa solo imparare a combattere ma ad essere uguali agli uomini, per far capire a tutte le donne che possono fare qualsiasi scelta di vita.

     

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      • Pontinia, 2019 (Ph. Bianka Myftari, © ICPi)

    • Dopo una breve intervista, Raman ci presenta sua madre, conosce solo la sua lingua punjabi. Ha un viso stanco,  segnato dalle fatiche del tempo, i suoi occhi scuri e profondi rispecchiano la sua anima gentile, ci sorride, sembra quasi imbarazzata di non saper parlare in italiano, anche se l’espressione del suo viso ci fa capire più delle parole. È arrivata in Italia tanti anni fa. Ci racconta di aver seguito il suo marito, era ancora giovane, ha fatto sempre la casalinga e purtroppo non si e mai inserita nel tessuto sociale italiano.  Ci invitano a mangiare nel langar.  Appena entriamo un volontario ci invita a prendere il piatto e il bicchiere per poi prendere posto con gli altri. L’idea di langar mi sembra davvero rivoluzionaria, tutti possono mangiare, senza distinzione di credo e classe sociale, ed ecco perché per la consumazione dei pasti ci si siede per terra come segno di uguaglianza.
    • Finito di mangiare portiamo i piatti nel lavandino dove un gruppo di donne aiutano a lavare i piatti  e sistemare la cucina, anche gli uomini non sono da meno, ci dicono che tutti devono contribuire ognuno con la propria capacità per il bene comune, e questa e la cosa più importante e più significativa della comunità sikh.

     

    • 4 agosto 2019
    • La nostra destinazione della giornata è il Gurdwara di Borgo Hermada. Per i fedeli la domenica è dedicata al tempio anche perché durante la settimana la maggior parte di loro  lavorano per i campi, spesso finendo sera tardi. Oggi vengono tutti al tempio dove insieme alle famiglie si riuniscono  per pregare e per stare insieme. Secondo la religione, almeno un giorno a settimana dovrebbe essere dedicata al Gurdwara, al volontariato e al servizio verso gli altri.
    • Borgo Hermada, frazione del comune di Terracina, è uno dei borghi sorti nell’Agro Pontino durante il periodo fascista. Il centro abitato si estende su una vasta area rurale. Il tempio sorge poco distante dal centro abitato, circondato da un ampio campo agricolo. L’edifico che ospita attualmente il tempio di Borgo Hermada era un ex- capannone agricolo, usato per svariate necessità, come del resto la maggioranza dei templi sikh in Italia si sono adottate a fabbricati già esistenti e con tutt’altre funzioni.
    • In questa calda mattinata stiamo per raggiungere il tempio, da lontano tra ampi campi di grano e terre coltivate si vede la bandiera arancione con il simbolo della fede sikh. Una volta arrivati togliamo le scarpe e li mettiamo sui scaffali sotto il gazebo che si trova sulla parte sinistra del entrata principale.

     

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      • Borgo Hermada, 2019 (Ph. Bianka Myftari, © ICPi)

    • Lo spazio è grande, si compone dal tempio che si trova sulla parte destra dell’entrata principale, dal langar, lo spazio che spesso si utilizza come luogo di svago dove giocano i bambini; in un angolo a sinistra di notano dei attrezzi di allenamento utilizzata dai ragazzi. 
    • Prima di entrare nel Gurdwara, il visitatore o un fedele deve lavarsi mani e piedi nel apposito vasca e lavandino che si trovano davanti all’entrata, per poi coprirsi il capo come segno di rispetto verso il Testo Sacro.  Per accogliere al meglio i fedeli prima delle preghiere, un gruppo di ragazzi stanno preparando una bevanda rinfrescante preparato secondo la tradizione del Punjab.
    • Anche se è ancora presto i fedeli cominciano ad arrivare, anche se è un luogo di culto al tempio si e creata una atmosfera famigliare, molti visitatori sono famiglie che insieme ai loro figli vengono a pregare.
    • È un luogo di incontro non solo sul aspetto religioso ma soprattutto su quello sociale.
    • Mi sposto in cucina per fare delle fotografie, i volontari chiamati sono alle riprese per la preparazione dei cibi tradizionali. Lo fanno per i principi della condivisione e fratellanza che sono molto sentiti all’interno della comunità sikh.
    • In cucina ci si aiuta a vicenda, non c’è una distinzione tra generi anche se le donne svolgono un ruolo importante nella preparazione dei pasti. Ho incontrato Jonny che stava preparando una ricetta tradizionale del suo villaggio d’origine, gli ingredienti principali sono carote, piselli, cipolla, alloro e varie spezie. Spiega che è una ricetta semplice, ma che li ricorda la sua infanzia, da piccolo aiutava sua madre nella preparazione dei pasti, lei è stata la sua più grande ispirazione.
    • In un altro tavolo un gruppo di donne sta preparando pane tradizionale indiano chiamato chapati, è parte fondamentale di ogni pasto perché accompagna qualsiasi ricetta.
    • Dall’altro angolo della cucina la maggior parte degli uomini lavano i piatti e le pentole, invece i bambini aiutano a servire il cibo ai fedeli. Tutto e ben organizzato, ognuno ha un compito preciso nella grande cucina comunitaria.
    • Il Gurudwara comincia a riempirsi di fedeli, in ordine tolgono le scarpe nel apposito posto, lavano mani e piedi per poi entrare nel tempio e porgere il saluto al Testo Sacro, il Guru Granth Sahib.
    • L’interno del tempio gremita di fedeli, sembra di essersi tuffati all’interno di un grande mosaico per la varietà dei abiti tradizionali e turbanti colorati. Sulla parte sinistra stanno le donne, su quella destra gli uomini, a metà della sala alcuni fedeli aspettano pazientemente il loro turno per il saluto al libro. È un giorno speciale, alcuni sacerdoti Jatha venuti dal India per cantare insieme ai fedeli. Sembra che l’uso del canto nelle celebrazioni religioso sia stato introdotto dal decimo Guru, il Guru Gobind Singh Ji. C’era bisogno di un particolare stile di canto che trasmettesse energia ai combattenti di guerra. Spesso i testi elogiano l’audacia e il coraggio dei guerrieri sikh.  Oggi i Jatha cantano inni sacri e raccontano la storia dei sikh alla congregazione.

     

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        • Borgo Hermada, 2019 (Ph. Bianka Myftari, © ICPi)

    • Una volta finito la “messa” come lo chiamano loro, ci spostiamo verso langar per mangiare, prendiamo il piatto e il bicchiere di metallo per prendere posto con gli altri. Mangiamo seduti con le gambe incrociate. I più giovani offrono il cibo che viene servito caldo. Secondo la tradizione si mangia con le mani, però se serve vengono servite le posate. Il menu più servito è riso, salsa con verdure e il rinunciabile pane indiano. 
    • Tutti sono molto gentili e ci sorridono. Non è la prima volta che la nostra presenza risulti molto gradita all’interno del tempio, anche se al inizio della ricerca su i loro volti traspariva un  po’ di stupore e curiosità.   

         

     

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  • Il gruppo della ricerca in corso nel territorio della provincia di Latina è costituito da Rosa Anna Di Lella (funzionario demoetnoantropologo dell’ICPi, coordinamento), Roberto Galasso (Fotografo del Servizio VI - DG Abap), Marianna Fratteralli (operatrice culturale, esperta in processi di mediazione), Bianka Myftari (antropologa culturale, impegnata nel 2019 in un tirocinio formativo all’ICPi nell’ambito del piano didattico della Scuola di Specializzazione in Benidemoetnoantropologici de “La Sapienza” Università di Roma)

     

    Fonti e approfondimenti

    Azzeruoli, V. (2014) Legami tra pianure. Gli intermediari nella migrazione panjabi indiana in Italia. Tesi di dottorato di ricerca in Scienze Sociali, Interazioni, Comunicazione, Costruzioni Culturali (ciclo XXVI), Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata https://www.academia.edu/9688549/Tesi_di_dottorato_LEGAMI_TRA_PIANURE_Gli_intermediari_nella_migrazione_panjabi_indiana_in_Italia)

    Denti D., Ferrari M., Perocco F., 2005, I sikh, storia e immigrazione, Milano, Franco Angeli

    Gallo, E. (2012) Creating Gurdwaras, Narrating Histories: Perspectives on the Sikh Diaspora in Italy, in SAMAJ -South Asia Multidisciplinary Academic Journal, n. 6 (https://doi.org/10.4000/samaj.3431)

    International Migrant Sctock 2019, United Nations - Department of Economic and Social Affairs (https://www.un.org/en/development/desa/population/migration/data/estimates2/estimates19.asp)

    Lum, K. (2012a) Indian Diversities in Italy: Italian case study, in Technical Report, Migration Policy Centre, CARIM-India Research Report, 2012/02 (https://cadmus.eui.eu/handle/1814/20821)

    Lum, K. (2012b) The Quiet Indian Revolution in Italy´s Dairy Industry, in Technical Report, Migration Policy Centre, CARIM-India Research Report, 2012/08 (https://cadmus.eui.eu/handle/1814/23486)

    Omizzolo, M. (2019) Sotto padrone. Uomini, donne e caporali nell’agromafia italiana, Feltrinelli

    Punjab. Fotografia delle quotidiane difficoltà di una comunità migranteinvisibile. Anteprima dell’indagine sulle condizioni della comunità Sikh più grande d’Italia, in Provincia di Latina, a cura di In Migrazione, Società Cooperativa Sociale (https://www.inmigrazione.it/UserFiles/File/Documents/34_Punjab.pdf)

     


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#LACULTURANONSIFERMA la rubrica Visioni d'Archivio: il vino negli archivi ICPI

#LACULTURANONSIFERMA: VISIONI D'ARCHIVIO oggi ci porta alla scoperta del #vino attraverso le stampe dell'archivio fondato da Lamberto Loria, le foto dell'archivio fotografico e le ultime produzioni audiovisive della Val D'Ossola. Queste riflessioni fanno parte di un lavoro di ricerca svolto da Fabio Fichera e Alessia Villanucci (Servizio VI DG-ABAP) e presentato al Symposion. L’arte del bere insieme” all'interno della "Giornata dell'archeologia 2019" presso Università la Sapienza di Roma.

 

Ospite della rubrica Ilaria Bonelli (Antropologa ANPIA) che ci parlerà delle attuali campagne di documentazioni tra committenza, territorio e note metodologiche.

 

Il video citato nella parte finale sul "prunent piede franco":

 

 

 

 

 

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#LACULTURANONSIFERMA la rubrica: Visti dalla finestra di Alessandra Broccolini

"Risorse culturali", socialità e narrative del dono nella domesticità forzata ai tempi del Coronavirus.

con testi di Alessandra Broccolini (SIMBDEA, Università la Sapienza di Roma) e reportage fotografico di Massimo Cutrupi (ICPi)

  • In questi giorni di immobilità forzata che ci vede spettatori della drammatica evoluzione che la pandemia sta avendo a livello globale, in questi giorni di lutto che chiedono solo silenzio in cui le uniche parole di senso sembrano spettare ai medici, anche chi è solito guardare le forme di vita umane con gli strumenti dell'antropologia sta tentando di capire, di fare ordine, di iniziare a riflettere sull'epidemia e i tempi del contagio; riflessioni per ora iniziali che stanno prendendo forma da parte di diversi antropologi, ma che si andranno meglio a definire nei prossimi mesi e probabilmente anni.
  • Verrà il momento per fare un'analisi critica adeguata e strutturata delle politiche messe in atto dal governo per contenere l'epidemia, un esame delle sue probabili cause, dei suoi effetti nelle nostre vite, e degli effetti che avrà questo nuovo corso sul piano economico, sul mercato del lavoro, sulle politiche sanitarie, ambientali e in generale sul tessuto democratico del paese. Ma per il momento uno dei pochi dati chiari, oltre a quelli che giornalmente ci restituiscono il dolore e il lutto è, come ha sottolineato Fabio Dei in un suo recente articolo su Fareantropologia, la situazione di "socialità modificata" che le misure adottate dal decreto Coronavirus #iorestoacasa dell'11 marzo scorso hanno comportato.
  • Si tratta di misure senza precedenti per la nostra storia nazionale, e anche europea, che nel bene e nel male hanno aperto importanti spazi di osservazione e ci mettono in condizione di tentare alcune letture che possiamo provare a far dialogare anche con gli sguardi e i campi che frequentiamo, come quello dei patrimoni culturali.
  • Non è facile in questo frangente mettere in connessione due ambiti apparentemente così distanti, quello dell'emergenza sanitaria e il campo dei "patrimoni culturali". Tuttavia, se una delle peculiarità dell'antropologia è proprio l'osservazione minuta degli interstizi del quotidiano e delle pratiche di vita della gente comune nelle interazioni con livelli macro del vivere e delle politiche, forse proprio osservare le forme della relazionalità "ai tempi" dell'invisibile virus può darci alcuni spunti.
  • Nei giorni immediatamente successivi al decreto abbiamo iniziato a sperimentare sulla nostra pelle - inizialmente increduli poi via via sempre più adattati - misure di quarantena sempre più stringenti, un isolamento forzato che ha sconvolto le nostre vite. Sicuramente - è stato notato - è soprattutto nelle grandi città che i ritmi sono stati più sconvolti rispetti ai piccoli e piccolissimi centri, ad esempio della montagna, da tempo abituati ai vicoli deserti, ai tempi lenti, al silenzio.

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 © Massimo Cutrupi, 2020 

  • Improvvisamente, da un giorno all'altro, il traffico dalle nostre strade congestionate è scomparso, sono scomparse le macchine, la folla nelle strade, tutto il superfluo ha cessato di fare rumore; dalla mia finestra sento gli uccelli cantare la mattina ed è scomparso il sottofondo di rumore che anche di notte viene di solito anche dalle mie finestre chiuse. E si è aperto un gigantesco campo di osservazione delle dinamiche relazionali modificate, del nostro diverso rapporto con gli spazi vicinali, condominiali, domestici. Se non possiamo parlare di "etnografia", che è di certo difficile praticare rimanendo chiusi in casa, per lo meno possiamo guardarci intorno dalle nostre pareti domestiche, riallacciare le relazioni con quel mondo di prossimità che forse avevamo sempre ignorato.
  • Si è già molto parlato della nuova socialità dei balconi che è nata in molti quartieri delle grandi città - dove evidentemente questa socialità era scomparsa da tempo, o non c'era mai stata. Sono nati piccoli e grandi nuovi ritualismi urbani, il "rito delle fatidiche ore 18" (lo potremmo chiamare così?), fatto di canti, pentole sbattute, concerti improvvisati, il rumore liberatorio, celebrativo, nazional-popolare, scaramantico. Si fanno amicizie dai balconi, si sorride, si urla a volte senza sapere cosa; c'è chi afferma che "prima" (la nostra temporalità ben presto si definirà intorno ad su un prima e un dopo il Coronavirus) nel suo palazzo non conosceva nessuno e nemmeno in quelli vicini, mentre ora si conoscono tutti per nome e cognome; persino Bono Vox canta e rende omaggio a questa Italia "dei mille balconi". Questo esercizio l'ho fatto fare qualche volta agli studenti romani, "prima" dell'anno 0; fargli raccontare e contare quante persone conoscevano realmente nel loro mondo di prossimità territoriale, nel palazzo, nella via, nei palazzi vicini. E i numeri spesso non arrivavano neppure a quelli delle dita di una mano.

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© Massimo Cutrupi, 2020

  • Facendo la spesa qualche giorno fa, nella lunga fila a distanza alla quale siamo tutti abituati in questi giorni, un uomo che aveva voglia di parlare mi racconta la vita nel suo palazzo, dei bisogni dei condòmini: mi parla del bisogno espresso da molti suoi vicini di fare movimento, di camminare, e mi racconta una storia che mi pare "buffa", che forse mi ricorda un film d'altri tempi, una commedia all'italiana, ma è emblematica di pratiche reali e soprattutto di narrative emergenti che mi pare iniziano a definirsi intorno ad una "idea" di ritrovata socialità, una sorta di mondo perduto che viene ricucito "dopo" e a causa dell'innominato. "Nel mio condominio - prosegue l'uomo - mi hanno nominato consigliere condominiale; ho le chiavi della terrazza comune dell'ultimo piano; ci siamo dati i turni per andare a fare ginnastica e correre in terrazza, ora che le palestre sono chiuse; c'è chi va il lunedì, chi va il martedì, chi il mercoledì. I condòmini mi chiedono le chiavi in base agli orari stabiliti, così non si creano conflitti e manteniamo le distanze". Una sorta di palinsesto condominiale che regola l'uso di uno spazio comune causa necessità e forse grazie alla necessità di mantenere le distanze. Già, proprio quegli spazi comuni che poco tempo prima, magari, erano stati oggetto di conflitti opposti a causa di chi ne avrebbe abusato a scopi individuali, per prendere il sole, o per mangiare, atto vietatissimo nella normale vita nelle grandi città.

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  • © Massimo Cutrupi, 2020

    Sono molte le storie che iniziano a circolare su questa nuova socialità, o bisogno di socialità, che va a costruire un filone di narrative "ai tempi del..." che inizia a prendere forma a livello popolare. Sempre a queste pratiche/narrative appartiene tutto il filone dell'aiuto "donato" per poter svolgere compiti domestici di vario tipo e occupare il tempo: aiuto a scuola, cucina, musica, ginnastica, disegni, un "ti insegno come fare...." qualsiasi cosa, complice l'uso di social, Facebook, Youtube e naturalmente i media.

  • Tra questi, un posto a parte lo occupa l'oggetto del desiderio, il feticcio, il dispositivo intorno al quale questa socialità modificata sta prendendo forma, l'introvabile dei nostri temi, il protagonista: la mascherina. Un oggetto che è entrato di prepotenza nell'immaginario e nelle pratiche quotidiane, un oggetto risolutivo delle paure popolari, dispositivo psicologico primario intorno al quale esercitare pratiche, creatività e una fondamentale e mai sopita "arte di arrangiarsi".

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  • © Massimo Cutrupi, 2020

    Tutorial di varia natura ci insegnano a fabbricarne una fatta in casa, in uno slancio di ritrovata (anche qui) manualità al servizio degli altri; giungono notizie di iniziative virtuose - mi riferisco ad iniziative di piccola scala vicinale naturalmente e non ad iniziative di tipo "industriale" - ad esempio da Napoli, dove la tradizione del lavoro a domicilio attiva fino a pochi decenni fa, quel tessuto vicinale protagonista del cosiddetto decentramento produttivo, sta riattivando "produzioni" dal basso di mascherine; un mondo virtuoso che vale di per sé, risorsa umana al di là della protezione reale che questi manufatti possono dare dal contagio. Ma dalle città del sud arrivano notizie anche di iniziative che rievocano le altre grandi narrative sulle solidarietà vicinali, solidarietà creative, come quello della "spesa sospesa", che riecheggia il caffè sospeso, per aiutare i bisognosi in questo periodo difficile.

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© Massimo Cutrupi, 2020

  • E' troppo presto per dire se in questa "socialità modificata", al di là delle narrative che restituiscono un proliferare di risorse umane virtuose in azione, ci sia, come ha sottolineato Fabio Dei nel testo già citato, più utilitarismo o più spirito del dono, più sospetto e caccia all'untore, più nuove forme di solitudine, che si vanno ad aggiungere alle precedenti, più discriminazioni, che una neo-socialità e un modo nuovo di ripensare le relazioni sulla base del dono. Ma la "costrizione" territoriale che stiamo vivendo ci obbliga giornalmente anche a non allontanarci da casa di più di pochi metri e questo sta conducendo tutti verso esperienze di riappropriazione (ed esplorazione) forzata dei nostri territori di prossimità, anche se questo vale ancora una volta per le grandi città rispetto ai piccoli paesi, dove forse non è cambiato molto rispetto ad un mese fa. Se non possiamo parlare di una forma di patrimonio "culturale", possiamo parlare forse di un campo di "risorse" culturali intangibili che si stanno attivando in forme disparate a partire dalla gente comune, a livello senz'altro popolare, per fare fronte, ma forse soprattutto per dare un senso agentivamente al disordine generato dall'invisibile e rispondere a questo elevando il legame sociale, la solidarietà e il dono a forma simbolica ideale.
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#LACULTURANONSIFERMA Pillole di demoetnoantropologia: la tutela partecipata

Con la rubrica “Parole chiave del patrimonio im-materiale” intendiamo presentare, in forma divulgativa, alcuni dei principali concetti e casi relativi al patrimonio culturale immateriale, al patrimonio demoetnoantropolgico e agli strumenti analitici dell’antropologia culturale utili al fine di esplorarne la ricchezza. Lo faremo attraverso la voce di antropologi culturali e professionisti che lavorano e fanno ricerca in questi ambiti.

La prima parola chiave è "La tutela partecipata" a cura di Valeria Trupiano.

Bibliografia “LA TUTELA PARTECIPATA” a cura di Valeria Trupiano (demoetnoantropologa MIBACT)

Ballacchino, Katia, 2013, Per un’antropologia del patrimonio immateriale. Dalle Convenzioni Unesco alle pratiche di comunità, «Glocale», 6-7: 17-32.

Broccolini, Alessandra, 2015, Folclore, beni demoetnoantropologici e patrimonio immateriale in “L’Italia e le sue regioni”, Enciclopedia Italiana Treccani: 175-188.

Gualdani, Annalisa, 2019, I beni culturali immateriali: una categoria in cerca di autonomia, «Aedon. Rivista di arti e diritto online», n. 1.

Palumbo, Berardino, 2009, Patrimonializzare, «AM. Antropologia museale», 8, n. 22: 38-40.

Tarasco, Antonio Leo 2018, Ai confini del patrimonio culturale tra luoghi comuni e processi di produzione della cultura, «Aedon. Rivista di arti e diritto online», n. 1.

Trupiano, Valeria 2019, Il bene di chi? Comunità e tutela del patrimonio demoetnoantropologico e immateriale in Ballacchino K., Bindi L., Broccolini A. “Ritornare. Pratiche etnografiche tra comunità e patrimoni culturali”, Pàtron Editore, Bologna (in corso di pubblicazione).

Tucci, Roberta, 2013, Beni culturali immateriali, patrimonio immateriale: qualche riflessione fra dicotomie, prassi, valorizzazione e sviluppo, «Voci», anno X: 183-190.

Pensare e tutelare l’immateriale: una riforma mancata, 2016, seminario dell’Associazione Bianchi Bandinelli http://www.bianchibandinelli.it/2016/11/28/pensare-e-tutelare-limmateriale-una-riforma-mancata/

I beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche, 2014, «Aedon. Rivista di arti e diritto on line», n. 1 http://www.aedon.mulino.it/archivio/2014/1/index114.htm

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#LACULTURANONSIFERMA Le parole chiave del patrimonio im-materiale: la tutela partecipata (a cura di Valeria Trupiano)

Con la rubrica “Parole chiave del patrimonio im-materiale” intendiamo presentare, in forma divulgativa, alcuni dei principali concetti e casi relativi al patrimonio culturale immateriale, al patrimonio demoetnoantropolgico e agli strumenti analitici dell’antropologia culturale utili al fine di esplorarne la ricchezza. Lo faremo attraverso la voce di antropologi culturali e professionisti che lavorano e fanno ricerca in questi ambiti.

La prima parola chiave è "La tutela partecipata" a cura di Valeria Trupiano.

la galleria fotografica contiene immagini di Roberto Galasso e Fabio Fichera ©ICPI

Bibliografia “LA TUTELA PARTECIPATA” a cura di Valeria Trupiano (demoetnoantropologa MIBACT)

Ballacchino, Katia, 2013, Per un’antropologia del patrimonio immateriale. Dalle Convenzioni Unesco alle pratiche di comunità, «Glocale», 6-7: 17-32.

Broccolini, Alessandra, 2015, Folclore, beni demoetnoantropologici e patrimonio immateriale in “L’Italia e le sue regioni”, Enciclopedia Italiana Treccani: 175-188.

Gualdani, Annalisa, 2019, I beni culturali immateriali: una categoria in cerca di autonomia, «Aedon. Rivista di arti e diritto online», n. 1.

Palumbo, Berardino, 2009, Patrimonializzare, «AM. Antropologia museale», 8, n. 22: 38-40.

Tarasco, Antonio Leo 2018, Ai confini del patrimonio culturale tra luoghi comuni e processi di produzione della cultura, «Aedon. Rivista di arti e diritto online», n. 1.

Trupiano, Valeria 2019, Il bene di chi? Comunità e tutela del patrimonio demoetnoantropologico e immateriale in Ballacchino K., Bindi L., Broccolini A. “Ritornare. Pratiche etnografiche tra comunità e patrimoni culturali”, Pàtron Editore, Bologna (in corso di pubblicazione).

Tucci, Roberta, 2013, Beni culturali immateriali, patrimonio immateriale: qualche riflessione fra dicotomie, prassi, valorizzazione e sviluppo, «Voci», anno X: 183-190.

Pensare e tutelare l’immateriale: una riforma mancata, 2016, seminario dell’Associazione Bianchi Bandinelli http://www.bianchibandinelli.it/2016/11/28/pensare-e-tutelare-limmateriale-una-riforma-mancata/

I beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche, 2014, «Aedon. Rivista di arti e diritto on line», n. 1 http://www.aedon.mulino.it/archivio/2014/1/index114.htm

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#LACULTURANONSIFERMA: per la rubrica #LAFESTANONSIFERMA oggi vi parliamo del progetto sulle feste religiose a Roma

“La festa religiosa a Roma" è un progetto in svolgimento che vede la collaborazione tra Soprintendenza Sperciale ABAP di Roma, il Servizio VI della DG - ABAP e il supporto e il finanziamento dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale. L’iniziativa è dedicata all'osservazione e allo studio delle cerimonie che ancora si svolgono nei rioni e nei municipi di Roma, e nella sua prima fase, tuttora in corso, ha indirizzato l’osservazione sui rituali per le feste patronali di San Clemente al Celio, Santa Maria Liberatrice presso l’omonima parrocchia salesiana di Testaccio, San Giuseppe patrono della basilica di via Bernardino Telesio nel popoloso quartiere Trionfale; sulla Festa della Madonna del Carmine a Trastevere, celebre per la Processione della Madonna Fiumarola, della Medaglia Miracolosa che si celebra a Sant’Andrea delle Fratte e sulla “Festa Titolare" nella chiesa trasteverina di Santa Maria dell'Orto. Per il calendario delle feste ebraiche il Centro di Cultura Ebraico e l’Ufficio Rabbinico hanno assicurato il loro supporto individuando lo spunto di ricerca nella celebrazione del Purim che si svolge nel mese di marzo (a metà del mese ebraico di Adar, quest'anno tra il 9 e il 10 marzo) con la folta partecipazione dei bambini alla più gioiosa tra le celebrazioni rituali della comunità.

La ricerca è mirata alla raccolta delle informazioni che promanano dalla tradizione canonica (ecclesiastica), laica o confraternale, con una particolare attenzione riposta anche all’individuazione delle forme di integrazione e al ruolo delle comunità migranti nelle consuetudini cultuali cittadine. La strategia di ricerca è basata sull’indagine rivolta alla comprensione della complessità del vissuto urbano secondo la prospettiva antropologico-sociale, e i ricercatori coinvolti sono impegnati nella comparazione tra materiali demologici e rilievi di terreno (i sopralluoghi, le interviste, la documentazione degli aspetti materiali delle ritualità, il riconoscimento dei rituali messi in scena e degli attori sociali, la ricerca dei documenti fotografici e audiovisivi d’archivio) allo scopo di creare una raccolta di dati finalizzata anche ad una futura catalogazione delle feste romane, tradizionali e non, ancora attive.

L’attuale emergenza collegata al diffondersi dell’epidemia “Covid-19” ha segnato la temporanea battuta d’arresto dell’attività di ricerca sul campo e delle previste interviste e riprese fotografiche che si sarebbero potute effettuare in coincidenza del Purim e delle celebrazioni per San Giuseppe. Tuttavia il lavoro prosegue attraverso l’interpretazione e l’analisi dei dati conoscitivi reperiti, destinati a implementare la scheda appositamente elaborata e denominata PIC – Patrimonio Immateriale – Cerimonie, la cui compilazione è stata individuata come modalità di esecuzione del progetto stesso. Il trattamento e l’organizzazione delle informazioni all’interno della scheda consente una descrizione delle cerimonie religiose - formalizzate o meno - distinguendone luoghi e percorsi e il loro rilevamento mediante la georeferenziazione; l’individuazione della provenienza geografica dei partecipanti, della presenza di leaders interni e/o esterni alla comunità di appartenenza, come pure la presenza di autorità ecclesiastiche e/o civili; la descrizione del rituale (con riconoscimento delle componenti – oggetti, persone, animali, cibo o altro ancora - tradizionalmente associate ad esso). Tra gli aspetti ritenuti importanti per il rilevamento vi sono le caratteristiche immateriali/espressive/rituali legate alla cerimonia; le eventuali forme di mutamento, ibridazione e/o reinvenzione; la trasmissione e i vissuti quotidiani rappresentati da narrazioni, pratiche e oggetti d’affezione. A corredo della scheda PIC figura la documentazione prodotta sotto forma di bibliografia, documentazione d’archivio, fotografica e filmografica, audiovisiva e orale.

La realizzazione del progetto è affidata a un gruppo di lavoro composto da antropologi, con la supervisione scientifica dei docenti Alessandra Broccolini, membro del direttivo di Simbdea (Società Italiana per la Museografia e i Beni Demoetnoantropologici) e Pino Schirripa, Direttore della Scuola di Specializzazione in beni demoetnoantropologici della Sapienza Università di Roma, e il coordinamento dei funzionari delle strutture Mibact (Alessandra Acconci della SS Abap, Valeria Trupiano e Alessia Villanucci del Servizio VI della DG Abap, Fabio Fichera dell’ICPI, i fotografi Roberto Galasso e Massimo Cutrupi impegnati nella campagna fotografica a supporto della ricerca). 

 

Dott.ssa Alessandra Acconci, funzionario responsabile dell'area funzionale "patrimonio demoetnoantropologico e immateriale" della Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma

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#LACULTURANONSIFERMA #IOGIOCOACASA. Il Gabinetto delle Stampe - Introduzione


Il Gabinetto delle Stampe dell'Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale conserva una raccolta di circa 14.000 incisioni divise per tematiche di carattere antropologico. Il suo nucleo principale risale agli inizi del Novecento, quando Lamberto Loria ideò una mostra di Etnografia Italiana che si tenne a Roma nel 1911 in occasione dell’Esposizione Internazionale per i cinquant’anni dell’unità d’Italia. Per il grande evento vene allestita anche una sezione di iconografia popolare, grazie alla preziosa collaborazione di Francesco Novati e di Achille Bertarelli, il noto collezionista milanese di stampe. 

I due studiosi raccolsero e ordinarono il materiale grafico secondo una ripartizione tematica per soggetti: la prima sezione dedicata alla Divinità, la seconda al Mondo e le creature, la terza all’Uomo, e la quarta all’Aldilà. Queste quattro sezioni risultano ancora oggi in vigore come criterio di ordinamento e di consultazione del Gabinetto delle Stampe. I soggetti si riferiscono dunque alle tematiche sacre - con episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento, della vita di Cristo, della Madonna e dei santi - e ad altre tematiche laiche con immagini di feste popolari, di costumi regionali, di mestieri e di proverbi.

Già dal XV secolo, l’uso in Europa della stampa xilografica su carta permise una prima diffusione delle incisioni, che col tempo divenne sempre più rapida. Le stampe sciolte, a differenza di un dipinto o di una scultura, erano alla portata economica di tutti, ed erano spesso presenti, e non solo come immagini devozionali, anche nelle abitazioni comuni e nelle botteghe. Con il tempo, vennero adottate tecniche nuove fino all’impiego nell’Ottocento della litografia, che abbatteva ulteriormente i costi, permettendo una più rapida diffusione delle stampe.

Proprio le incisioni di più larga diffusione, con i soggetti della vita quotidiana, costituiscono oggi il patrimonio conservato presso il Gabinetto delle Stampe dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale.

Il settore del gioco, in particolare, è ampiamente illustrato attraverso una vasta raccolta di stampe che spaziano dal gioco dell’oca alle sue mille varianti, dal biribissi alla tombola, dalla dama agli scacchi, fino ai mazzi di carte dalle tipologie più varie.

Mai come oggi i giochi di società e le carte sono così attuali, perché compagni delle nostre giornate trascorse all’interno degli ambienti domestici. Invitiamo dunque a riscoprire la bellezza del gioco a casa, sia per i bambini che per gli adulti, a partire dalla scoperta dei piccoli tesori nascosti del Gabinetto delle Stampe. Vi diamo appuntamento quindi giovedì prossimo con le sagome da ritagliare, dai vestiti delle bambole ai pagliacci, dai soldatini di ogni genere alle figure del presepe.

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#LACULTURANONSIFERMA la rubrica Visioni d'Archivio: alla scoperta delle immagini e dei fotografi che hanno segnato la storia dell'antropologia visuale italiana.

 

 

La collezione di fotografie storiche e di cartoline ha i suoi nuclei principali nelle raccolte del Museo di Etnografia Italiana e nelle immagini che accompagnavano gli oggetti destinati alla Mostra di Etnografia Italiana del 1911. Il fondo storico ha come termine cronologico il limite della fine del 1950, oltre il quale iniziano le collezioni moderne. Nelle immagini fotografiche e nelle cartoline, entrambe acquisite da fondi già esistenti o appositamente realizzate per la mostra del 1911, possono rintracciarsi due orientamenti fondamentali: da un lato un esplicito intento di ricerca; dall'altro, la finalità prettamente museografica di documentare abiti, oggetti, architetture, per una migliore realizzazione espositiva. Le raccolte offrono un significativo ed eterogeneo panorama della fotografia di argomento demologico degli ultimi anni dell'Ottocento e dei primi del Novecento.
Tra le immagini, meritano menzione, in primo luogo, le fotografie provenienti dagli archivi dei Fratelli Alinari e di Giacomo Brogi, di Firenze, e di Romualdo Moscioni, di Roma. Tra gli autori delle fotografie, si trovano diversi titolari di studi fotografici, attivi già dal secolo scorso: nomi noti, altri meno noti e di importanza strettamente locale: Attilio Brisighelli di Udine, Carlo Naya e Francesco Bonaldi di Venezia, Andrea Vidau di Ancona, Claudio Carloni di Jesi, Alvino di Firenze, Camillo Tonker di Roma, Luigi Guida di Napoli, Antonio e Alfredo Trombetta di Campobasso.
Le immagini fotografiche, che ritraggono gruppi familiari, costituiti da donne con bambini, denunciano in modo inequivocabile di essere destinate ai mariti ed ai parenti emigrati oltreoceano. Un altro significativo corpus di immagini è quello realizzato con fini esclusivi di ricerca: sono immagini che denunciano vere ricerche "sul campo", in alcune zone impervie e poco conosciute della penisola, dove si potevano documentare le reali condizioni di vita delle comunità agropastorali. Le acquisizioni successive alla Mostra del 1911 integrano le raccolte originali, come la donazione di fotografie storiche relative all'artigianato italiano e le immagini storiche dei costumi albanesi, provenienti dal Fondo Marubi della Fototeca di Skhodra (Albania).

Festa della Madonna dell'Arco, Giuglian, 1975. Foto: A. RossiL'archivio ha acquisito inoltre, nell'ambito di una ricerca condotta ad Anghiari (Arezzo), più di un centinaio di fotografie che ritraggono eventi festivi, tecniche lavorative, attività ricreative, gruppi scolastici e familiari e locali. Ricordiamo inoltre la donazione Zanier e, per quanto riguarda le raccolte fotografiche, l'acquisizione Pasquale De Antonis. Il fondo storico comprende inoltre una interessante raccolta di cartoline, che presentano immagini ricavate dalle serie fotografiche di noti autori, come i fratelli Alinari, Alphonse Bernoud, Chauffourier, Esposito, Carlo Naya, Giorgio Sommer. Le case editrici delle cartoline stesse sono in alcuni casi molto note, in altri sono piccoli stabilimenti locali: Adinolfi, Alterocca di Terni, Angeletti di Sulmona, Antonelli di Udine, Colitti di Campobasso, Colombo, Plantera, Felicetti di Roma, Forzano, Gaggiano, Jurizza, Mengoli, Mola, Nanetti di Modena, Peyrot, Pini, Richter & Co. di Napoli, Sciutto di Genova, Stengen & Co. di Dresda, Valdes di Cagliari.

Nel settore moderno sono conservati materiali databili dagli anni '50 dello scorso secolo ad oggi, che documentano i temi più significativi della ricerca antropologica in Italia: feste, comportamenti devozionali, pratiche rituali, tecniche di lavoro agricolo e artigianale, vita pastorale e marinara, giochi e spettacoli di piazza, problematiche sociali. Naturalmente l'arco di tempo interessato da questo settore rende tali documenti assai preziosi, nella prospettiva di un percorso iconografico attraverso i mutamenti socio-culturali determinati, nel nostro paese, dall'industrializzazione: modi di vita, quotidiana, lavorativa e festiva, trasformati nel volgere di pochi decenni, ma anche ambienti urbani e paesaggi rurali, che costituiscono lo scenario più ampio dei cambiamenti della modernità. Il nucleo più significativo dell'archivio, databile tra il 1950 e la fine degli anni '70, si deve all'attività di una studiosa dinamica e sensibile come Annabella Rossi, che promosse la costituzione dell'archivio e contribuì ampiamente al suo incremento, ma anche alla situazione oggettiva, nel paese, dell'osservabilità di fenomeni ancora in buona misura connotati da una sorta di autenticità demologica, contrapponibile alla cultura dominante, che sollecitava l'intervento di antropologi animati da una tensione politica e sociale.

Michele Gandin, 1979Annabella Rossi,1979Le tematiche demartiniane ricorrono frequentemente nelle campagne fotografiche dirette o realizzate dall'antropologa, e evidente è l'intento, nella ripresa dei soggetti, di privilegiare gli aspetti di una meridionalità misera e sfruttata, o interprete inconsapevole di una residua ideologia arcaica. Ricordiamo le fotografie di Michele Gandin, realizzate negli anni '50 e '60 nel Lazio e nell'Italia meridionale, relative a contesti urbani, infanzia, vita contadina, feste e spettacoli popolari; le immagini sul tarantismo in Puglia, dal 1954 al 1976, di Chiara Samugheo e Annabella Rossi; la documentazione degli anni '70 sui comportamenti devozionali e gli eventi festivi, attraverso i materiali di Lello Mazzacane (processioni del Venerdi Santo in Calabria; San Gerardo, Madonna dell'Arco, carnevale, festa dei gigli, volo dell'Angelo in Campania; San Rocco e Santa Rosalia in Sicilia; Madonna del Pollino in Lucania; Santissima Trinità nel Lazio) e Marialba Russo (Madonna dell'Arco, festa dei gigli, Madonna di Briano, San Gerardo, Montevergine, San Gennaro, San Vito, Sant'Antonio, processione dell'Assunta, Venerdi Santo, tarantelle, carnevale, Sant'Antonio Abate in Campania; Santi Pietro e Paolo in Puglia); la documentazione sulle feste, realizzata da Annabella Rossi dal 1959 fino alla seconda metà del 1970 (Santi Cosma e Damiano, San Nicola, l'Affruntata, Madonna Lauretana in Calabria; San Gerardo nel Lazio; Madonna del Pollino in Lucania; Madonna dell'Arco, Madonna di Fontigliano, Venerdi Santo, Madonna delle Galline, carnevale, Santa Felicita, Madonna dei Bagni, Sant'Antonio, Madonna della Neve, Madonna della Grotta, Santa Felicita in Campania; San Michele Arcangelo in Puglia; lamento funebre in Lucania).

Numerosi sono anche i materiali relativi all'artigianato popolare e al lavoro tradizionale; un settore dell'Archivio conserva i fondi relativi alle mostre; sono infine documentati gli oggetti conservati in Museo.

Allo stato attuale il fondo fotografico comprende circa 140.000 immagini ed è in continuo incremento, attraverso acquisizioni di fondi e realizzazione di documenti fotografici da parte dei ricercatori del Museo. Ad esempio nell'ambito del progetto di etnografia visiva sul patrimonio immateriale del Molise è stata prodotta una documentazione fotografica di circa 25.000 immagini. Tra le recenti acquisizioni si ricordano inoltre quelle relative al tarantismo (Chiara Samugheo), alle feste (Vittor Ugo Contino, Gianni Zanni, Marco Marcotulli e Sabina Cuneo Puzo), alle tradizioni e ai contesti sociali (Mario Carbone), alle marinerie (Francesco De Melis), al folklore macedone (Museum of Macedonia) e allo sciamanesimo siberiano (Russian Museum of Ethnography); tra le donazioni si segnalano quelle relative alla processione dei "Misteri" di Campobasso (Stefano Vannozzi), alla lavorazione del marmo a Carrara (Adriana e Ilario Bessi), a soggetti d'interesse museale (Maria Blasi), alle feste (progetto Il folklore: un bene culturale vivo). L'archivio dispone di elenchi cronologici con indicazione dell'autore, dell'argomento e della località ed è in corso l'elaborazione di un catalogo informatizzato e il riversamento dei fondi in supporto digitale.

Responsabili: Marisa Iori (archivio storico), Annamaria Giunta (archivio moderno)
Tel. 065910709/065926148

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#LACULTURANONSIFERMA IL GEOPORTALE DELLA CULTURA ALIMENTARE: OGGI UN VIAGGIO NELLA CULTURA DEL PANE

#LACULTURANONSIFERMA: Il Geoportale della Cultura Alimentare è un progetto MiBACT-ICPI: puoi navigare migliaia di schede e contenuti multimediali -da banche dati nazionali, regionali, pubbliche e private, in continuo accrescimento- con accesso diretto e diverse modalità di fruizione (scopri come: https://culturalimentare.beniculturali.it/sources/map_search) . Il Tema? Patrimonio Immateriale Enogastronomico: persone e Comunità, identità territoriale e strumenti del saper fare.

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Oggi vi portiamo a (ri)scoprire uno dei protagonisti di tutte le tavole italiane, il PANE: la ricerca sul Geoportale ci restituisce un racconto complesso e composito del nostro Paese, fatto di biodiversità (tanti i tipi di farine impiegati) e peculiarità legate alle diverse ricette e modalità di preparazione.

Ascolta la storia del pane di Motegemoli, in provincia di Pisa, fatto con farina prodotta da grano toscano https://culturalimentare.beniculturali.it/so…/sergio-martini (segui il link  poi fai click sulla scheda originale) per poi spostarti in Piemonte ad incontrare il racconto del pane cotto nel forno comunitario scaldato con le fascine di potatura della vigna langarola, Paesaggio Vitivinicolo #UNESCO
https://culturalimentare.beniculturali.it/…/il-forno-comuni…

Il pane, ingrediente per eccellenza, in tutta Italia diventa patrimonio immateriale di saperi, storie e tradizioni, come nel caso delle tavole di San Giuseppe https://culturalimentare.beniculturali.it/…/tavole-di-san-g…

E per alcuni metafora stessa della vita: https://culturalimentare.beniculturali.it/…/antonio-biasiuc…

Continua il nostro viaggio alla scoperta del pane, che oltre ad essere alimento per eccellenza, arriva sulle nostre tavole anche come ingrediente di gustose e variegate ricette della tradizione popolare. Piatti poveri che da Nord a Sud raccontano una cucina antica e saperi tramandati di padre in figlio, che ci aiutano a mantenere viva un modo di cucinare consapevole e responsabile, senza sprechi. In puglia troviamo le polpette di pane https://culturalimentare.beniculturali.it/…/preparazione-de… (segui il link > poi fai click sulla scheda originale) e ancora il pancotto alla biscegliese https://culturalimentare.beniculturali.it/…/preparazione-de…
Nel Cilento scopriamo, ascoltando della lavorazione dell’olio, la memoria affettiva del pane duro rivitalizzato nell’acqua di cottura dei ceci, servito con questi e un filo d’olio: un piatto povero ma ricco di suggestione della dieta mediterranea, patrimonio immateriale #UNESCO
https://culturalimentare.beniculturali.it/…/giuseppe-cilento
E ancora il pane ci regala una grande possibilità come ricetta per recuperare scarti di altre lavorazioni (fagioli, mirtilli, fave) per una nuova filosofia del recupero https://culturalimentare.beniculturali.it/…/alda-bosi-e-ric…

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#LACULTURANONSIFERMA. Narrazioni da “Italia dalle molte culture” - Il progetto

 

Con il progetto Italia dalle Molte Culture, il nostro Istituto intende contribuire alla migliore comprensione del tema complesso delle migrazioni contemporanee, valorizzando le espressioni culturali delle “comunità migranti” presenti sul territorio italiano come patrimonio materiale e immateriale comune.

Il progetto è connotato da una forte impronta di ricerca ed è finalizzato alla realizzazione di uno spazio-laboratorio che abbia come focus specifico il tema delle migrazioni e come pratica di azione la collaborazione con migranti. Le attività di ricerca si affiancano a un processo partecipativo che ha come finalità principale quella di coinvolgere migranti e realtà associative nel processo di patrimonializzazione di elementi espressivi propri delle “comunità” coinvolte. 

Questa scelta si muove nella direzione di sviluppare pratiche di rappresentazione culturale e valorizzazione dei patrimoni in una prospettiva pluralista che favorisca l’inclusione culturale nel nome di una nuova cittadinanza, attraverso un percorso che superi la dicotomia tra “vecchi” e “nuovi” cittadini.

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 Roma, Torpignattara - 2019 (Ph. Massimo Cutrupi, © ICPi)

Il punto di partenza della ricerca sono le relazioni tra le persone e lo spazio, pubblico e privato, con un’attenzione particolare ai processi di rilettura e domesticazione dei luoghi da parte di cittadini di recente migrazione, al fine di indagare e fare emergere forme di costruzione della socialità all’interno del tessuto territoriale di alcuni nostri contesti nazionali. 

Il tema scelto ci permette quindi di documentare e interpretare il modo in cui gli attori sociali interagiscono con uno spazio spesso riorganizzato con nuovi significati.

 

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Pontinia (Latina) - 2019 (Ph. Roberto Galasso, © ICPi)

Abbiamo attraversanto e documentato strade, piazze, negozi, luoghi di culto e luoghi di lavoro, e continueremo a farlo, facendoci raccontare come questi diventino spazi densi di significato e punti di riferimento temporanei o permanenti.

Alle persone che stiamo incontrando chiediamo di raccontarci come stanno ridisegnando, nei contesti di migrazione e diaspora, le proprie mappe affettive e relazionali, e in che modo gli spazi dei paesi e città stanno diventando luoghi significativi nella loro vita quotidiana. 

 

  • A partire dal 2019, sono stati avviati alcuni campi di ricerca, tra cui uno dedicato al tema “donne e imprenditoria migrante” nel territorio del quartiere di Torpignattara a Roma, in collaborazione con l’Ecomuseo Casilino “Ad duas lauros”; un altro dedicato al ruolo dei gurdwara (templi) sikh nel territorio della Provincia di Latina, attraverso una rete di relazioni che includono i comuni e le realtà associative della popolazione di religione sikh dei territori interessati.

 

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Roma, Torpignattara - 2019 (Ph. Massimo Cutrupi, © ICPi)

Le narrazioni che vi proporremo nelle prossime settimane cercheranno di raccontare come le comunità di diaspora segnano la loro presenza sul territorio nazionale, a partire da luoghi specifici, traiettorie individuali o celebrazioni collettive.

La storia di imprenditrici provenienti dal Bangladesh e le loro modalità di affermazione personale e culturale in un quartiere di Roma; il ruolo di una rete di luoghi di culto nella costruzione dell’identità e della socialità della comunità sikh dell’Agro Pontino; le modalità di sacralizzazione di una piazza durante un evento temporaneo; i modi e le forme di trasmissione culturale alle giovani generazioni; l’importanza del cibo e di altre espressioni culturali e artistiche per la creazione di un senso di appartenenza.

 

          02 ICD-F RG 02-62     01 ICD-F RG 02-54

 Pontinia (Latina) - 2019 (Ph. Roberto Galasso, © ICPi)

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  • "Italia dalle molte culture" è un progetto dell'Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale - Coordinamento delle ricerche e delle attività: Rosa Anna Di Lella - Fotografie di Massimo Cutrupi e Roberto Galasso
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