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Articoli filtrati per data: Aprile 2014

Madonna della Lettera a Palmi

ultima domenica di agosto

La Varia di Palmi è una complessa macchina processionale che celebra l'ascensione della Vergine Maria. Il carro votivo, una immensa nuvola con astri rotanti che rappresentano l'universo, ha un'altezza di sedici metri e viene trascinata e sospinta da duecento 'mbuttaturi. Su di esso trovano posto figuranti che rappresentano il Padreterno, gli Apostoli e gli Angeli: li sovrasta l'Animella, una bambina collocata arditamente sulla estrema sommità della Varia, scelta per rappresentare la Madonna Assunta in Cielo.


Foto: M. Marcotulli, 2000-2005
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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San Gerardo a Potenza

29-30 maggio

Il santo, patrono della città, viene venerato principalmente il 30 maggio, giorno della trslazione delle sue reliquie. E' ricordato per un miracolo in particolare: la liberazione della città dai Turchi, ad opera di una schiera di angeli chiamati da San Gerardo.

Foto: E. De Simoni e G. Torre (29 maggio 2010)
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Madonna del Pollino a San Severino Lucano

prima domenica di giugno - venerdi sabato e domenica della prima settimana di luglio - seconda domenica di settembre

La salita

La prima domenica di giugno, all'alba dopo la messa, dal paese di San Severino Lucano (Potenza), si avvia la processione che porterà la statua della Madonna al Santuario sul monte, dove arriverà al tramonto dopo aver percorso ben 18 chilometri. Oltre agli abitanti di San Severino Lucano vi partecipano i fedeli provenienti da tutta la valle del Frido e da molti paesi limitrofi. Lungo il tragitto vengono effettuate alcune pause di ristoro e di preghiera su piccole strutture di mattoni a bordo strada, dette pisuoli, oltre ad una lunga sosta presso la frazione di Mezzana, dove viene celebrata la messa nella chiesa di Maria SS. dell'Abbondanza. Come avviene anche in altre processioni in occasione delle "poggiate" della statua si manifesta il rito dell'offerta ai pellegrini, da parte degli abitanti delle zone in cui sitrovano i pisuoli, di vino, caffè, latte, biscotti e frittelle.

Il trasporto della statua, affidato ad una confraternita laica che mantiene e tramanda questo rito, segue un preciso codice non scritto: la posizione del portatore rispetto alla statua, la durata del suo sforzo, il tratto da esso percorso, sono regolate da norme ben precise che, tuttavia, vanno perdendosi nel corso del tempo. Alla processione partecipano - sempre meno, col trascorrere degli anni - donne che, lungo il percorso accidentato del pellegrinaggio, portano in bilico sul capo le "cinte", pesanti e complesse composizioni di fasci di cereali e candele che costituiscono una forma di ex-voto peculiare della devozione in Basilicata.

Le portatrici sono spesso incitate a ballare dai suonatori che accompagnano la processione. La danza è un modo per esprimere devozione alla Vergine: la tarantella, che comunemente si associa ad occasioni ludiche, qui assume la forma di "danza processionale" e "devozionale". I cantatori e i suonatori di zampogna, organetto e tamburello sono tra protagonisti di questa giornata e di tutto il culto alla Madonna del Pollino. Lungo il percorso, i canti, la musica e la danza sostengono, incitano e danno energia ai pellegrini, ma soprattutto costruiscono un "ambiente sonoro" e coreutico che, a dire di molti, ha la stessa valenza della preghiera e che contribuisce ad avvicinare il divino.

La festa

Venerdì, sabato e domenica della prima settimana di luglio ha luogo la più festosa, affollata, sentita festa devozionale alla Madonna del Pollino ora custodita nel Santuario diocesano sul monte. Le provenienze sono dalla Basilicata e dalla Calabria e, anche se oggi è possibile raggiungere il Santuario in automobile, molti preferiscono ancora raggiungere il luogo sacro a piedi lungo antichi tratturi montani. L'area sacra è priva di strutture di accoglienza, pertanto, i pellegrini che decidono di festeggiare la Madonna per tre giorni devono costruirsi un ricovero per la notte e portarsi tutto il necessario per il sostentamento: i pellegrini innalzano sotto i faggi e gli abeti tende da campeggio o o allestiscono ripari di fortuna che. Dopo il saluto alla Madonna custodita nel Santuario, è il tempo degli incontri, dei saluti, del raccontarsi, dello scambio di prodotti tipici, vino e di strumenti musicali popolari. I fedeli provenienti da tutto il circondario, molto spesso, si incontrano solo in occasione di questa ricorrenza, che assume, quindi, anche il colore della festa popolare.

A partire dal tardo pomeriggio del venerdì tutta l'area comincia ad animarsi di tantissimi microeventi che coinvolgono questa comunità temporanea di fedeli e che hanno costituito un fertile campo di osservazione per generazioni di antropologi, etnomusicologi ed etnocoreologi di tutta Europa. Comincia a diffondersi il suono delle zampogne, delle surduline (una particolare zampogna diffusa soprattutto nell'area del Pollino e dell'alto Jonio, di piccole dimensioni e dalle caratteristiche tali da indurre gli organologi a pensare che sia uno degli strumenti di questo tipo più antichi sopravvissuti in Italia), degli organetti e dei tamburelli. I suonatori vanno al Santuario, eseguono suonate e danze devozionali al cospetto della Madonna, per poi ritornare al luogo dell' accampamneto. Qui è usanza portare i "suoni" ai membri più anziani della comunità, che partecipano attivamente, suonando, cantando o ballando e che, per tradizione, ricambiano la visita dei suonatori e dei danzatori con insaccati, carne arrostita e abbondanti libagioni. L'offrire cibo e vino, in questo contesto, assume una precisa simbologia legata sia all'ospitalità, sia a elementi religiosi, propiziatori ed augurali.

La danza è un altro degli aspetti che caratterizzano la festa di luglio: tarantella e pastorale calabro-lucana sono ancora molto vitali; le danze ludiche si alternano a quelle devozionali e, anche se questa pratica non è incoraggiata dalla Chiesa locale, è uso danzare nel Santuario o sul sagrato, soprattutto a notte inoltrata, davanti alla statua della Madonna. Quando è sera la montagna si illumina dei fuochi, sui quali, per tradizione, i pellegrini cuociono carne. Fino a qualche decennio fa centinaia di animali venivano macellati sul posto, un atto antico e simbolico che richiamava antichi riti sacrificali. Intanto, all'interno del Santuario, i devoti continuano a portare il loro omaggio alla Vergine. Alcuni, soprattutto i più anziani, rimangono in chiesa per tutta la notte rivolgendo alla Madonna preghiere, litanie e canti popolari. La mattina del sabato l'area circostante l'edificio di culto si affolla gradualmente di fedeli in trepidante attesa. Alle ore 11,00 tra manifestazioni di fede, suppliche, invocazioni e scoppi di mortaretti "esce la processione" dal santuario che dal mese di giugno custodisce la Statua: sul crinale tra le valli di Frido e di Sinni l'effige di Maria benedice il "popolo lucano" e poi, dall'altro versante, il "popolo di Calabria".

La processione si snoda lungo i percorsi della montagna preceduta dal clero e dalle donne con le cinte e seguita dalla banda, e dai suonatori del Pollino, ad ogni poggiata i fuochi pirotecnici salutano la Madre di Dio, mentre i fedeli, soprattutto le donne, si rivolgono alla Madonna come donna e come madre. Questo è il momento nel quale si manifestano apertamente le motivazioni personali che hanno spinto il fedele al pellegrinaggio: c'è chi rivolge richieste, chi ringrazia per la grazia ricevuta, altri espiano una colpa e come in tutte le manifestazioni delle religiosità popolare, tali atti sono pubblici ed esibiti anche attraverso modalità espressive non sempre coerenti con l'ortodossia cattolica.

Contrariamente a quanto comunemente si crede, a questo rito partecipano persone di tutti i ceti sociali, negli ultimi anni si è anche assistito ad un progressivo riavvicinamento dei più giovani, forse per merito di Giovanni Paolo II, che ha saputo rivitalizzare il culto mariano anche nell'ambito della pietà popolare.

Fino al 1999 la statua della Madonna, all'uscita della chiesa, veniva collocata su un poggio per dare modo ai fedeli di procedere al rito dell'incanto: una vera e propria asta con la quale si concedeva alla comunità che offriva la somma di denaro più elevata il privilegio di trasportare a spalla la statua della Madonna lungo il percorso processionale. A questo rito partecipavano solo gli uomini delegati dalle comunità di provenienza a fare delle offerte.

Intorno alle 13.00 la processione ha termine con il rientro della statua nel Santuario ove, per l'intera estate, potrà essere venerata dai fedeli, ma la festa non volge affatto al termine. Adesso i devoti ritornano ai loro ripari per il pranzo, le musiche e le danze. Per tutto il pomeriggio e la notte del sabato la convivialità e l'allegria dominano la comunità temporanea dei fedeli. È anche il momento in cui si rinsaldano i legami tra devoti provenienti da paesi diversi, si concludono affari, nascono amicizie ed anche amori.

La domenica, dopo aver reso il saluto alla Madonna e aver raccolto piccoli oggetti dal significato sacro e taumaturgico - come piccole scaglie della pietra della grotta del miracolo o erbe medicinali raccolte nell'area del Santuario - comincia il rientro dei pellegrini ai paesi di provenienza.

La discesa

La seconda domenica di settembre la statua della Madonna ritorna alla sua dimora invernale. Il rito del rientro prende avvio il sabato. I devoti salgono al monte, come per la salita, anche in questa occasione i membri della Confraternita di San Severino Lucano regolano, in modo discreto, il rito. La notte è vissuta in modo molto più intimo e silenzioso di quelle che caratterizzano i giorni della festa di luglio.

All'alba i membri della Confraternita ripongono la statua della Vergine sul baldacchino che servirà per il trasporto a valle, dopo la messa prende avvio la processione alla quale, ancora una volta, prendono parte i suonatori di zampogne e di organetto del Pollino.

L'arrivo ai primi centri abitati vede il rinnovarsi del rito dell'offerta: ciambelle dolci, vino, caffè, vengono offerti ai pellegrini, alle porte della frazione di Mezzana la statua viene posata e una lunga fila di devoti viene ad invocarla ed a renderle omaggio. A mezzogiorno la processione riprende alla volta della chiesa di Mezzana, dove sarà celebrata la messa. Ancora un tratto di strada e poi la statua arriva a San Severino Lucano. Qui, prima di entrare in chiesa, i membri della Confraternita la issano per tre volte prima di accompagnarla nella sua dimora invernale dove gli abitanti vengono a renderle omaggio. Adesso la Madonna del Pollino attenderà l'arrivo della primavera e con essa il rinnovarsi della devozione popolare.

Il Pollino

Il luogo sacro si colloca nella parte settentrionale del Massiccio del Pollino, ad un'altezza di 1537 metri s.l.m, all'interno dell'omonimo Parco nazionale. I primi insediamenti umani risalgono a dodicimila anni fa, da allora questa zona ha visto alternarsi greci, lucani, romani e longobardi. I monaci orientali giunti in quest'area intorno al X secolo disseminarono il territorio di eremi e cenobi. Nella prima metà del XI secolo vi si insediarono i Normanni, che pur favorendo il monachesimo occidentale si mostrarono tolleranti verso il rito orientale. Con i Normanni continua la creazione di piccoli e grandi centri monastici. All'arrivo, intorno al 1500 dei profughi "greco-albanesi" fuggiti dalle loro terre sotto la pressione ottomana, corrisponde il popolamento di alcuni centri nelle vicinanze del Santuario, dai quali provengono ancora oggi molti devoti alla Madonna del Pollino. Alla dominazione aragonese seguirono il Viceregno Austriaco e poi il dominio dei Borbone ed è proprio durante il regno di Ferdinando IV che l'intera area venne afflitta prima da una grave carestia (1714) e poi da un disastroso terremoto (1783). Secondo alcuni è proprio durante questo periodo di incertezze e di paura che nasce il culto e si erige il Santuario della Madonna del Pollino.

La storia

L'origine del culto alla Madonna del Pollino, la storia del ritrovamento della statua della Vergine e dell'edificazione del Santuario sono ancora oggetto di ricerca da parte degli studiosi e le versioni "popolari" sono numerose e diverse tra loro. Secondo alcune fonti il ritrovamento della statua lignea della SS. Vergine con Bambino - che originariamente pare fosse di fattura orientale o bizantina - risalirebbe agli inizi del '700. Attualmente la statua lignea della Madonna del Pollino, realizzata da autore ignoto probabilmente nel XIX sec., richiama alla simbologia della "Regina del cielo": la Vergine coronata si presenta in piedi, veste una tunica rosa antico e un manto giallo-oro; con la mano destra porge una rosa purpurea e con l'altra regge il S. Bambino coronato, rivestito con una tunica celeste a fiori, che mostra, con la mano destra, un globo crocifero. In passato la statua indossava un vestito ed un ampio mantello, rimosso da un contestato restauro, sul quale i fedeli appuntavano le loro offerte votive in denaro e gioielli. Due angeli completano il gruppo ligneo.

Tra le molte versioni sull'origine del culto tramandate oralmente dai devoti è costante l'apparizione della Madonna del Pollino ai pastori prima del ritrovamento della statua custodita in una grotta nelle immediate vicinanze dell'attuale Santuario. Secondo la ricostruzione fatta da due parroci di San Severino Lucano - Don Prospero Cirigliano, in uno scritto del 1929, e Don Camillo Perrone in un lavoro di ricerca pubblicato nel 1966 - pochi giorni dopo l'apparizione della Vergine ad un pastore, avvenuta nello stesso luogo ove si celava la scultura, avvenne che due donne, memori della presenza miracolosa della Vergine, andarono sul monte per ottenere la guarigione miracolosa del marito di una di loro. Assetate, mentre cercavano acqua in una grotta trovarono la cassa di legno in cui era racchiusa la statua della Madonna: al loro rientro trovarono l'uomo guarito che, in segno di riconoscenza, edificò la chiesa. In altre versioni si narra che la Madonna, sotto le sembianze di una "Bella Signora", si sarebbe rivelata ad una pastorella e avrebbe espresso, in una lettera da consegnare al clero, il desiderio che le venisse consacrato in quel luogo un edificio di culto.

Secondo la storia tramandata a Terranova del Pollino, l'origine del culto è ancora diverso. Tutti i pastori del monte usavano radunarsi nei pressi della grotta sul Pollino per concordare la suddivisione dei pascoli. Dopo circa un mese si incontravano nuovamente e agli inizi di settembre un nuovo incontro sanciva la fine dell'alpeggio. Ognuno di questi incontri diventava occasione di festa; si faceva musica con gli strumenti musicali tipici dei pastori, le zampogne, si facevano grandi mangiate di carne di animali macellati sul posto, ecc... Nel corso di uno di questi incontri l'attenzione dei pastori fu attirata da un bagliore proveniente dalla grotta, al cui interno trovarono una giovane donna avvolta da una intensa luce. Da allora i pastori, e tutti gli abitanti del Pollino, cominciarono a venerare quel luogo. All'intercessione della Vergine del Pollino sono attribuiti miracoli, inerenti soprattutto guarigioni fisiche e scampati pericoli. A testimoniarlo sono ancora oggi visibili decine e decine di ex-voto, iscrizioni, candele, abiti nuziali, capelli, ricami raffiguranti oggetti sacri custoditi presso il Santuario.

Testo: F. Floccia e B. Terenzi (tratto da Feste e Riti d'Italia). Adattamento a cura della Redazione


Foto: A. Rossi, 1968
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


 

Foto: A. Rossi, 1973
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologiaerino

 

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Santissimo Crocefisso a Brienza

prima domenica di maggio - terza domenica di settembre

La festa del SS. Crocifisso

I festeggiamenti al SS. Crocifisso a Brienza (Potenza) - la festa più sentita dalla popolazione locale e dei dintorni - seguono il doppio rituale che in altre areee della Basilicata caratterizza il culto mariano: rito di andata a maggio - ascendente - dalla Chiesa madre di Brienza al al Santuario in cima alla montagna, e rito discendente di ritorno a settembre, quando dal monte si torna in città. La tradizione rimanda agli inizi del sec. XIII l'istituzione della cappella in cima alla montagna a seguito di un miracolo avvenuto nei paraggi. Nel 1814 la chiesa divenne santuario e l'anno successivo il papa Pio VII concesse al luogo indulgenze plenarie e parziali. Originariamente veniva venerata una scultura lignea policroma del Cristo in croce, risalente al XVI sec., che nel 1960 fu sostituita con l'attuale Crocifisso opera di G.V. Mussner di Ortisei. La scultura lignea originaria è oggi conservata sull'altare maggiore della Chiesa di San Zaccaria a Brienza. La statua è di rara bellezza ed i tratti intensi del Cristo hanno da sempre colpito profondamente i fedeli. Narra la tradizione che il Crocifisso, una volta terminato di essere scolpito, avesse preso vita all'improvviso e cominciato a parlare domandando all'artista come avesse fatto a raffigurarlo in maniera così perfetta.

Maggio: la salita

La prima domenica di maggio, originariamente il giorno 3, ricorrenza liturgica dell'Invenzione della Croce, avviene il "trasporto" del Crocifisso. Dalla Chiesa di S. Maria Assunta, chiesa matrice di Brienza, fino al Santuario al monte, lungo un percorso di circa 3 km., si snoda una processione solenne: in questa occasione, la Madonna Addolorata accompagna il figlio Gesù in processione fino al largo San Nicola allo Spineto dove, dopo una funzione religiosa, le due immagini si separano. La Madonna dell'Addolorata rientra nella chiesa matrice mentre Gesù crocifisso viene portato a spalla fino al Santuario per un cammino ripido e faticoso segnato dalle colonnette della Via Crucis. Giunti al Santuario, il Crocifisso resterà lì esposto alla pietà e alla devozione dei fedeli fino alla terza domenica di settembre. La festa di maggio sembra essere riservata piuttosto ai devoti abitanti di Brienza che, dopo la deposizione della statua nel Santuario, si diffondono nella campagna circostante per la consumazione di pasti tradizionali, tra cui biscotti inzuppati nel 'vincotto', soppressate, salsicce, formaggio e vino al suono delle tarantelle eseguite con gli organetti.

Settembre: la discesa

Le celebrazioni della terza domenica di settembre, giorno del rientro solenne nella chiesa madre di Brienza, e che cade qualche giorno dopo la festa liturgica dell'Esaltazione della croce, sono più complesse e la partecipazione dei fedeli è più ampia ed estesa. Per l'occasione giungono molti pellegrini dei paesi limitrofi e molti degli abitanti emigrati in giro per il mondo ritornano al paese. Durante il Santo Ottovario - otto giorni prima della processione di ritorno - i fedeli possono ottenere le indulgenze plenarie e parziali. Trascorsi questi giorni, la domenica mattina, dopo la Messa Solenne e la benedizione, il Cristo viene disteso su un telo di porpora e preceduto dal clero e dalle confraternite e seguito dalle giovani che portano sul capo "i cinti" - complesse composizioni votive di candele - sul capo e dal resto dei fedeli, ridiscende dal monte verso la chiesa dell'Annunziata.

Mentre la processione scende dal Santuario a monte verso Brienza, dalla Chiesa Matrice si avvia una seconda processione che accompagna la Madonna dell'Addolorata, vestita di bianco e seguita da fanciulle nella stessa tenuta, incontro al Figlio: il commosso momento dell'incontro, accompagnato dai sacri canti, detto "l'affrontata" avviene nei pressi del Calvario, alle porte del paese, qui le due processioni si fondono diventando un unico corteo.

La lunga processione giunge infine, fra preghiere e suoni, in piazza dove si volge il cosiddetto volo dell'angelo. Il momento del volo dell'angelo, rito di origine non chiara forse connesso al culto di San Michele, rappresenta sicuramente un altro degli aspetti caratteristici di questa cerimonia: un bambino, vestito da angelo, sospeso a mezz'aria su un cavo teso fra due palazzi e trattenuto da corde, viene calato e sollevato per sette volte sul Crocifisso e sulla Madonna, mostrando al popolo dei fedeli i sette simboli della Passione: incenso, calice, corona di spine, spada, croce, lancia, cero e recitando nello stesso tempo strofe sulla Passione.

Al termine di questa rappresentazione la processione riprende il suo corso e giunge alla Chiesa Madre riccamente parata a festa. Le due immagini, ritornate nella Chiesa, vengono esposte per la adorazione dei fedeli, con la Madonna ai piedi del Crocifisso. La festa si conclude a sera con uno spettacolo di fuochi d'artificio.

Testo: F. Floccia e B. Terenzi (tratto da Feste e Riti d'Italia). Adattamento a cura della Redazione


Foto: S. Cuneo, 1996-1998
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Madonna di Pierno a San Fele

14-15 agosto

La festa della Madonna di Pierno si svolge a San Fele (Potenza) il 14 e il 15 agosto. In occasione della festa i fedeli si recano in pellegrinaggio al santuario, che sorge a 960 metri sul livello del mare, in un luogo roccioso ricco di sorgenti e di boschi di castagno. Il culto della Madonna è tuttora molto sentito, in passato i devoti, soprattutto gruppi di contadini, si recavano al santuario a piedi.

La leggenda narra che nel 1130, anno di fondazione del culto, i monaci che abitavano il Monte Santa Croce, a causa di un'incursione di pirati saraceni, si ritirarono nei boschi nei pressi del monte Pierno dove, in una cavità rocciosa, nascosero la statua lignea raffigurante la Madonna. Successivamente venne costruita sul luogo la prima chiesa, che divenne poi il santuario vero e proprio, consacrato nel 1221. A causa di un terremoto nel 456 la statua della Madonna fu trasferita in una località diversa, ma sparì e riapparve sul monte Pierno. In seguito a questo evento miracoloso l'edificio del santuario fu ricostruito.

Nel corso del pellegrinaggio i fedeli esprimono la loro devozione per la Madonna trascorrendo la notte sul luogo del santuario e accampandosi nell'area circostante. Portano al santuario offerte arboree o altri oggetti votivi come ex voto anatomici, fotografici, epigrafici e così via. Al ritorno molti riportano a casa souvenir acquistati sulle bancarelle o all'interno del santuario, in ricordo del pellegrinaggio e per mantenere vivo il culto della Madonna nello spazio domestico.


Foto: A. Rossi, 1965
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Madonna del Carmine ad Avigliano

16 luglio - seconda domenica di settembre

I miracoli della Madonna del Carmine

Si tramandano numerosi miracoli avvenuti nel corso del tempo, legati soprattutto a calamità atmosferiche e a terremoti. Secondo la tradizione popolare fatti miracolosi indicarono chiaramente, nel 1719, la necessità di riprendere i festeggiamenti e la processione al Monte sospesi da un certo periodo: si tramanda che in quell'anno a seguito di una pioggia torrenziale una giovane che lavava i panni al fiume venne travolta dalle acque del Braida, ma mentre stava per annegare venne salvata dalla Vergine del Carmine da lei invocata, che le apparì invitandola a riferire agli aviglianesi di riprendere la pratica di portare in processione la statua sul Monte Carmine il 16 luglio di ogni anno. Si racconta che ancora fino a qualche tempo fa in una cappella della Chiesa in Avigliano (Potenza) fosse conservato un ex voto che ricordava l'accaduto.

Si narra ancora che nel 1844 dopo molti mesi di siccità, alcuni fedeli arrivarono ad Avigliano per invocare l'intercessione della Madonna con una processione nel corso della quale si dice le donne indossassero in segno di penitenza una corona di rovi ed il volto coperto da una stoffa bianca. Alcuni fedeli seguivano la processione scalzi portando un otre pieno di acqua da versare sulla soglia del Santuario. Il miracolo della pioggia avvenne e si ripeté anche nel corso di altre successive siccità. Ed ancora, nel dicembre del 1857, la protezione della Vergine del Carmine salvò Avigliano dal terribile terremoto che distrusse molti paesi della Basilicata. Per ricordare questo evento miracoloso, ogni anno nella stessa data si svolge una processione di ringraziamento per le vie della città. A testimonianza invece delle tantissime grazie individuali ai singoli devoti basta considerare il cospicuo tesoro di ex voto tuttora conservati nei locali della Parrocchia di S. Maria del Carmine ad Avigliano.

La festa

Ogni anno la notte precedente il 16 luglio, sera della veglia presso la Chiesa Madre, la statua della Madonna viene rivestita con un manto carico di tutto il suo tesoro votivo in oro e argento. Una corona cinge il capo sia della Vergine che del Bambino, uno scapolare è appeso ad un braccio. Il 16 luglio la statua viene portata in processione fino al convento di Santa Maria degli Angeli da dove ha inizio il pellegrinaggio popolare per raggiungere il santuario al monte. Lungo il corteo vengono trasportati i cinti insieme ai palii, insegne di forma triangolare in lino con l'immagine della Madonna ricamata in oro. Giunti al monte, la statua effettua tre giri intorno al Santuario e, una volta entrata, viene celebrata una Messa Solenne. Al termine della celebrazione i devoti rimangono a consumare cibi all'aperto.

La seconda domenica di settembre, dopo due mesi di permamenza della statua presso il santuario al monte, avviene la traslazione di ritorno. La notte precedente la discesa ha luogo una veglia presso il santuario sul monte, poi la domenica mattina la statua della Madonna con un pellegrinaggio ritorna in paese dove all'altezza del convento dei Riformati si forma la processione che attraversa la città e reca la Vergine alla Basilica Pontificia Minore di Santa Maria del Carmine di Avigliano dove rimarrà fino a luglio dell'anno seguente.

I cinti

I cinti o cente sono grandi costruzioni votive di candele a più piani, architetture complesse che rappresentano torri, navi, frontespizi di chiese o altarini e altre immagini devozionali. Essi sono realizzati da esperti artigiani che però nel tempo stanno scomparendo; alcuni fra i più conosciuti della zona sono Rocco Rosiello, Marco Rosa, Antonio Rosiello e Pietro Pace. I cinti, riccamente decorati con nastri colorati, fiori e immagini sacre, vengono offerti in segno di devozione, voto o richiesta di grazia sia dai singoli fedeli che dai paesi che partecipano al rito.

Sono i giovani familiari del devoto che offre il cinto a farsi carico di portarlo a spalla durante la processione, mentre alle giovani donne della famiglia, che un tempo dovevano essere pure, è lasciato il compito di reggere i lunghi nastri colorati attaccati alle costruzioni. In passato le giovani accompagnavano il pellegrinaggio delle cente con il canto: le rime delle invocazioni passavano da una voce all'altra creando un incrocio fra di loro nel cantare le lodi e gli inni dalla Madre Protettrice. Al termine del pellegrinaggio i cinti offerti alla Madonna rimangono nella cappella sul monte.

Il culto alla Madonna del Carmine

La devozione alla Vergine del Carmelo è molto diffusa in Basilicata, tra le molte chiese e santuari dedicati quello di Avigliano è certamente il più antico e conosciuto. La Madonna di Avigliano è invocata in tutte le situazioni di pericolo: preserva dalle cadute, dagli incidenti e protegge dagli influssi negativi di spiriti maligni e masciari. Anticamente la sua immagine era sempre presente negli "abitini", scapolari utilizzati tradizionalmente dalle popolazioni di queste zone, al giorno d'oggi è portata nei portafogli, nelle borse e nelle autovetture di molti lucani.

Secondo la tradizione il culto alla Madonna del Carmine, o Vergine del Carmelo, fu diffuso ad Avigliano da reduci dalle Crociate devoti al culto del Carmelo. Già nel XII secolo si ha notizia di un culto mariano ad Avigliano, quello alla Madonna delle Grazie, presso la Cappella di Santa Maria de Cornu Bonu che risulta censita nel 1164.

Si narra che nel 1240, la statua della Madonna scomparve dalla sua Cappella per essere ritrovata nei pressi della cittadina di Campagna in provincia di Salerno. Gli aviglianesi reclamarono la restituzione della statua e nonostante l'opposizione da parte degli abitanti di Campagna, la Madonna fu riportata ad Avigliano. Dopo breve tempo, però, la statua sparì di nuovo e fu ritrovata nella stessa località campana i cui abitanti spiegarono l'accaduto come segno della volontà della Vergine di rimanere con loro: oggi questa statua è ancora venerata a Campagna con il nome di Madonna di Avigliano, mentre gli aviglianesi furono costetti a commissionare una nuova statua simile alla precedente.

Notizie più precise circa il culto si hanno solo intorno al 1694, anno in cui, dopo una terribile carestia, si ebbe un forte terremoto: gli Aviglianesi si rifugiarono in cima alla montagna per 40 giorni pregando ed invocando la Madonna del Carmelo. Quando, alla fine, ritornarono in città trovarono che le case e il paese non avevano avuto quasi danni né vi era stato alcun morto.

Nel 1696, a memoria, fu steso un atto pubblico di ringraziamento alla Vergine del Carmelo per la sua miracolosa intercessione, redatto dal Notaio Apostolico Don Francesco Viggiano. In esso si stabilivano una serie di iniziative per manifestare la gratitudine della popolazione fra cui l'acquisto di una statua della Madonna del Carmine e la costruzione di una Cappella sulla montagnola da allora detta Monte Carmine. La statua policroma, commissionata ad un intagliatore napoletano ed ancora oggi venerata, rappresenta la Madonna in piedi che con gesto materno sostiene al petto il Bambino proteso verso di lei quasi a volerla abbracciare a toccare il velo ed accarezzare il volto. Nell'atto si stabilì inoltre di ricordare ogni anno il miracolo con una festa solenne e di portare la statua al monte ogni 16 luglio per riportarla ad Avigliano la seconda domenica di settembre, in ricordo del tempo trascorso sul monte dalla popolazione durante il terremoto. Infine, nello stesso anno, la Vergine del Carmelo fu proclamata patrona e protettrice di Avigliano. Si istituiva nello stesso anno la Confraternita della Madonna del Carmine i cui iscritti, che indossano tuttora un saio con il cappuccio simile a quello dell'ordine dei Carmelitani, erano tenuti a partecipare alle processioni di andata a di ritorno in onore alla Madonna con il diritto di trasportare la sua statua.

Nel 1935 la Vergine del Carmine, con decreto del Capitolo Vaticano, venne incoronata Regina del popolo aviglianese con una solenne cerimonia. Nel 1949 e nel 1985, la statua fu portata in processione nei diversi paesi della provincia e a Potenza dove ricevette sempre l'espressione di una fortissima devozione da parte dei numerosi fedeli. Nel 1996, vennero festeggiati solennemente i tre secoli di culto e in tale occasione la Confraternita della Madonna del Carmine collocò una grande stele sulla cima del Monte, con l'immagine della Vergine a testimonianza della ancora forte fedeltà alla Madonna. Nel 1999 la Chiesa Madre di Avigliano fu elevata a Pontificia Basilica Minore con il titolo di Santa Maria del Carmine, infine, per il Giubileo del 2000 venne realizzato un centro di accoglienza per i pellegrini nei pressi del Santuario di Santa Maria del Carmine sul Monte, eretto nel 1696.

La data di costruzione della Chiesa è incerta, ma potrebbe addirittura risalire al IX secolo. Essa è situata nella parte più antica della città ed ha subito vari interventi di restauro fino al suo totale rifacimento nel 1854 ad opera dell'architetto Domenico Berni. Con una pianta a croce latina a tre navate, una profonda abside e undici altari in marmo di epoca successiva, oggi si presenta esternamente in stile neoclassico mentre l'interno è in stile barocco; in essa sono conservate statue di San Vito e San Leonardo, precedenti Patroni della città insieme a San Bartolomeo. Sull'altare maggiore è collocato il trono di marmo con la statua lignea della Madonna del Carmine del XVII secolo.

Testo: F. Floccia e B. Terenzi (tratto da Feste e Riti d'Italia). Adattamento a cura della Redazione


Foto P. Ciliento, 2005
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


Foto L. Corbo, 2005
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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San Rocco a Tolve

16 agosto - 16 settembre

La festa

Uno degli aspetti che maggiormente caratterizza oggi il culto di San Rocco a Tolve (Potenza) è lo sdoppiamento della festa che inizialmente si svolgeva solo il 16 agosto e che a partire dal 1904 viene replicata anche il 16 settembre. La motivazione di questo duplice appuntamento non risulta ben chiara, le fonti storiche più accreditate giustificano questa scelta con una motivazione connessa all'andamento della vita agricola: nel mese di agosto, i contadini tolvesi erano impegnati nei campi nella raccolta del grano e la festa del Santo patrono finiva per distoglierli dai loro impegni, inoltre il doppio festeggiamento offriva la possibilità di trarre vantaggio da un duplice flusso di pellegrini e di offerte e facilitava la gestione del gran numero di fedeli in arrivo. In conclusione la pratica di festeggiare San Rocco in due tempi diversi ha incontrato il favore di tutti e per questo è continuata nella pratica attuale.

Il rito del 16 agosto

I percorsi dei pellegrini che dai loro paesi si avvicinavano a Tolve spesso si sviluppavano lungo i tracciati dei tratturi ed erano intrapresi a piedi, sugli asini o sui carretti, con una durata spesso di più giorni - ancora oggi accade che qualche pellegrino arrivi a piedi come voto al Santo - lungo queste strade si sono andate creando tappe di sosta dove i pellegrini riprendevano le forze, si incontravano, condivendo le loro esperienze di fede. Lungo questi tragitti, edicole votive e chiesette sono diventate passaggi obbligati presso i quali ogni comunità in cammino di devozione si ferma per svolgere i propri riti.

I festeggiamenti iniziano con la prima festa del 16 agosto, richiamando quelli che i tolvesi definiscono "pellegrini della marina", in passato, infatti, accorrevano in questa data soprattutto i contadini provenienti dai paesi della pianura sottostante dove la mietitura era già terminata. Attualmente, oltre ai tanti emigranti che fanno ritorno al proprio paese per le vacanze, alla processione del 16 partecipano i fedeli dai vicini paesi di Spinazzola, Minervino Murge Montemilone, Palazzo S. Gervasio, Genzano, Banzi, Grassano, Oliveto Lucano, Calciano, Forenza, Acerenza e Oppido Lucano.

Fino agli inizi del secolo scorso, alla vigilia della festa, gruppi di pellegrini trascorrevano la notte intorno ai fuochi, cantando e ballando. Oggi i festeggiamenti di agosto, proprio per la natura stessa dei pellegrini partecipanti, assumono una aria di sagra di paese e nella via principale addobbata di luminarie viene allestito un variopinto mercato che offre i prodotti più diversi. Nel mescolarsi alla folla è ancora possibile incontrare degli anziani che indossano parte del vecchio abbigliamento tradizionale: alcuni uomini passeggiano nei loro pantaloni e gilets di velluto pesante, i bastoni e le robuste scarpe, alcune donne indossano le ampie gonne scure, con il grembiule, le camicie lavorate ed il capo coperto con gli ampi "fichu". Continua, anche se in maniera molto minore, la vecchia pratica devozionale di portare al santuario i propri bambini indossando il costume tipico del Santo, come tributo e ringraziamento per grazia chiesta o ottenuta.

Il rito culmina il 16 agosto con la solenne processione del mezzogiorno intorno al paese, della durata di circa tre ore. La statua lignea, custodita nel Santuario, per l'occasione viene "vestita" con tutto l'oro del tesoro di San Rocco costituito da un numero immenso di catenine d'oro, medaglie, orologi, bracciali, collane, penne ed anelli donati al santo. Le stime più attendibili dicono che l'oro ammonti a circa un milione di euro. In passato al Santo venivano offerti, oltre all'oro e al denaro, anche galline, capi di bestiame, tavolette dipinte, abiti da sposa o di battesimo ed addirittura trecce per grazie ricevute o per propiziare richieste di aiuto. Fino a qualche tempo fa, giovani ragazze vestite di bianco aprivano il corteo dinanzi al Santo reggendo borse piene di denaro, oggi questa offerta non viene più esposta lungo la processione, ma in uno dei locali della Casa del Pellegrino vengono conservate foto e filmati dell'epoca che mostrano il rito. All'uscita della Chiesa Madre, la statua di San Rocco, presentata alla folla dei fedeli in cima alla scalinata, suscita una forte emozione e l'apparizione con la sua copertura d'oro lascia completamente storditi. Tutte le campane suonano a festa e da più parti s'innalza il noto canto al Santo mentre inizia la musica della banda Il corteo solenne viene aperto e guidato dal Cerimoniere che con la fascia e il bastone nella mano, guida la processione lungo l'intero percorso Seguono i cirii (detti anche cinti, cente, sciglii o gregne) costruzioni in legno e innumerevoli candele, decorate con immagini sacre, fiori e nastri colorati, di dimensioni imponenti e portati a spalla da più persone. Al termine della processione le candele dei cirii vengono offerte al santuario per essere arse nel corso dell'anno davanti al Santo. Gagliardetti, la croce astile e il clero seguito dai carabinieri anticipano l'arrivo di San Rocco coperto dal suo "vestito" d'oro portato a spalla dai fedeli. Chiude la successione un baldacchino di seta gialla ricamato nella parte inferiore, sostenuto dalle donne. E' ancora possibile incontrare devoti che seguono scalzi la processione. Lungo il percorso le finestre e i balconi, pieni di fedeli, sono abbelliti con stoffe preziose e fiori.

L'inno al Santo "Evviva Santi Rocco! ...ca int'a Tolve stai" cantato dalle donne e dagli anziani, risuona lungo il corteo incrociandosi con le invocazioni del clero al seguito della processione e si affianca agli stacchi della banda. La processione, avanzando con una andatura lenta e suggestiva, si snoda per le vie di Tolve e ritorna lentamente al santuario, dove il santo viene ricollocato per ricevere l'omaggio finale dalla folla dei pellegrini.

Il rito del 16 settembre

Il secondo festeggiamento in onore del San Rocco di Tolve cade il 16 settembre. La festa autunnale richiama i tradizionalmente detti "pellegrini della montagna", contadini provenienti dai paesi delle zone montuose circostanti, dove la mietitura terminando oltre la metà di agosto, impediva loro di partecipare alla festa del 16 agosto. I festeggiamenti di settembre, pur seguendo nell'insieme uno schema di svolgimento analogo a quelli del mese precedente, hanno conservato comunque un aspetto più devozionale. Alla processione di settembre partecipano soprattutto fedeli da Vaglio, Potenza, Tricarico, Stigliano, Accettura, Campomaggiore, Pietrapertosa e Castelmezzano. La festività del Santo patrono rappresenta a tutt'oggi, per i cittadini di Tolve un momento particolare che caratterizza l'immagine del paese e il suo ruolo di custode del più importante culto rocchiano dell'area. Inoltre, nonostante i cambiamenti nel tempo, il culto continua ad essere fortemente sentito in tutta la regione, ne costituisce uno dei suoi tratti identitari più forti e rinnova ogni anno la validità e la profondità di questo immenso patrimonio culturale e spirituale.

San Rocco

San Rocco è venerato dalla Chiesa cattolica come protettore dei pellegrini, degli appestati e dei contagiati in generale, in alcuni luoghi è invocato a protezione degli animali e contro gli eventi catastrofici naturali, inoltre, per aver patito le stesse sofferenze, è patrono degli invalidi, dei prigionieri e degli emarginati.

Gli studi sulla storicità della vita di San Rocco sono molto complessi e spesso controversi, si è comunque concordi nell'indicare Montpellier in Francia come sua città natale e Voghera in Italia come luogo della sua morte.

Le principali tappe della vita del Santo, considerate attendibili dagli studiosi, sono: la nascita francese, la partenza per Roma - dove sulla via, ad Acquapendente, effettua la prima guarigione di appestati - l'arrivo a Roma con la guarigione del cardinale che lo presenterà al papa, la ripresa del viaggio per ritornare a Montpellier passando per Rimini, Novara e Piacenza, il contagio della peste a Piacenza e il ritiro nel bosco dove guarirà, la ripresa della via verso la Francia e la morte a Voghera, dopo 5 anni di prigionia. Rocco venne nominato santo già nel 1414, durante il Concilio di Costanza, ma solo nel 1584 ne venne sancita la canonizzazione e fissata al 16 agosto di ogni anno la festa liturgica.

Nell'iconografia tradizionale il Santo è vestito da pellegrino con alcuni attributi simbolici che ne rappresentano la vita e le opere: un bastone, una zucca per contenere l'acqua, conchiglie - forse a ricordare il suo presunto pellegrinaggio a Compostela - la bisaccia. In alcuni casi è raffigurato anche con una piccola fiaschetta attaccata alla cintola - forse contenente un medicamento- piccoli bisturi, la corona del Rosario, una croce rossa sugli abiti, sul lato del cuore, ad indicare l'angioma a forma di croce che si dice avesse avuto sul petto fin dalla nascita. Spesso è accompagnato da un angelo, soprattutto nelle raffigurazioni più antiche: è il messaggero di Dio che interviene più volte nel corso della vita del Santo. Anche il cane con in bocca un tozzo di pane - o che lecca la piaga del santo - è un altra figura simbolica che caratterizza il Pellegrino di Montpellier: narra infatti la leggenda che un cane ne abbia avuto cura, nutrendolo e leccandone le ferite, durante la sua malattia. Tuttavia, l'elemento distintivo di San Rocco sono i segni della peste: una piaga, solitamente sulla coscia, o le mani e gli arti deformati dai postumi del contagio.

Il culto a San Rocco è ancora evidente e vivissimo in tutta Europa, forse perché questo Santo, più di altri, rappresenta la guarigione e l'azione di volontariato e di carità verso i malati ed i bisognosi in generale. Per questo motivo sono numerosissime le Confraternite e le Parrocchie italiane a lui intitolate: 284, secondo alcuni. Non sono pochi neppure i Comuni che lo hanno eletto a Patrono ed è quasi impossibile elencare le cappelle e le edicole dedicategli, spesso alle porte dei paesi, quasi a da difesa da malattie contagiose e calamità naturali.

Dal punto di vista della religiosità popolare, il culto di San Rocco mantiene ancora oggi, in Italia come all'estero dove è stato esportato dagli emigrati italiani, una forte componente emotiva e di partecipazione e contrariamente ad altri culti non sembra affievolirsi, anzi, in alcune realtà si rileva addirittura una rinnovata partecipazione.

Il culto di San Rocco a Tolve

In Lucania, percorrendo l'antica via della transumanza che attraverso l'area del potentino collega la valle del Bradano con la Puglia, si incontra uno dei più interessanti luoghi dedicati ancora oggi alla devozione di San Rocco: Tolve, che lo festeggia ogni anno per ben due volte: il 16 agosto ed il 16 settembre.

Il culto di San Rocco a Tolve è relativamente giovane: fin quasi agli inizi del '700 il patrono della città era San Nicola di Bari, che appare raffigurato nell'abside e in un polittico del '500 nella Chiesa Madre. Si narra che la statua lignea di San Rocco fu abbandonata nelle campagne di Tolve dalle truppe francesi in ritirata nel XVI secolo - leggenda coerente sia con l'origine francese del santo che con le guarigioni miracolose dalla peste che, nella realtà storica, venne diffusa proprio dalle truppe francesi.

Il crescendo del culto rocchiano è confermato dai registri dell'Archivio Parrocchiale di Tolve, dai quali si rileva come fra la fine del '600 e inizio del '700 il nome Rocco diventi il più diffuso nell'area. Un fatto storico che potrebbe essere connesso all'infiammarsi della devozione a San Rocco è il terremoto del 1783, uno dei più disastrosi della storia lucana: l'istintivo ricorso alla intercessione della Madonna e di alcuni santi potrebbe essere in relazione con il restauro della statua del Santo e la creazione della prima struttura di accoglienza per i pellegrini che verrà gestita, fino alla metà del '900, dalla Confraternita del Glorioso San Rocco di Tolve.

La grande intensità del culto al Santo è confermata dal consistente patrimonio di ex voto custodito nella "Casa del Pellegrino", una struttura nei pressi della Chiesa Madre di San Nicola, dove viene offerta assistenza ai pellegrini. La raccolta di ex voto testimonia - attraverso immagini, tavolette dipinte, parole ed oggetti - molti aspetti della vita di questa zona e della pietas popolare dei suoi abitanti.

Testo: B. Terenzi (tratto da Feste e Riti d'Italia). Adattamento a cura della Redazione


Foto: P. Ciliento, 2007
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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San Giuliano ad Accettura

Il Maggio di Accettura

In occasione dei festeggiamenti per San Giuliano, patrono di Accettura, in provincia di Matera, si svolge ogni anno la sagra del Maggio, un antico rito nuziale e propiziatorio.

Foto: S. Paderno
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Madonna della Bruna a Matera

2 luglio

La processione

La festa della Madonna della Bruna costituisce per i materani un evento davvero speciale, coinvolgente e atteso per tutto l'anno. La festa ha inizio all'alba del 2 luglio, con la messa solenne in cattedrale, seguita dalla cosiddetta "processione dei pastori" che, annunciata dai fuochi pirotecnici, porta per le vie principali della città, il quadro della Madonna della Bruna, che si narra sia stato trovato sotto un albero proprio da alcuni pastori. A mezzogiorno prende avvio la seconda processione: quella in cui è la statua della Madonna, guidata dalle autorità religiose e civili e scortata dai "Cavalieri della Bruna", ad essere lentamente condotta dalla Cattedrale verso la periferia della città, precisamente nella chiesa del quartiere popolare di Piccianello.

Nel tardo pomeriggio, dopo la messa, la statua viene collocata nella "torretta" a poppa del Carro trionfale di cartapesta. Incomincia così, all'imbrunire, la lenta processione di ritorno verso il centro della città. Una volta giunto sulla piccola piazza antistante la cattedrale, al Carro si fanno compiere tre giri, e solo successivamente la statua, accompagnata dalla Curia Arcivescovile, viene deposta nella Cattedrale. A questo punto il Carro, ormai privo della sacra immagine e scortato da cavalieri montanti cavalli bardati di fiori di carta e velluto, ma recentemente anche da agenti delle forze dell'ordine in tenuta antisommossa, inizia a guadagnare la strada verso Piazza Vittorio Veneto, dov'è radunata una gran folla in attesa di assistere allo "strazzo": l'assalto e la distruzione dello stesso carro, frutto di un lavoro artigianale durato molti mesi. Dopo lo "strazzo" la festa si conclude a tarda notte con i fuochi pirotecnici.

I Cavalieri della Bruna

Sono personaggi che si tramandano questo ruolo di padre in figlio, con una precisa gerarchia: generale, vice generale, portabandiera, trombettiere, ecc. Scortano la processione pomeridiana lungo tutto il suo percorso. Indossano costumi non appartenenti ad un'epoca precisa, sono pesantemente ornati da nastri colorati, medaglie, penne e piumini, elmi ed armature luccicanti. Hanno cavalcature dall'aspetto maestoso, e cavalli appositamente addestrati a mantenere la calma in occasione delle numerose situazioni di ressa o in allo scoppio dei mortaletti. Anche gli ornamenti dei cavalli sono particolari: tanti fiori di carta preparati appositamente, ogni anno, dalle donne materane.

Secondo alcuni questi personaggi sono arrivati fino a noi dalla antica processione di Sant'Eustachio, primo patrono di Matera, appartenente all'esercito imperiale romano e spesso rappresentato in armi. Secondo altri sono personaggi che originariamente avevano il compito di difendere il carro dallo "Strazzo" anticipato. In realtà molte processioni del Sud Italia ad un certo punto della loro storia sono diventate "processioni scortate" da uomini in armi appartenenti non necessariamente alla milizia regolare, ma spesso anche a compagnie di cittadini o addirittura a compagnie giovanili.

Lo Strazzo

Dopo ore di lenta ed estenuante processione, la tensione a lungo accumulata si riversa con forza estrema nel rito finale dello "strazzo": la festa della "Bruna" non è concepibile senza quest'atto finale. Protagonisti del rito collettivo, al quale tutti i materani sentono l'obbligo di assistere, sono soprattutto i giovani della città. In pochi minuti il carro viene totalmente spogliato delle sue componenti più preziose o cariche di significato religioso.

La comunità distrugge per vedere rinascere ciò che è diventato un simbolo e i trofei di cartapesta, portati a casa o nei luoghi di lavoro, costituiranno un segno di benedizione e felice auspicio per la vita di ognuno per il resto dell'anno. Vale comunque la pena segnalare, con riguardo alla distruzione del carro, come fra il '400 e il '500 fosse comune la pratica del mettere a sacco baldacchini, carri e apparati nel corso di cerimonie ufficiali.

Il Carro

La macchina tradizionale - lunga circa dodici metri, larga tre ed alta quattro - è realizzata in cartapesta ed è montata su una struttura motrice trainata da coppie di muli. Si aggiudica l'assegnazione della gara per la costruzione il cartapestaio che meglio raffigura la scena prescelta nella bozza di presentazione, al miglior prezzo. Il carro è ogni anno diverso ed è arricchito da decorazioni, spesso di notevole pregio artistico, che rimandano a parabole e vicende narrate dal Vangelo e scelte annualmente dal vescovo della città.

La consegna del manufatto è fissata al 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, quando, di sera, il Carro viene benedetto dal Vescovo ed è esposto alla cittadinanza. Anticamente il carro veniva offerto dalle famiglie nobili della città per onorare la Madonna nel giorno della sua festa, successivamente la responsabilità della costruzione del carro fu affidata ad un Comitato che ne è responsabile fino alla sua distruzione.

Numerosi sono i maestri cartapestai, arte particata da secoli a Matera, artefici dei carri e tanti sono gli artigiani ricordati dai materani, ma tra i più famosi, tra l'800 e il 900, sono da ricordare Francesco e Pasquale Nicoletti, Francesco e Michele Pentasuglia, Francesco e Annibale D'Antona, Raffaele Pentasuglia, i fratelli Epifania, Michele Amoroso, Vincenzo Ruggieri, Panza, Conversi.

Testo: P. Izzo (tratto da Feste e Riti d'Italia). Adattamento a cura della Redazione

Storia di Maria Santissima della Bruna

La "Festa della Visitazione", di origine francescana e già solennizzata dai frati minori sin dal 1263, fu estesa nel 1389 a tutta la Chiesa da papa Urbano VI, che era stato anche vescovo di Matera, il decreto -promulgato nel 1390 dal suo successore Bonifacio IX- indicava nel 2 luglio il giorno della ricorrenza liturgica.

Circa l'origine del nome "Bruna" sono state avanzate diverse ipotesi: derivazione dal latino longobardo "brunja" - tedesco "Brünne"- cioè usbergo, corazza, armatura, con connessione quindi alla difesa della città, derivazione da "Hebron", la località della Giudea dove Maria si recò per la Visitazione all'anziana cugina Elisabetta, infine, richiamo all'origine bizantina della Vergine raffigurata nel dipinto conservato Nel Duomo.

Anche sull'origine del culto, che è giunto a noi come somma di successive stratificazioni, e sull'origine dello sfascio del carro che ne è l'elemento più caratteristico, le fonti documentarie sono scarse e la tradizione orale è contrastante: da molti elementi si suppone che esso sia precedente alla costruzione della Cattedrale ed all'istituzione della "Festa della Visitazione". Un bassorilievo ancora visibile su una lunetta della Cattedrale attesta una processione aperta da una statua della Vergine e non da un dipinto, in una prima fase la festa potrebbe dunque aver avuto un carattere di estrema semplicità molto simile a quella che ancora oggi viene chiamata "Processione dei Pastori". E' a partire dal 1500 che la festa subisce un radicale cambiamento, forse su suggerimento di Mons. Ryos, originario delle Spagna, paese nel quale molte processioni hanno un impianto simile a quello materano.

In una delle variante orali più complete ed articolate, si narra di una donna "dimessa negli abiti, ma di straorinaria e luminosa bellezza" apparsa ad un carrettiere al rientro dai campi. La "bella signora" chiede al carrettiere un passaggio sul suo carro e questi, dopo averla accompagnata fino alle porte della città, nei pressi della chiesetta di Piccianello, la prega di scendere dal carro, per non dare adito a pettegolezzi da parte dei concittadini. La donna, prima di scendere, consegna al carrettiere un foglietto, pregandolo di recapitarlo al Vescovo. Il messaggio riportava un'invocazione della Madonna che chiedeva di essere prelevata dalle autorità civili e religiose della città. Il Vescovo si mosse immediatamente e quando, insieme alle autorità civili, arrivò sul luogo in cui era fermo il carro, con grossa meraviglia vide che il mezzo si era trasformato in un bellissimo carro trionfale, sul quale dominava la statua della Madonna. Il carro, allora, fu condotto verso la Cattedrale e, arrivato nella piazza antistante, fece tre giri, per sancire la presa di possesso della città da parte della Madonna. Nel frattempo i soldati di stanza nella città avevano ricevuto l'ordine di sequestrarlo, ma i fedeli, piuttosto che consegnarlo, preferirono distruggerlo e impossessarsi ciascuno di una sua pur piccola parte.

Un'altra leggenda narra che, durante un assalto saraceno, i materani decisero di distruggere il carro, per scongiurare il pericolo che cadesse nelle mani degli "infedeli".

Matera

Le evidenze archeologiche dell'area della Murgia materana testimoniano che le grotte naturali, che ancora oggi è possibile ammirare a Matera, sono state abitate fin dal paleolitico. Le origini della città, nominata Patrimonio dell'umanità dall'Unesco, vengono fatte risalire ai coloni greci sfuggiti alla conquista romana della Magna Grecia, altre versioni considerano Metello, console romano nel 90 a.C., fondatore della città chiamata Meteola in suo onore, altre ancora rimandano alla parola latina materia o materies (legno, legname da lavoro o da costruzione), basandosi sull'antica ricchezza di vegetazione del territorio; tuttavia l'ipotesi più accreditata è quella che riconduce l'origine del nome attuale della città al termine meta o mata, cioèmucchio, altura sassosa, cumulo, da cui il nome Sassi.

La storia e la cultura della città - e secondo alcuni anche il culto alla Madonna della Bruna - sono state fortemente influenzate dalla presenza saracena e dalla dominazione bizantina, nel corso della quale arrivarono a Matera i monaci orientali che consolidarono il cristianesimo e costruirono chiese e cenobi. I Normanni impossessatisi della città, iniziarono il processo di sostituzione del rito greco con quello latino favorendo la diffusione degli Ordini Monastici dipendenti dalla Chiesa di Roma. Non è, inoltre, da sottovalutare la presenza nel materano di numerosi Ordini cavallereschi. Le successive lotte per il dominio del regno svevo porteranno Matera a far parte del ducato di Benevento prima e della Terra d'Otranto poi. A metà del Seicento Matera, distaccata dalla Terra d'Otranto, viene eletta "Sede della Regia Udienza della Basilicata" e conoscerà un nuovo impulso culturale, urbanistico ed architettonico che la porterà ad estendere l'impianto urbano fuori dai Sassi, sul cosiddetto "Piano" e ad acquisire la fisionomia che ancora oggi la contraddistingue.

La storia dell'attuale Cattedrale di Matera, che si erge nella Civita, il nucleo più antico della città, non è sufficientemente documentata: edificata probabilmente su un luogo di culto più antico in pieno periodo federiciano, tra il 1226 e il 1231 e terminata nel 1270, fu originariamente dedicata a Santa Maria di Matera, poi a Santa Maria dell'Episcopio. Nel 1380 o nel 1389, papa Urbano VI attribuì alla Cattedrale il titolo di Santa Maria della Bruna e nominò la Madonna patrocinante della città. Infine, nel 1627, Mons. Fabrizio Antinori, Arcivescovo di Matera, intitolò la Cattedrale sia alla Madonna della Bruna, sia a Sant'Eustachio, compatrono della città.

L'affresco della "Madonna della Bruna", custodito nella cattedrale, quello a cui si rivolge la devozione popolare, è un dipinto di scuola bizantina che rappresenta l'Odigitria (Colei che indica la Via), ossia la Madonna che regge il Bambino benedicente (con due dita, secondo l'uso rituale greco) sul braccio sinistro e lo indica con il braccio destro. L'opera, secondo alcuni storici dell'arte, risalirebbe al XIII secolo, sarebbe cioè coeva alla costruzione della Cattedrale.

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Madonna del Carmine a Pedali di Viggianello

Terza domenica di agosto

La festa

La terza domenica di agosto a Pedali di Viggianello (Potenza) si festeggia la Madonna del Carmine, con un rito particolare e complesso che presenta analogie con festeggiamenti similari che si tengono nei paesi vicini di San Giorgio Lucano ed Episcopia. La celebrazione sembra risalire ancor prima dell'Ottocento e la presenza della danza - danza del falcetto e danza dei cirii unitamente alla processione dei cinti e della meta animata da musiche e canti - costituisce un forte richiamo a comportamenti legati alla terra e alle antiche comunità rurali.

I festeggiamenti cominciano già qualche giorno prima della data prestabilita con una serie di preparativi. I devoti, dal giovedì e venerdì antecedenti alla domenica di festa, si riuniscono per ornare i cirii, le cinte e la meta. Il venerdì pomeriggio, al termine di questa preparazione, si festeggia con la musica al suono di organetti e tamburelli. Nel frattempo, venerdì e sabato mattina, i componenti del Comitato festa girano per le frazioni a raccogliere dai fedeli il grano e gli animali che saranno messi all'asta in piazza il sabato sera: vengono offerti galline, conigli, anatre, colombi e ghiri che saranno utilizzati per ornare la meta.

Intorno alle ore 15,00 del sabato, i cirii, le cinte e la meta partono da località Pezzo la Corte per raggiungere la Piazza San Francesco di Paola a Gallizzi dove vengono benedetti. Lungo il tragitto, anziani, vestiti come era uso un tempo per la mietitura, con fauci, vantera e cannieddi - falce, mantello di tela e protezioni di legno per le dita - al suono di zampogne, organetti e tamburelli mimano l'antica danza del falcetto. Alle ore 18,00 le donne iniziano, al ritmo della tarantella, la danza con i cirii, tenendo in bilico con grande maestria i cirii sul capo. Terminata la danza, ha inizio l'asta detta anche incanto: un battitore, con voce imponente, sollecita i presenti all'acquisto dei doni e del grano offerti dalla popolazione.

La festa religiosa comincia al mattino della domenica con la messa e prosegue nel pomeriggio con la processione. La statua della Vergine viene rimossa dalla chiesa ove è custodita e posta su un tavolo intorno al quale i devoti danzano con i cirii, esprimendo con andamento ripetitivo la "figura del 'cerchio magico' o cerchio protettivo, il cui potere si conserva a tutt'oggi in molte credenze popolari. Il tragitto della processione si snoda percorrendo tutte le contrade per quasi quattro ore e si ferma poi in località Santoianni dove le donne, con i cirii sulla testa, danzano ancora la tarantella al suono degli organetti e della banda musicale.

Cirri, cinte e meta

I cirii, le cinte e la meta offerti alla Madonna nel corso del rituale sono composizioni formate da intrecci di cereali: i cirii hanno la struttura in legno addobbata con mazzetti di spighe di grano e nastri colorati e sono portati sul capo dalle donne, le cinte vengono decorate invece con candele e sono offerte dai devoti che fanno il voto alla Madonna, la meta è una struttura mobile in legno di grosse dimensioni, portata a spalla dagli uomini, decorata con spighe di grano a ricordare la forma del covone che si faceva un tempo dopo la mietitura, ad essa vengono legati animali dell'aia e ghiri in segno di ringraziamento alla terra per la messe prodotta. Anticamente, le donne lungo la processione recavano sul capo anche dei contenitori di legno contenenti grano macinato. L'origine di queste composizioni simboliche di cereali e ceri, adornate con nastri colorati ed animali, è complessa e potrebbe essere ricollegata a riti pre-cristiani legati alla coltivazione del grano, alla mietitura, alla morte e rinascita del ciclo vitale e annuale della terra.

La danza

Il rituale della danza del falcetto, momento importante e simbolico della festività di Pedali, è mimata da uomini che, agendo come se stessero mietendo il grano, agitano le falci nel gesto della mietitura, rasano allegoricamente l'asfalto con la lama, tagliano l'erba ai bordi della strada al ritmo di tarantella in un contesto di suoni di zampogne, musiche di organetti e balli. Il significato simbolico dei singoli gesti è, al giorno d'oggi, sconosciuto alle persone, mentre in passato il loro senso costituiva patrimonio comune condiviso e inteso in maniera naturale e spontanea. Fra le molteplici interpretazioni e significati che vengono ascritti alla danza del falcetto, è interessante segnalare la tesi secondo la quale i mietitori nell'avanzare con la danza, mimando l'atto della mietitura, effettuerebbero allo stesso tempo un rituale di esorcismo delle forze negative della natura e al contempo un atto positivo di vincita rispetto ad esse attraverso la raccolta del frutto.

La danza del falcetto praticata a Pedali, come le analoghe danze armate della valle del Sinni di S. Giorgio Lucano e di Episcopia, sempre danzate da soli uomini, sono danze arcaiche che potrebbero risalire ad antiche pratiche pre-cristiane connesse con il culto di Giunone o Cerere. che accompagnano da sempre le movenze dei corpi. La presenza costante del ballo caratterizza fortemente la festa della Madonna del Carmelo di Pedali di Viggianello dove zampogne, tamburelli e organetti fanno muovere al ritmo di tarantella non solo gli uomini con la falce, ma anche le donne con i cirii ed i fedeli con le cente sulla testa.

Pedali di Viggianello

Viggianello, situata nella parte occidentale del Parco Nazionale del Pollino a 500 m.s.l.m è circondata da montagne e distese di boschi intercalate da pascoli verdi e colture di frumento. La religiosità ed il senso del sacro degli abitanti di questa zona sono molto forti e si esprimono anche attraverso una tradizione religiosa ancora intensamente sentita e partecipata. Secondo la tradizione la fondazione di Viggianello risale al tempo della Seconda Guerra Punica, come sembrano confermare i reperti archeologici ritrovati nei suoi dintorni. Probabile presidio romano - intorno al 132 a. C. - sulla via che congiungeva Roma con Reggio Calabria, non è più menzionata nei periodi successivi, fino al 1132 quando il nome di Vinginello appare per la prima volta in un documento successivo alla conquista da parte dei Normanni.

Anche a Viggianello e nei dintorni, come in gran parte del meridione, nel XVII secolo infuriarono le epidemie di peste che decimarono la popolazione e che probabilmente contribuirono a sviluppare il senso religioso e la ricerca di conforto nel sacro. Allontanandosi di qualche chilometro da paese, si incontra la frazione di Pedali dove la tradizione vuole che in "località Gallizzi, ora luogo sacro della frazione di Pedali", fosse già presente il culto alla Madonna, anche se l'edificio della Chiesa Parrocchiale del S. Carmelo fu edificato solo nel corso del secolo XIX.

Testo: F. Floccia e B. Terenzi (tratto da Feste e Riti d'Italia). Adattamento a cura della Redazione


Foto: S. Cuneo, 1996-1998
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


Foto: A. Corraro, 2004-2007
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Orario ICPI
Dal lunedi al venerdi
9.00-17.00
Metro Linea B (EUR Fermi) Bus 30 Express, 170, 671, 703, 707, 714, 762, 765, 791
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