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Articoli filtrati per data: Aprile 2014

San Domenico a Pretoro

Rappresentazione del lupo - prima domenica di maggio

Il miracolo di San Domenico

La prima domenica di maggio, a Pretoro (Chieti), si festeggia la sacra rappresentazione de "Lu Lope" ovvero il miracolo di San Domenico e il lupo. La tradizione vuole che dopo aver trascorso alcuni anni da eremita a Prato Cardoso, presso Villalago, San Domenico si mise in viaggio verso Cocullo, diocesi di Valva e Sulmona. Non aveva ancora raggiunto quel paese, quando si imbattè in alcune persone che inseguivano un lupo gridando spaventate. Tra queste, una povera donna piangeva disperatamente e si strappava i capelli. Era accaduto, infatti, che durante un breve pausa del lavoro nei campi, la donna si era allontanata dal figlioletto adagiato per terra, ed un lupo appostato nella vicina selva lo aveva azzannato e portato via. Alle grida angosciate della madre molti uomini cominciarono a rincorrere la bestia, senza tuttavia riuscire a raggiungerla.

San Domenico colpito da tanta sofferenza e commosso dal pianto della donna, alzò gli occhi al cielo rivolgendo una breve preghiera al Signore e, subito dopo si rivolse a voce alta al lupo, intimandogli perentoriamente di recedere dal suo insano proposito. Con stupore di tutti la belva smise di correre, invertì il suo percorso, raggiunse il Santo e depose umilmente il bambino sano e salvo ai suoi piedi. Il piccolo fu subito restituito alla madre mentre il suono delle campane diffondeva la gioiosa notizia del miracolo in tutto il circondario. Una diversa versione del miracolo vede protagonista una coppia di taglialegna che vede il loro figliolo sottratto dal lupo mentre è intenta al loro nel bosco.

La festa

La festa inizia la mattina, con il rito religioso officiato nella chiesa dedicata al Santo. Al termine della cerimonia ha luogo la processione dei serpari, collegata alla credenza popolare che attribuisce a San Domenico la caratteristica di proteggere dal morso dei serpenti e dei cani rabbiosi. I serpenti, catturati dai ragazzi nel mese di aprile sulla montagna, sono portati in processione dietro la statua del santo, al termine della processione, nella piazza, vengono premiati i serpari che hanno catturato i tre esemplari più lunghi Subito dopo il rientro della processione dal sagrato della Chiesa di San Nicola parte, preceduto dalla banda, il corteo dei personaggi che daranno vita alla sacra rappresentazione insieme al "portatore" del quadro con l'effigie del Santo ed ai "serpari".

Fulcro della drammatizzazione è la vicenda del figlio dei taglialegna rapito dal lupo: la tradizione prevede che gli attori che interpretano la sacra rappresentazione siano prevalentemente gli artigiani locali - i cosiddetti fusari - con i loro costumi caratteristici. Il ruolo del bambino rapito è affidato all'ultimo maschio nato nel paese. Quanto al "lu lope" esso è interpretato da un uomo che indossa una pelle di lupo e un copricapo di cartapesta e pelle, che procede carponi imitando le movenze ferine. Nel corteo il marito procede a cavallo mentre la moglie segue a piedi con in capo un cesto di vimini contenente il figlioletto.

Una volta raggiunta la Valle di San Domenico, località posta ai margini del bosco, gli attori si preparano per la rappresentazione. La scena si apre con il boscaiolo che affila la scure mentre la moglie, sulla soglia di una umile capanna, culla il bambino deposto nella cesta, da un lato vi è l'edicola del Santo, mentre l'uomo-lupo si nasconde nel bosco. L'azione che inizia con la ninna nanna della donna al suo bambino, prosegue con la colazione consumata dai boscaioli, dopo aver rivolto il loro ringraziamento alla Divina Provvidenza e ai Santi Protettori. Segue la raccomandazione che il boscaiolo fa alla moglie, prima di recarsi nel bosco a tagliare la legna, affinché presti una grande attenzione ai tanti pericoli che potrebbero minacciare il figlio.

Dopo aver mancato più di una occasione il lupo, approfittandosi della lontananza dei due genitori, intenti a legare le fascine per tornare al più presto a casa, riesce ad afferrare il bambino e a dileguarsi. San Domenico, invocato disperatamente, intercede presso il Signore e ottiene il miracolo: il lupo ammansito, torna sui suoi passi, depone il bambino nella culla e poi lentamente si perde nel bosco.

Testo: P. Izzo. Adattamento a cura della Redazione


 

Foto: Pasquale De Antonis, 1935
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Madonna del Carpine a Rapino

Verginelle - 8 maggio

La festa

A Rapino (Chieti) l'otto maggio si celebra la "festa delle verginelle", in onore della Madonna del Carpine. Secondo la leggenda la Madonna apparve su un albero di carpine a un pastorello intento a pascolare il gregge. Il ragazzo corse in paese per raccontare il miracolo e, tornato sul posto con i paesani, rinvenne la statua della Madonna.

Sul luogo fu costruita una chiesa nella quale è conservata la statua del miracolo. La statua non viene mai portata fuori dalla chiesa: si racconta infatti che quando una volta si tentò di muoverla divenne tanto pesante che fu impossibile spostarla. La ricorrenza dell'otto maggio è collegata inoltre a un intervento miracoloso della Madonna che liberò il paese dalla siccità facendo tornare la pioggia.

Nel corso della festa il momento centrale è rappresentato dalla processione delle verginelle, che sfilano insieme ai paggetti e alle figlie di Maria. Tutti indossano un abito particolare, la "greca", e i diversi gruppi rappresentano differenti classi di età. Le verginelle mostrano sulla tunica gli ori di famiglia, che in tal modo vengono esposti in processione e offerti simbolicamente alla Madonna del Carpine. La particolare e accurata acconciatura delle verginelle viene preparata, dalle nonne e dalle madri, la mattina del giorno della festa. Questa tradizione è tuttora molto viva, ed è forte il sentimento di devozione verso la Madonna, alla quale si attribuiscono miracoli anche recenti.

Testo: F. Floccia. Adattamento a cura della Redazione


 

Foto: P. De Antonis, 1935
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia
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Madonna Nera a Viggiano

Prima domenica di maggio - prima domenica di settembre

Il pellegrinaggio

Il pellegrinaggio alla Madonna Nera del sacro Monte di Viggiano viene effettuato ogni anno in due tempi separati: la prima domenica di maggio una processione solenne porta la statua dalla Chiesa di Viggiano (Potenza) al santuario sul sacro Monte - posto a 12 km dal centro abitato ad una altitudine di 1725 metri - poi, la prima domenica di settembre, con un percorso inverso la statua torna dal sacro Monte alla Chiesa Madre di Viggiano. L'usanza di traslare la statua della Vergine da Viggiano alla montagna soprastante deriva, stando ad una versione delle leggende raccolte, da un fenomeno miracoloso: la statua, al termine dei lavori di costruzione della Cappella sul Monte, sarebbe stata trasportata da una forza invisibile a Viggiano dove fu eretta per questo la Chiesa Madre. Ma la successiva domenica di maggio la Madonna si sollevò e tornò in cima al Monte, a significare la sua volontà di rimanere per una parte dell'anno nel paese e per alcuni mesi sul Sacro Monte. Occorre però sottolineare che leggende molto simili a questa si ritrovano in molti altri culti di Madonne "itineranti".

Secondo numerose fonti la storia della Madonna Nera di Viggiano è strettamente connessa alla presenza bizantina: a partire dal VI secolo, con la dominazione orientale arrivarono anche i primi monaci dall'Asia Minore, i quali potrebbero aver introdotto nell'Italia meridionale sia la forte devozione alla Vergine che le icone raffiguranti la "Madonna col bambino" come quella di Viggiano. Si tramanda che durante un assedio dei Saraceni i fedeli nascosero sul monte sovrastante Viggiano la statua lignea della "Madonna Nera", sottraendola alla mano degli infedeli e, sempre secondo la leggenda, molti secoli dopo - fra il XIV e XV - alcuni pastori notando sul monte delle lingue di fuoco ritrovarono la statua della Madonna. La tradizione popolare indica il luogo del ritrovamento in una buca che si trova esattamente dietro l'altare della Cappella che oggi ospita la statua della Madonna da maggio a settembre. Una volta ritrovata, la statua della Madonna fu portata a Viggiano e collocata in una piccola cappella denominata S. Maria del Deposito - in seguito Chiesa Madre di Viggiano - consacrata nel 1735. Nel 1965 questa fu elevata a Basilica minore pontificia e la Madonna di Viggiano proclamata Patrona e Regina delle genti lucane.
La statua custodita oggi a Viggiano ha sicuramente subito molti interventi nel corso dei secoli e da restauri effettuati risulta che il volto scuro e il busto siano precedenti al resto. La statua, interamente rivestita d'oro zecchino, fuorchè i volti, le mani ed i piedi del Bambino, nella sua composizione attuale richiama fortemente la Nikopoia - tipologia di icona bizantina in cui Maria è rappresentata frontalmente, seduta in trono e con il Bambin Gesù in braccio - e i lineamenti stessi della Madonna ricordano fortemente i volti ritratti nelle icone bizantine. Una particolarità è costituita dal fatto che sia la Madonna sia il Bambino hanno entrambi in mano un globo, la Madre nella mano destra e il figlio nell'altra.

Traslazione di andata, prima domenica di maggio

Nel pomeriggio del sabato la Madonna Nera, accompagnata dalla banda, dagli stendardi e dai fedeli e dalle autorità civili ed ecclesiastiche, viene spostata dalla Chiesa Madre di Viggiano alla Cappella di San Sebastiano dove, fino alle 6 del mattino seguente, sarà vegliata dalle donne del paese che alterneranno recitazione di preghiere e invocazioni al canto.

La mattina della domenica, terminata la veglia alle 6 e dopo la messa sul piazzale, parte il lungo cammino del pellegrinaggio verso il sacro Monte che attraversa Viggiano ed esce dal centro abitato sugli antichi tratturi, salutato da mortaretti e fuochi d'artificio.

Il corteo è aperto da due portatori che sostengono ciascuno una lunga pertica con bandiere bianche con ricami dorati, nastri e fiori, la statua della Madonna è collocata in una antica teca che viene issata con due lunghi travi e che i portatori dicono pesare in tutto 12 quintali. I portatori sono organizzati in diverse squadre di 12 uomini per potersi dare il cambio durante il percorso accidentato e fortemente inclinato. Lungo la "strada della Madonna", così viene chiamato il percorso del pellegrinaggio, sono dislocati 8 "poggi" -basi costruite appositamente per poter poggiare la Madonna e consentire ai portatori di riprendere le forze- che hanno anche l'importante funzione devozionale di momenti di sosta in cui porgere alla Madonna l'omaggio di invocazioni e preghiere accompagnati con il canto e le sonate delle zampogne e delle ciaramelle.

I due portatori con la lunga pertica infiorata, quasi a fungere da araldi, marcano l'arrivo al poggio ponendosi ai lati del passaggio della Madonna mentre viene issata sulla base. Il primo poggio viene effettuato all'uscita del centro abitato di Viggiano, un poggio importante dal punto di vista simbolico e rituale perché segna la separazione dal paese: la Madonna è sistemata sulla base facendo attenzione che rivolga al paese il volto come saluto. I fedeli suonatori di zampogne, ciaramelle, organetti e tamburelli, che si spostano continuamente lungo la processione, offrono ad ogni poggio suonate e la cantate alla Madonna. Ai poggi vengono anche offerti, di volta in volta, piccoli rinfreschi e vino e acqua ed è tradizione che le case agricole in prossimità del poggio offrano caffè o latte appena munto a portatori e pellegrini.

Fra i fedeli di tutte le età che seguono la processione a volte, ma sempre più raramente, si incontra qualcuno che si avvia a piedi scalzi per una richiesta di grazia o di espiazione dei propri peccati. Ancora oggi alcuni pellegrini portano sul capo complesse e pesanti costruzioni di candele, le cinte, anche se questa tradizione sta ormai lentamente scomparendo.

La parte finale del percorso si inoltra in un vecchio tratturo nel bosco, un cammino segnato dal tempo impervio e faticoso, qui per i portatori lo sforzo è enorme, la Madonna avanza con cambi di portatori molto ravvicinati, i fedeli incitano i portatori con acclamazioni alla Madonna ed è uso raccogliere, lungo il percorso del pellegrinaggio, ciottoli da trasportare e poi depositare lungo la via in prossimità del santuario. Quando dalla cima del monte, all'altezza della Piana Bonocore, si vede il corteo con la Madonna inerpicarsi sull'ultimo tratto del tratturo cominciano a scoppiare fuochi d'artificio per accogliere e festeggiare la Madonna e il suo seguito.

Lungo l'ultimo tratto del percorso aumentano gradualmente i suonatori provenienti anche da altre zone circostanti e si sparpagliano in mezzo ai pellegrini sostenendoli ed incitandoli con la loro musica. Si apre così davanti ai pellegrini l'ultima corsa verso la Madonna Nera di Viaggiano. L'arrivo della statua alla piccola chiesetta che attende con le porte aperte segna un momento intensissimo: è tradizione che i soli portatori entrino per primi e sfoghino la loro gioia e fatica davanti alla Madonna a loro affidata e giunta sana e salva nella sua casa, mentre i fedeli assistono e attendono sul sagrato il loro turno per salutare la Madre Divina. Una volta giunti, non rimane che compiere i tre giri rituali intorno alla Chiesetta baciandone i quattro angoli perimetrali esterni e poggiare ancora una volta alla teca della Madonna una immaginetta, un fazzoletto, un fiore da riportare a casa per assicurarsi la sua protezione. Conclude il pellegrinaggio il pranzo nel bosco circostante, ma la Madonna Nera non rimarrà sola nella chiesetta sul sacro monte, perché a partire dalla prima domenica di maggio fino al suo ritorno a Viggiano, i fedeli continuano a ritornare a farle visita e il monte diventa meta di passeggiate e scampagnate.

Traslazione di ritorno - prima domenica di settembre

Con la prima domenica di settembre si completa l'itinerario circolare della Madonna Nera del Sacro Monte. La notte del sabato i fedeli salgono alla chiesetta sul Monte per salutare ancora una volta la Madonna e ripetere i tre giri rituali intorno al Santuario, molti pellegrini vegliano fino ad aspettare l'alba tra canti, suoni e preghiere. La mattina della domenica, all'alba, rincomincia il percorso inverso per tornare alla Chiesa Madre di Viggiano. I portatori di Viggiano portano la Madonna fuori dalla Chiesetta sul monte per poi affidarla, per 100 metri, alla squadra di Caggiano. Si ripercorre così il cammino dell'andata, con una suddivisione attenta dei tratti fra i portatori e le soste ai vari poggi, mentre i fedeli anticipano e circondano la Madonna lungo la strada. La discesa è più difficile della salita: il grande sforzo si concentra sul riuscire a scendere per la ripida via senza che il peso della Madonna sfugga al controllo di chi è sotto. I portatori di cinte aumentano e danzano al suono di zampogne, ciaramelle ed organetti.

Al fiume Alli la Madonna passa ai portatori dei paesi di "perdonanza", è uno scambio serrato che crea eccitazione e, si dice, in passato abbia generato seri momenti di tensione. Ripreso finalmente il cammino sull'asfalto la processione arriva all'entrata di Viggiano, al primo poggio, dove le autorità ecclesiastiche e civili la accolgono in festa, qui viene celebrata una messa al termine della quale riprende la lunga processione verso la Basilica, accompagnata dalla banda e da una moltitudine di fedeli. Viggiano è trasformata, addobbata di archi di luminarie e piena di bancarelle di ogni tipo: oltre 60 mila persone accorrono ogni anno dai paesi di perdonanza e dalle zone limitrofe, arrangiandosi alla meglio, magari dormendo in macchina o in alloggi di fortuna. Giunti alla Chiesa Madre, la Madonna viene lentamente riportata dentro dai portatori che la consegnano alle autorità ecclesiastiche: con infinita cautela la Statua viene estratta dalla teca ricollocata sull'altare maggiore.

Testo: B. Terenzi (tratto da Feste e Riti d'Italia). Adattamento a cura della Redazione

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Depositi etnografici

I depositi museali contengono decine di migliaia di pezzi non visibili al pubblico e sono articolati su due diversi livelli. Il deposito dei manufatti in ceramica e metalli è posto al secondo piano dell'edificio museale; in alcune stanze sono contenuti anche oggetti devozionali (ex voto, oggetti in cera e di confraternite), parrucche, e vari costumi della collezione museale. Tra le raccolte meno studiate merita un cenno quella del famoso tenore Evans Gorga (ceramiche, recipienti in ferro, vetro, porcellana ecc.), pervenuta a questo Istituto con D.M. del 1967.

Al terzo piano è il deposito dei manufatti in legno (mobili, utensili, oggetti per filatura, sponde di carri, statuine, ecc.), in via di riordinamento. È presente anche una sezione di manufatti realizzati con fibre vegetali (cesti, corbule ecc.) e un'altra sezione con oggetti del teatro, souvenirs e bambole. Infine, disposti su apposite cassettiere, molti costumi tradizionali regionali, di cui l'Istituto vanta in Italia la raccolta più rappresentativa. Alcuni oggetti di grandi dimensioni non esposti al pubblico (carri e telai) sono posti al piano terra in una sezione attigua alle sale museali.

Responsabile: Paolo M. Guarrera
Tel. 065910709/065926148 - mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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Inventario e prestiti

Inventario

L'Ufficio Inventario ha come compito primario la registrazione cronologica dell'entrata dei nuovi pezzi in Museo tramite scrittura sui volumi di inventario, che sono registri ufficiali dell'Istituto. È annotata una descrizione sintetica del pezzo con le misure, la località di provenienza, l'epoca, il nome del raccoglitore, del venditore o del donatore, le condizioni di conservazione ecc. Ai pezzi inventariati sono assegnati numeri progressivi. I registri di inventario dell'Istituto (già Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari) sono stati compilati a partire da alcuni anni prima del 1956, data di apertura ufficiale presso il palazzo dell'Eur in Piazza Marconi 8/10. Presso l'Ufficio è possibile consultare anche gli inventari storici compilati - a partire dai primi anni del '900 fino agli anni '40 dello stesso secolo - dai collaboratori del Loria (iniziatore delle raccolte etnografiche) e dai funzionari del Museo di Etnografia Italiana incaricati delle raccolte. L'Ufficio Inventario si occupa anche di istruire le pratiche relative ad acquisti o donazioni di manufatti. Tra le donazioni più importanti effettuate a questo Istituto: il presepe napoletano di Laura Romano-Verduzio, acquisito alla fine degli anni '90, e la biblioteca specializzata sulla ceramica di Otto Mazzucato, corredata di foto, diapositive, frammenti di ceramica e manifesti (pratica in via di perfezionamento). Presso l'Ufficio Inventario è inoltre conservata un'ampia documentazione relativa all'etnobotanica in Italia e nel bacino del Mediterraneo, oggetto di numerosi studi (medicina popolare, alimentazione tradizionale ecc.), alcuni dei quali realizzati su manufatti dell'Istituto (in fibre vegetali, con motivi fitomorfi ecc.).

Prestiti

I prestiti vengono effettuati secondo l'attuale normativa ministeriale. Le richieste di autorizzazione al prestito devono essere prodotte dagli enti proponenti almeno 4-5 mesi prima della data di inizio di una manifestazione, specificando il titolo esatto della mostra, le date di inizio e termine della stessa, le opere che si intende richiedere in prestito, il progetto scientifico e organizzativo (motivazioni per allestire la mostra e garanzie per la protezione dei pezzi da furti e danneggiamenti come vetrine, distanziatori ecc.). L'ufficio fornisce i valori assicurativi delle opere, che devono essere in buono stato di conservazione, e compila le relative schede conservative. Per i prestiti all'estero viene interessato l'Ufficio Esportazione del Ministero e si richiede all'ente richiedente garanzia scritta di restituzione dei pezzi. Al responsabile dell'Ente richiedente viene fatto firmare un promemoria intitolato "condizioni di prestito". La sede di esposizione dev'essere idonea per quanto riguarda le condizioni climatiche (temperatura, umidità, luce) e di sicurezza (guardiania, impianti di allarme, telecamere), attestate da un apposito facility report, con allegata pianta della mostra. L'uscita temporanea dei beni dalla sede museale mediante prestito è subordinata al provvedimento autorizzatorio emesso dal Superiore Ministero.

Responsabile: Paolo M. Guarrera
Tel. 065910709/065926148 - mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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Laboratorio di restauro

Al pari di ogni Museo a carattere etnografico questo Istituto ha raccolte di oggetti contraddistinte da una diversificata presenza di materiali prevalentemente di natura organica (legno, vegetali, paglia, farinacei) nonché fibre naturali (tessuti) e sostanze fibrose (carta) che esigono una costante attenzione vista la facilità del loro degradarsi per cause esogene (possibilità di non idoneità ambientali, traumi da spostamento) e di invecchiamento naturale. Cospicua inoltre la presenza di manufatti in pietra e in metallo (ferro, rame, leghe varie specie per quanto concerne gioielli, monili ed ornamenti) per i quali il fenomeno dell'ossidazione dovrebbe essere costantemente tenuto sotto controllo. Per il materiale lapideo è invece l'ingombro e soprattutto il peso a rendere difficoltosa l'attività di pulitura e gestione.
Si tratta comunque di oggetti che sebbene oggi affidati a un Museo hanno, a suo tempo, in buona parte, assolto a funzioni d'uso (abbigliamento, utensili, dolci, vasellame, strumenti di lavoro, immagini devozionali, mezzi di trasporto) sicché possono presentare segni di deperimento che fanno parte della stessa storia e che dobbiamo così distinguere dalle alterazioni chimico-fisiche naturali, invece evitabili o comunque controllabili. Il volume di interventi che ogni anno il settore restauro appronta è notevole: si sta nell'ordine del centinaio di documenti etnografici interessati, nell'arco dei dodici mesi, ad una azione conservativa, in taluni casi minimale (rimozione delle polveri, disinfestazione, consolidamento della struttura), in altri più ampia nel senso che, pur adottando per ciascun oggetto le dovute modalità di intervento, si giunge anche al recupero della componente estetica dell'oggetto. I progetti esecutivi messi in atto rispettano le norme e i principi dell'azione di restauro applicati nei musei nelle soprintendenze nazionali con particolare attenzione, nel nostro caso, al dato antropologico che gli oggetti qui raccolti presentano: quel fattore umano che caratterizza l'opera di "cultura materiale" e che, diversamente da quella di interesse storico-artistico, risponde ad esigenze primarie e contingenti, a procedimenti domestici e tradizionali.

Restauro delle ceramiche

 È necessario pertanto che più figure professionali (l'antropologo, lo storico dell'arte, il biologo) indichino al restauratore i caratteri morfologici ed artistici dell'oggetto etnografico dando così modo all'intervento di conservare la materia salvaguardandone al contempo la natura di testimonianza storica e culturale. Al Laboratorio spetta dunque di recepire il significato dell'opera e di attuare l'intervento adatto alla circostanza onde recuperare all'oggetto uno stato durevole di conservazione e il suo grado di espressività. Le stesse vicissitudini storiche del patrimonio etnografico di questo Museo (che per circa mezzo secolo ha trasmigrato attraverso più sedi) hanno influito sulle condizioni effettive dei materiali tant'è che ad anni oggi lontani risalgono le attenzioni alla cura degli oggetti, già allora distinti per categorie specifiche: è del 1950 ad esempio un incarico formalizzato a una addetta al Laboratorio per il "rammendo e manutenzione costumi", mentre al gennaio 1956 risale un organigramma in cui a personale specializzato si assegnano compiti di restauro per quanto concerne i dipinti; le ceramiche, legno e ferro; i costumi.

Dal passaggio dell'uso dei due termini, "rammendo" e "restauro", si ha la misura del cambiamento di comportamento avvenuto agli inizi degli anni cinquanta nella prassi conservativa adottata in questo Istituto: dall'indicazione di un termine specifico e riferito già a una soluzione (l'atto del rammendare), si passa all'indicazione di un procedimento tecnico che lascia spazio a un progetto di intervento e di integrazione (restaurare secondo varie modalità): ha inizio cioè il metodo di una valutazione storicizzata della soluzione cui si deve tener conto anche, nel caso specifico, di un taglio o della consunzione di una stoffa. L'azione tecnica del nostro Laboratorio punta quindi a interventi minimi ma determinati, capaci di risolvere i guasti materiali di un oggetto etnografico lasciando spazio all'inventiva risolutiva dell'operatore che otterrà maggior risultato quanto più lascerà inalterata, nell'oggetto, la capacità di manifestare la propria natura di documento.

Responsabile: Anna Sicurezza
Tel. 065910709/065926148 - mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. 

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Archivio sonoro

Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale

L'archivio sonoro conserva una collezione, composta da circa 2.700 supporti tra nastri (originali e copie) e dischi, di documenti relativi al patrimonio di cultura orale ed etnomusicale. La storia dell'archivio inizia intorno al 1960, quando Annabella Rossi promuove i primi rilevamenti nell'Italia meridionale. La raccolta della Rossi attesta quasi un ventennio della sua attività di ricerca, costituise un rilevante patrimonio documentario sugli aspetti festivi, rituali, magico-religiosi e sociali della cultura popolare meridionale. L'archivio conserva anche registrazioni risultanti dalla collaborazione della Rossi con Roberto De Simone e con Gianfranco Mingozzi. Successivamente incrementato, il patrimonio sonoro documenta il folklore italiano, con particolare riferimento alla ritualità festiva, alla sfera cultuale e magico-religiosa ( culto dei morti, lamento funebre, tarantismo, fenomeni di possessione), alle condizioni di vita e di lavoro agro-pastorali e marinare, alle tecniche artigianali, alla narrativa di tradizione orale, alle storie di vita, all'etnomusicologia, al teatro popolare.

I rilevamenti sono stati effettuati prevalentemente in Campania, Lazio, Basilicata, Calabria, Toscana, Abruzzo, Molise, Puglia, Sicilia. Una parte di documentazione riguarda anche Sardegna, Marche, Emilia Romagna e, in minor misura, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto e Umbria. Alla seconda metà del 1970 risalgono i materiali sonori rilevati a Venafro (Molise), Montescaglioso (Basilicata) e Castiglion Fiorentino (Toscana) nel corso di ricerche promosse dall'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione d'intesa con il museo. Nell'equipe di lavoro ricordiamo Aurora Milillo, di cui l'archivio conserva diverse raccolte sulla narrativa di tradizione orale. La documentazione pertinente alla sfera etnomusicologica risulta costituita da brani vocali e strumentali e comprende materiali di notevole interesse, quali la raccolta di Giorgio Nataletti e quella di Annibale Ruccello sulle cantate dei pastori in Campania.

È comunque importante sottolineare la specificità del patrimonio sonoro del museo, data essenzialmente dalla presenza di documenti relativi non solo alla musica e alla narrativa orale, ma ai diversi aspetti della cultura popolare. Si segnalano ad esempio, tra i materiali più recenti, le raccolte sulle pratiche di etnobotanica nel teramano e di medicina popolare nel viterbese, e le registrazioni relative alla cultura marinara.

Fondo Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari
Uno straordinario patrimonio sonoro, fotografico e audiovisivo
on line: Basilicata e Puglia

Responsabile: Marisa Iori
Tel. 065910709/065926148 - mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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Alle origini del Museo

Nel 1906 l'etnologo Lamberto Loria, grazie ai finanziamenti del mecenate fiorentino Giovannangelo Bastogi, fondò a Firenze il Museo di Etnografia, in Borgo San Jacopo 19. Loria si avvalse della collaborazione di eminenti studiosi: Aldobrandino Mochi, che diverrà condirettore del Museo, Alessandro D'Ancona, Francesco Baldasseroni, Angelo De Gubernatis, Paolo Mantegazza - ideatore nella stessa città del Museo Psicologico (1891) - Giuseppe Pitré - responsabile del Museo Etnografico di Palermo.

La necessità di raccogliere e tutelare i documenti etnografici italiani in un'apposita sede era già stata avvertita da Luigi Pigorini, direttore del Regio Museo Preistorico-Etnografico situato nella sede del Collegio Romano. In una relazione inviata nel 1881 al Ministero della Pubblica Istruzione, Pigorini richiedeva spazi per allestire una nuova sezione del Museo che avrebbe dovuto "comprendere ciò che hanno tuttora di speciale le nostre popolazioni campagnole nelle industrie, negli utensili ed ornamenti, nelle fogge degli abiti", ma la sua richiesta non venne accolta.

lauriaIl Museo di Etnografia fondato da Loria espose inizialmente circa duemila oggetti di cultura popolare, il nucleo originale della collezione, raccolti agli inizi del 1900 da Mochi e dallo stesso Loria e destinati presto ad aumentare, come dimostrano i cinquemila oggetti presenti nel 1908 che costringeranno Loria al trasferimento del Museo nella sede fiorentina di Via Colletta 2.

La collezione era di estremo interesse tanto che Ferdinando Martini, allora Ministro della Pubblica Istruzione e vice presidente del Comitato per l'Esposizione Internazionale, che si sarebbe tenuta nel 1911 per celebrare il cinquantenario dell'unità d'Italia, aveva proposto a Loria, già nel 1906, di trasformare il Museo in Mostra Etnografica in occasione delle celebrazioni garantendogli, alla chiusura dell'esposizione, la realizzazione del Museo Nazionale di Etnografia Italiana posto sotto la tutela dello Stato. Tale esposizione sarebbe stata, quindi, la premessa per la sistemazione definitiva della importante collezione etnografica a Firenze.
Il museo fiorentino raccoglieva categorie di oggetti e documenti riferiti agli usi popolari italiani, caratteristici delle diverse regioni ed era solo parte di un più vasto programma culturale e cognitivo, che prevedeva un'indagine rigorosa sulla diversità delle usanze e dei costumi, delle espressioni di pratiche tradizionali, dei vari aspetti della ritualità magica e religiosa localizzabili nel tempo e nello spazio.

L'elenco degli oggetti e dei documenti, ordinati per categorie, che appare nell'opuscolo pubblicato nel 1906 destinato a far conoscere l'utilità e il programma del nuovo Museo, è illuminante per la quantità di preziose informazioni che offre, permettendo la ricostruzione dei riferimenti entro cui operava Loria. Si pensi alla cosiddetta scuola fiorentina, nata intorno alla prima cattedra di Antropologia affidata nel 1869 a Paolo Mantegazza.

Mantegazza aveva individuato nella dimensione culturale il motore dell'agire umano e l'uso del concetto antropologico di "cultura" che comprendeva i documenti etnografici, "demopsicologici" o folklorici siano essi raccolte di novelle, leggende, proverbi, dizionari, grammatiche, testi ecclesiastici, incisioni di musica e canti, fotografie o altre immagini di scene e di costumi, modelli di case, barche, veicoli, strumenti agricoli e industriali, ceramiche, utensili domestici, prodotti artistici. Idee che coincidono con quanto espresso nel 1871 dall'antropologo britannico Edward Burnett Tylor che, indicando l'antropologia come lo studio "della cultura o civiltà", aveva definito la cultura un complesso di "conoscenze, credenze, arte, morale, diritti, usanze, e tutte le altre capacità o abitudini acquisite dall'uomo in quanto membro della società".

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Laboratorio audiovisivo

Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

Il Laboratorio Audiovisivo opera nell'ambito delle lavorazioni delle immagini (foto e video) e dei suoni (analogici e digitali), applicando le tecnologie della multimedialità: riprese video, editing digitale, elaborazioni fotografiche, illuminotecnica. Realizza alcuni progetti grafici inerenti alle iniziative dell'Istituto e del Museo e assicura la funzionalità della rete informatica interna e di tutte le postazioni ad essa collegate.

Svolge il lavoro di propria competenza in occasione di mostre, concerti, rappresentazioni teatrali e performaces artistiche ospitate negli spazi dell'Istituto. Al Laboratorio è annessa la Sala delle Conferenze, dotata di attrezzature atte allo svolgimento di seminari, convegni e rassegne videocinematografiche. Il Laboratorio garantisce inoltre al pubblico un servizio di visionamento, previa prenotazione, degli oltre 2000 titoli che fanno parte del patrimonio videocinematografico dell'Archivio di Antropologia Visiva dell'Istituto.

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Aerofoni

Tra gli aerofoni, ben rappresentato è il flauto, nelle sue varie sottofamiglie (a fessura, traverso, policamo, globulare). Costruito in canna e legno, è uno degli strumenti musicali più antichi, simbolo fallico e quindi associato nel mondo classico e presso molte culture indigene a rituali di fertilità. La classe degli aerofoni è documentata inoltre da una discreta varietà di strumenti ad ancia (clarinetti, launeddas, ciaramelle, zampogne) e da corni e trombe.

Di particolare interesse le launeddas, strumento ad ancia semplice, esclusivo della Sardegna dove ne è attestata l'esistenza già nel primo millennio a. C., composte da due canne melodiche e da un bordone con suono fisso, vengono suonate con una particolare tecnica di respirazione che consente di alimentare le ancie senza interruzione per ottenere il suono continuo. I suonatori (ormai pochi ancora attivi) sono in grado di costruire da soli questo strumento, il cui repertorio comprende musica da ballo, suonate processionali e accompagnamento al canto.

Le zampogne rappresentate sono tutte di provenienza centro-meridionale: si tratta di uno strumento ad ancia, polifonico, a suono continuo. Per i vari tipi variano le canne, le ancie (che possono essere semplici o doppie), ovviamente il repertorio suonato accompagnano balli tradizionali come la tarantella o il saltarello, novene e pastorali natalizie, suonate per la sposa, ecc.

Testo tratto da: Roberta Tucci, La collezione degli strumenti musicali del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, Catalogo, in P. E. Simeoni, R. Tucci (a cura di), Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. La collezione degli strumenti musicali, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1991, pp. 49-378. Adattamento a cura della Redazione

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