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Articoli filtrati per data: Aprile 2014

Carnevale a Montemarano

Il carnevale ha inizio con la ricorrenza di Sant'Antonio Abate, il 17 gennaio (a Santantuono maschere e suoni) ed ha termine la domenica successiva alle Ceneri, dopo un festeggiamento di tre giorni, con Carnevale morto.


 

Foto: A. Rossi, 1974-1975
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


Foto: M. Russo, 1974-1975
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Carnevale a Ronciglione

Da più di un secolo, a Ronciglione (Viterbo), il Carnevale viene festeggiato con la mascherata degli ussari, la corsa dei berberi, la sfilata di carri allegorici e l'offerta di maccheroni da parte dei Nasi Rossi.

Gli ussari accompagnano il corteo del Re del Carnevale, che entra in carrozza e prende le chiavi della città per cinque giorni.

La corsa dei berberi inizia quando i cavalli, al segnale del "messiere", vengono lanciati al galoppo senza fantino per circa un chilometro; il cavallo vincente dovrà ripercorrere il tragitto di gara, preceduto dalla banda.

Naso Rosso è una maschera del teatro contadino, nata a Ronciglione, che, in abbigliamento notturno, ha per ornamento un vaso da notte ricolmo di fumanti maccheroni, mentre i Nasi Rossi si mimetizzano dietro ad un enorme naso di cartapesta.

Foto: A. Lombardozzi, 1982
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

Foto: S. Ioncoli e L. Partenzi, 1997
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Madonna del Carmine a Roma

Madonna de Noantri

PRIMO SABATO DOPO IL 16 LUGLIO - ULTIMA DOMENICA DI LUGLIO

La Festa de' Noantri ha un'origine leggendaria: si narra che nel 1505, al largo della foce del Tevere, dopo una tempesta, alcuni marinai ritrovarono una cassa galleggiante contenente una statua, scolpita in legno di cedro, raffigurante Maria; portarono quindi il simulacro in processione, via fiume, fino alla chiesa di San Crisogono. In seguito la statua lignea fu affidata ai carmelitani di Trastevere. Dal '600, ogni anno, si ripetono le celebrazioni in onore della "Madonna Fiumarola" che, ricoperta di gioielli e abiti preziosi, viene portata in processione per le strade del rione.


 

Foto: E. De Simoni (21 luglio 2007) - Madonna del Carmine a Trastevere
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Madonna del Fiore ad Acquapendente

Terza Domenica di Maggio

La Madonna del Fiore e i Pugnaloni

La festa della Madonna del Fiore, che si celebra ad Acquapendente (Viterbo) la terza domenica del mese di maggio, si fa risalire a una rivolta popolare, che nel 1166 portò alla cacciata di Federico Barbarossa dalla cittadina. Secondo la tradizione il segnale dell'insurrezione sarebbe stato rappresentato da un ciliegio fiorito miracolosamente, soggetto che nei pugnaloni ricorre frequentemente.

I pugnaloni sono grandi pannelli di legno di metri 3,60 x 2,60, sui quali sono incollati petali di fiori, foglie fresche o secche, e altri materiali vegetali, per formare disegni ispirati al miracolo e al tema della libertà dall' oppressione, visto in chiave religiosa e sociale. Il termine "pugnalone" deriva dal pungolo (antico strumento formato da un lungo manico di legno e da una spatola, adoperato per incitare i buoi e pulire l'aratro) che i contadini di Acquapendente portavano in processione durante la festa della Madonna del Fiore. Nel corso dei secoli questi pungoli, ornati di fiori (come in altre feste della primavera e come può ancora oggi essere osservato nella vicina Allerona) si sono trasformati in mosaici floreali di varia forma. Verso la fine dell' '800 i pugnaloni erano ancora sistemati su di un palo e la parte ornamentale prevaleva su quella pittorica. Successivamente si è verificata invece un'inversione di tendenza.

Fino ad alcuni anni fa coesistevano, nella festa della Madonna del Fiore, i pugnaloni e un'infiorata lunga quasi 2 km, ricca di tappeti, interrotti ogni tanto dalla raffigurazione di un'immagine della Madonna. Attualmente vengono allestiti con materiali vegetali soltanto i pugnaloni, esposti fino al 1997, la mattina della festività, sulla piazza antistante il duomo, e dal 1998 lungo le principali vie della cittadina, in numero di oltre una decina.

Nella preparazione dei pugnaloni i giovani di Acquapendente si dividono in gruppi, avvalendosi anche dell'aiuto di qualche esperto pittore. Un mese prima della manifestazione i pannelli di legno vengono raschiati dal materiale vegetale dell'anno precedente. Dopo aver trasferito il bozzetto sui pannelli di legno (con tecniche diverse), i ragazzi iniziano la ricerca delle specie vegetali in orti, giardini, prati e boschi. Nelle cantine dei gruppi i fiori sono applicati con colle particolari (colla dei "parquets", carbossimetilcellulosa ecc.). I petali e le foglie, spesso tagliuzzati, sono accostati a mosaico, oppure sovrapposti a "spina di pesce". In quest'ultimo caso si ottengono particolari effetti di plasticità. Per allestire i pugnaloni si utilizzano i petali fiorali multicolori di calendule, gerbère, anemoni, fiordalisi, ranuncoli, ginestre, palloni di maggio, glicini, rose; le foglie di edera, platano e leccio; e altri materiali vegetali (velo di cipolla, cartoccio della pannocchia del granturco, infiorescenze di castagno e nocciolo). La manifestazione si conclude con il trasporto, in processione, della statua della Madonna del Fiore, e infine, sulla piazza del municipio, un'apposita giuria assegna i premi di menzione ai quadri vegetali più interessanti.


Foto: P. Guarrera, 1984-1985
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Santa Rosa a Viterbo

Macchina di Santa Rosa - 2-3 settembre

Santa Rosa patrona di Viterbo

Agli inizi di settembre si festeggia a Viterbo Santa Rosa, patrona della città. Il pomeriggio del 2 settembre, dal 1921, il cuore di Santa Rosa, custodito in un prezioso reliquiario, viene portato a spalle da quattro suddiaconi su un cuscino di fiori, nel corso di una processione, alla quale partecipano il clero, le autorità civili e militari, le associazioni religiose e il popolo. Dagli anni '70 fa parte di questa processione anche un corteo storico, rappresentato da antichi personaggi e autorità che già dal 1200 rendevano omaggio all'evento della traslazione del corpo della Santa.

La sera del 3 settembre ha luogo il trasporto della "Macchina di Santa Rosa": originariamente il trasporto di questa torre luminosa, chiamata anche "campanile", faceva parte della processione, ma dopo l'incendio del 1891, che provocò la morte di molte persone, le autorità furono costrette a far svolgere le due manifestazioni separatamente.

Si presume che l'inizio del trasporto della macchina sia avvenuto intorno al XIII secolo. Il 4 settembre 1258 le spoglie miracolosamente incorrotte della fanciulla viterbese, morta nel 1251, della quale Innocenzo IV nel 1252 aveva già avviato il processo di canonizzazione, furono traslate dalla chiesa di Santa Maria in Poggio (ora Crocetta), alla chiesa di San Damiano (ora monastero di Santa Rosa). Il feretro era sorretto da quattro cardinali e seguito dallo stesso pontefice Alessandro IV. Quell'evento segnò il primo passaggio trionfale di Rosa per le vie di Viterbo e fu ripetuto ogni anno. In processione non fu portato il corpo della fanciulla, ormai conservato in un'urna, ma un baldacchino sempre più sfarzoso, sul quale veniva posta un'immagine della Santa circondata da luci.

La Macchina di Santa Rosa

La prima macchina risale al 1664 e venne forse realizzata come sviluppo del baldacchino processionale, per adempiere a un voto fatto dai viterbesi durante la terribile epidemia del 1657; la configurazione attuale risale alla metà del '700. In questa epoca si hanno testimonianze del cambiamento del baldacchino, che andò trasformandosi nel corso degli anni fino a quando, all'inizio del 1800, lo stesso comune diede l'incarico di disegnare ed eseguire una nuova costruzione, a forma di torre, che oggi raggiunge un'altezza di oltre 20 metri. Questa costruzione, composta di parti metalliche, legno e cartapesta, del peso di oltre tre tonnellate, rivestita da centinaia di lampadine accese, viene portata a spalle da ottanta uomini detti "facchini".

I facchini

Per poter reclutare i facchini addetti al trasporto della "Macchina di Santa Rosa", ogni anno nei mesi di giugno e luglio, si effettua da parte del sodalizio (associazione costituita nel 1978 per regolarne la scelta) una selezione, sulla base della cosiddetta "prova di portata". All'interno della settecentesca chiesa sconsacrata della Pace viene tracciato un percorso a cerchio, che ogni aspirante facchino deve ripetere tre volte con 150 kg sulle spalle.

La posizione che assumono durante il trasporto della macchina contraddistingue i facchini in "ciuffi" e "spallette". I "ciuffi", che indossano un copricapo di cuoio imbottito di canapa che scende fino alle spalle, all'altezza della cervicale, si posizionano sotto una trave di legno, alla base della macchina, la sollevano e la sostengono; le "spallette" effettuano il trasporto con un cuscinetto di cuoio imbottito di canapa, posto su una spalla (destra o sinistra), sempre a contatto con una trave di legno. La divisa del facchino è composta da un fazzoletto bianco annodato in testa, una camicia bianca con maniche arrotolate fino al gomito (distintivo del Sodalizio), una fascia rossa alla vita, pantaloni bianchi alla zuava, calzettoni bianchi, scarponcini alti di cuoio nero, "ciuffi" o "spallette".

Al comando "Sotto col ciuffo e fermi!" la folla resta in silenzio e la città viene completamente oscurata. Al successivo ordine: "Sollevare e fermi!" i facchini alzano la macchina sulle spalle sotto applausi scroscianti. All'ordine di "Santa Rosa, avanti!" ha inizio il trasporto, lungo un percorso di oltre un chilometro.

Il passaggio della macchina, che in altezza supera gli edifici della città, avviene con molte pause e quattro soste. I facchini, arrivati ai piedi dello stradone che conduce alla chiesa di Santa Rosa, si lanciano di corsa per circa cento metri in ripida salita, premiati da entusiastici applausi e calorosi abbracci.


 Foto: V. Contino (1982)
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


 Foto: M. Berretta (2 e 3 settembre 2009)
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


Foto: E. De Simoni (3 settembre 2009)
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Santissima Trinità a Vallepietra

SABATO E DOMENICA DOPO LA PENTECOSTE

Il santuario

Il santuario della Santissima Trinità a Vallepietra (Roma), costituito da una grotta sormontata da una costruzione esterna, è situato sul monte Autore, ai confini tra il Lazio e l'Abruzzo, a 1337 metri di altezza. Il pellegrinaggio ha luogo nella ricorrenza della Santissima Trinità, tra il sabato e la domenica dopo la Pentecoste, e il giorno della festa di Sant'Anna, il 26 luglio.

Si ritiene che il santuario sia sorto su un antico tempio pagano di epoca romana, i cui resti sono stati rinvenuti all'interno della grotta, e che successivamente questo luogo di culto sia stato dedicato alla Santissima Trinità dai Benedettini di Subiaco e dai monaci Basiliani. Un'altra ipotesi attribuisce a San Domenico di Sora o di Cocullo la fondazione del santuario, sulla base della biografia del santo scritta da un discepolo. I primi documenti relativi al santuario, del 1079 e del 1112, sono conservati nell'archivio della cattedrale di Anagni, e si riferiscono a donazioni elargite alla chiesa. La cappellina di Sant'Anna venne scavata nella roccia per iniziativa dell'abate Mercuri, intorno al 1870.

La sacralità del luogo viene attribuita dalla tradizione a un miracolo: un contadino che arava il terreno vide precipitare nel vuoto i buoi con l'aratro; disceso nella valle, si accorse che gli animali erano sopravissuti e stavano inginocchiati dinnanzi a un'immagine della Santissima Trinità, apparsa sulla parete di una cavità. Si racconta anche che due cristiani ravennati, per sfuggire alla persecuzione di Nerone, si rifugiarono in una grotta sul monte Autore, dove incontrarono i santi Pietro e Giovanni, sbarcati a Francavilla dall'Oriente verso Roma; in questa occasione si manifestò la visione della Santissima Trinità.

Le Tre Persone

L'affresco principale che, secondo l'iconografia bizantina, rappresenta le Tre Persone identiche, risale al XII secolo. L'immagine è costituita da tre figure separate, la cui unità è sottolineata da elementi simili: il trono, lo sguardo, l'abbigliamento e la postura della mano destra, che benedice alla maniera greca, unendo il pollice con l'anulare, infine dall'ornamento di fiori e foglie che circonda le figure. Sotto l'affresco vi è l'iscrizione che esprime il mistero trinitario: "IN TRIBVS HIS DOMINVM PERSONIS CREDIMVS".

Questa particolare iconografia della Trinità è stata oggetto di numerosi studi. Nelle pitture delle catacombe le tre persone sono in genere rappresentate dal Padre (onnipotenza), dal Figlio (redenzione) e dallo Spirito Santo (testimonianza). Quando, nel 325, il dogma della Trinità venne fissato dal Concilio di Nicea, l'iconografia trinitaria subì ulteriori trasformazioni. Figurazioni analoghe alle Tre Persone si rintracciano in alcune decorazioni provenienti dalla Nubia, e nell'Hortus Deliciarum, manoscritto risalente al XII secolo. L'ipotesi dell'origine orientale del culto sembra confermata dal carattere bizantineggiante degli affreschi più antichi che decorano l'interno del santuario.

Il pellegrinaggio

Nella ricorrenza della Santissima Trinità il pellegrinaggio inizia tra il sabato e la domenica dopo la Pentecoste. Migliaia di pellegrini, organizzati in "compagnie", giungono dal Lazio e dall'Abruzzo. Ogni compagnia è preceduta da un portatore di stendardo. I fedeli entrano nel santuario, sfiorando con la mano la parte superiore della roccia, l'uscita avviene a ritroso, per rispetto alla Santissima Trinità. Molti devoti trascorrono la notte nei pressi del santuario, in ricoveri improvvisati (tende, teloni di plastica etc.). L'affluenza dei visitatori è distribuita durante la stagione di apertura del santuario, dal primo maggio al 31 ottobre, ma la partecipazione più consistente si ha in occasione della ricorrenze principali.

Il comportamento devozionale conserva ancora particolari tradizioni: tagliare e portare piante ("dendroforia"), edificare cumuli di pietre e lanciare pietre. Si cammina all'indietro anche nel primo tratto di sentiero, durante la partenza. L'usanza di gettare sassi dai ponti che superano il fiume, rappresenta la pesantezza del peccato e la sua espulsione. Oggi più raramente si assiste al rituale del "comparatico": immergendo contemporaneamente le mani nell'acqua, le persone si uniscono in una sorta di amicizia spirituale, sancendo in tal modo una reciproca solidarietà. La domenica mattina viene eseguito il "Pianto delle Zitelle", una laude sacra che rievoca la Passione di Gesù, risalente probabilmente al XII secolo, cantata dalle giovani di Vallepietra. Attualmente il "Pianto" si rappresenta anche in altri luoghi.

Testo: E. De Simoni


Foto: V. Contino, 1970
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


Foto: M. Russo, 1972 - Festa di Sant'Anna
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia


Foto: E. De Simoni, 2005
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Settimana Santa a Roma

Macchina delle Quarant'Ore - Giovedi Santo

Nella Chiesa di Santa Maria dell'Orto, la sera del Giovedì Santo viene allestita la monumentale "Macchina delle Quarant'Ore", una struttura ottocentesca che rappresenta il tradizionale "Sepolcro", di legno intagliato e dorato, sulla quale vengono collocate oltre duecento candele.


 

Foto: E. De Simoni (20 marzo 2008) - Macchina delle Quarant'Ore nella Chiesa di Santa Maria dell'Orto
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

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Settimana Santa a San Marco in Lamis

Processione delle Fracchie - Venerdi Santo

I membri dell'Arciconfraternita dei Sette Dolori nella chiesa dell'Addolorata, così come i fedeli nelle altre chiese di San Marco in Lamis (Foggia), nel pomeriggio del Venerdì santo, partecipano alla liturgia dell'adorazione della croce e dopo la distribuzione della comunione e senza la benedizione finale, si confondono con le migliaia di fedeli provenienti dalle altre chiese ai piedi della Madonna Addolorata.

Intanto, già da alcune ore, su viale della Repubblica, strada vicina alla chiesa dell'Addolorata, si cominciano a disporre le fracchie. La strada è lunga circa 200 metri e non è molto larga, per questo motivo si preferisce giungere in anticipo con la fracchia, per occupare un posto "buono", e avere il tempo per apportare gli ultimi ritocchi.

Una marea di gente si riversa nel quartiere cosiddetto dell'Addolorata, per la visita alla Madonna in chiesa e alle fracchie schierate per la partenza.

Questo è un forte momento socializzante, per tanti che si rivedono dopo mesi, perché emigranti o perché nel periodo invernale non si è potuto andare molto in giro, e così si chiacchiera e ci si saluta, si fanno capannelli, si commenta e si "critica" la fattura delle fracchie o dei lampioncini.

Il via vai è ininterrotto. Le fracchie continuano a giungere alla spicciolata fino all'imbrunire.

I fracchisti non si allontanano dalle loro realizzazioni per ricevere gli elogi degli amici, parenti e semplici osservatori; i turisti e gli emigranti muniti di macchine fotografiche e telecamere catturano il ricordo della manifestazione; i rivenditori dimfracchiette (riproduzioni in miniatura, perfette nei particolari, carrello in ferro compreso) espongono la mercanzia; davanti alle macellerie si arrostiscono i "turcinelli" (involtini di frattaglie) con il fumo che si spande tra la folla.

Mischiati tra la gente, i vecchi nascondono la nostalgia studiando i dettagli delle fracchie e l'evolversi delle tecniche costruttive: molti di loro, in passato, almeno una volta, sono stati fracchisti.

Al tramonto, le fracchie arrivate per ultime, non hanno trovato posto e si sono affiancate a quelle già sistemate, e così la confusione lungo la strada diventa indescrivibile.

È sera, le fracchie piccole e grandi sono pronte per la processione: hanno tutte la bocca di fuoco rivolta verso est e negli interstizi tra il legname vengono inseriti a forza stracci e paglia imbevuti di combustibile e si mette in evidenza il numero assegnato affinché la giuria possa distinguere ogni fracchia durante la votazione.

Poco dopo, i Vigili Urbani tolgono le transenne che bloccano il traffico degli automezzi su piazza Europa, fanno allargare la folla, e così dall'imbocco di viale della Repubblica esce la prima piccola fracchia accesa, che attraversa la piazza per immettersi su viale Europa.

La folla si dispone lungo il tracciato, mentre una dietro l'altra le fracchie accese, di grandezza via via crescente, sfilano tra la gente.

Le fracchie "piccole", da pochi decimetri di diametro e del peso di alcune decine di chilogrammi fino a un metro di diametro e al peso di oltre 1.000 kg, sono tutte montate su ruote di ferro, e trascinate da ragazzi e ragazze fino ai 12 anni, circa, che in gruppetti più o meno numerosi, si sforzano di tirare. Sono sempre coordinati da un adulto che consiglia, aiuta, corregge, accende la fracchia. L'adulto fa da direttore con comandi fermi ai tiratori e ai timonieri, attizza la fiamma con la pertica o, se necessario, versa altro combustibile.

I ragazzi spesso vestono dei costumi che nei loro intenti dovrebbero essere tradizionali ma che spesso sfociano nella pacchianeria. Danno segno di compostezza e atteggiandosi da adulti non hanno paura del fuoco e tirano con forza e fatica la fracchia.

Le fracchie piccole ci danno l'idea di come doveva essere la processione fino agli inizi del 1900, anche se le fracchie non erano montate su ruote come adesso ma trasportate a braccia.

Anche le fracchie grandi di categoria I e II, vengono accese, ma rimangono ferme sul tratto di viale della Repubblica aspettando la Madonna Addolorata. Intanto i lampioncini si dispongono in fila, e si avviano lungo via della Repubblica per disporsi davanti alla Croce. Uomini e donne con abbigliamenti da giudei e romani inscenano il tragitto di Gesù al Calvario.

Infine, dalla chiesa dell'Addolorata, esce la statua della Madonna Addolorata, con ai lati dei lampioni, preceduta dalla Croce, dal parroco, dal priore, dai confratelli con il vestito confraternale a lutto e dalle consorelle della Confraternita dei sette dolori anch'esse vestite a lutto. Molti uomini e donne seguono la statua. Tutti cantano lo Stabat Mater, in cori alterni tra uomini e donne.

La statua dell'Addolorata, portata a spalle da otto uomini, indossa l'abito nero del lutto, con un lungo mantello. Il suo capo è ornato solo da una sottile aureola impreziosita da una piccola stella. Ha gli occhi rivolti al cielo e uno spadino nel petto.

Tutti partecipano al canto dello Stabat Mater, con lo sguardo rivolto a lei e al suo dolore per la perdita del Figlio.

La processione uscendo di chiesa imbocca via della Repubblica dove le fracchie grandi aspettano la Madonna per "cederle il passo". A questo punto, la processione è nel suo pieno svolgimento: le fracchie piccole e medie hanno raggiunto viale Europa, i lampioncini, il corteo della sacra rappresentazione, la statua della Madonna Addolorata, il popolo e la confraternita orante al suo seguito, sfilano lungo viale delle Repubblica e piazza Europa.

In questo lungo corteo si ode lo Stabat Mater e il crepitio delle fiamme.

Dopo il passaggio della Madonna e del popolo orante si avviano anche le fracchie grandi.

Lo spettacolo cambia: le grida dei trasportatori e le fiamme che escono dalle fracchie danno alla processione un'atmosfera da inferno dantesco. Le ruote stridono sulla pavimentazione stradale, la brace si riversa per terra, le faville si alzano verso il cielo, e vampate di calore e fiamme sopraffanno gli spettatori che a ondate si allontanano dai bordi delle strade.

La fracchia "sputa fuoco"; solo i fracchisti sembrano insensibili alle fiamme, intenti a tirare le due funi collegate con le catene all'asse delle ruote. Appaiono sudati, affaticati dallo sforzo e, nello stesso tempo, disinvolti e incuranti del pericolo. Sanno di essere personaggi importanti di uno spettacolo secolare.

Però non tutte le fracchie hanno la medesima immagine fiammeggiante; alcune emanano solo fumo nero e acre, che spinto dal vento entra negli occhi e sui vestiti degli spettatori. I fracchisti cercano con del combustibile di dare nuovo vigore al fuoco, oppure con la veria (lunga pertica) assestano colpi violenti sulla bocca della fracchia per aprire nuovi varchi tra la legna bruciacchiata e attizzare il fuoco. I più esperti anticipano questi imprevisti ricorrendo ai "trucchi del mestiere": far avanzare la fracchia nella direzione del vento oppure farla fermare agli incroci per sfruttarne le correnti d'aria.

Ma la combustione non deve essere eccessiva per evitare che la fracchia si consumi troppo in fretta, mettendo in pericolo la sua stessa staticità, perché se la parte consumata arriva all'altezza del carrello, la struttura cederebbe non avendo più appoggio sulla base. Alcuni secchi d'acqua permettono di evitare questa evenienza.

A metà del percorso la lamiera di raccolta non riesce a contenere tutta la brace prodotta dalla combustione della fracchia che fuoriesce cadendo per terra. Alcuni operai del Comune, con i "raschiafango", la raccolgono in mucchi ai lati della strada, per poi smorzarli con getti d'acqua. Ma rappresentano pur sempre un pericolo per gli spettatori che stazionano sui marciapiedi.

Prima, la brace spenta si raccoglieva per devozione e per farne combustibile.

Il capofracchia si affanna a dare ordini ai tiratori, a mantenere viva la fiamma e a sollecitare i due timonieri ai quali è deputato il compito di mantenere l'andatura rettilinea della fracchia e di affrontare le curve nella maniera più idonea.

Le fracchie piccole e medie, arrivate in piazza Moro, si dirigono verso il monumento di Padre Pio, in piazza Oberdan, dove vengono spente, mentre la Croce, la Madonna Addolorata, il parroco, i confratelli e le consorelle e tutto il seguito, proseguono lungo via Marconi per completare il giro che li ricondurrà nella chiesa dell'Addolorata.

Anche le fracchie più grandi, dopo aver compiuto il percorso, hanno finito il loro compito di scortare la Madonna e vengono spente con acqua in piazza Oberdan. Poi sono trainate dove erano state costruite in modo che con calma, dopo alcuni giorni, viene recuperata la legna residua bruciacchiata. La legna non bruciata viene usata come combustibile mentre quella parzialmente bruciata viene accesa; tutta la ferramenta viene gelosamente custodita per l'anno successivo.

Testo: G. Tardio (tratto da La processione con le fracchie a San Marco in Lamis)

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Settimana Santa a Canosa di Puglia

Madonna Desolata - Sabato Santo

Nel passato la processione della Madonna Desolata veniva organizzata dalla Confraternita della Madonna del Rosario, con sede nell'antica Chiesa di San Francesco di Assisi, nelle prime ore del mattino del Sabato Santo; la Statua della Madonna Desolata indossava un abito con un manto in stoffa ed era seduta presso alla Croce, con accanto un Angelo consolatore.


Foto: N. Detto - Processione della Madonna Desolata il Sabato Santo (7 aprile 2007)
Archivio Fotografico dell'Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia

 

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Orario ICPI
Dal lunedi al venerdi
9.00-17.00
Metro Linea B (EUR Fermi) Bus 30 Express, 170, 671, 703, 707, 714, 762, 765, 791
Amministrazione
trasparente

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