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Articoli filtrati per data: Dicembre 2013

Alpeggio e transumanza

Alpeggio e transumanza, le due forme di allevamento del bestiame da latte – ovini, caprini e bovini - comprensive delle attività legate al ciclo produttivo del latte, sono rappresentate nell'esposizione: la transumanza praticata dai pastori abruzzesi è documentata nei suoi vari aspetti fin dal momento della migrazione lungo i tratturi (le larghe vie erbose di antichissime origini che conducevano dall'Appennino al Tavoliere delle Puglie) dai basti per muli e asini usati per il trasporto delle varie masserizie, agli stazzi - i recinti per gli ovini -, alle attrezzature per la lavorazione del latte, alla cassa per l'equipaggiamento del pastore.

L'alpeggio invece veniva effettuato nella malga, in genere di proprietà comunale, che comprendeva i pascoli, la stalla per gli animali e la caséra, edificio utilizzato per la lavorazione del latte e come abitazione.

Il complesso discorso sui ricoveri per il bestiame e per i pastori è esemplificato attraverso l'esposizione di reti, paletti e magli usati dai pastori transumanti per approntare il recinto per gli ovini, ovvero lo stazzo. Questo, formato da reti ancorate a paletti, che venivano conficcati nel terreno servendosi di magli di legno, veniva costruito sia durante gli spostamenti sia durante la permanenza sulle montagne. Le persone addette alla custodia degli animali e alla lavorazione del latte, organizzate in famiglie pastorali con precisa distribuzione dei ruoli e rigida organizzazione gerarchica, si sistemavano in capanne, cavità naturali o in costruzioni in muratura, secondo la durata della permanenza.

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Armi da fuoco e da taglio

Dai tempi più remoti fino all'alto Medioevo l'uomo ha usato indifferentemente le stesse armi come mezzo di offesa-difesa personale e come mezzo per procacciarsi il cibo. Una attenta disamina tecnica delle singole armi mostra sufficientemente che queste possono essere efficaci sia contro gli esseri umani sia contro gli animali terrestri e marini. «L'arma da guerra del contadino o del soldato, in epoca medievale, è sempre un arnese da lavoro o di uso rustico adattato alle necessità del combattimento;..il medesimo coltello, la falce o la ronca si raddrizzano per la guerra sull'incudine del fabbro del villaggio, come la spada usata in campo si presta nella battuta contro il cinghiale o il lupo» (Boccia 1967). Dal Cinquecento in poi e soprattutto dalla seconda metà del Seicento, questa qualità di reciprocazione degli usi di una stessa arma non si annulla del tutto ma perde via via consistenza, mentre assume valore sempre più determinante la specializzazione tecnologica, strumentale alla funzione preminente cui la stessa arma deve assolvere. In conclusione, fino a tutto il secolo scorso, periodo cui è riferibile la collezione delle armi da fuoco e da taglio esposte in sala, le armi usate durante l'attività venatoria presentano una commistione di accorgimenti e soluzioni tecniche derivanti dall'uso ora bellico ora cinegetico.

Con l'inizio del Novecento e il conseguente fiorire di vere e proprie industrie belliche, specializzate nella progettazione e realizzazione di prodotti ancor più sofisticati, si definiscono e spiegano i caratteri precipui e distintivi a cui devono corrispondere le singole armi. In sostanza si stabilisce un canone che distingua le armi da caccia dalle armi da guerra. L'arma da caccia, che è poi il tipo d'arma che ci interessa qui descrivere, sebbene appaia più elaborata e decorata nel suo aspetto esteriore di quella impiegata per uso bellico, si osservino quelle esposte nelle vetrine, presenta dal punto di vista pratico funzionale perlopiù le medesime prerogative richieste all'arma da guerra: la sicurezza, la precisione, l'efficienza, la maneggevolezza. Suoi tratti distintivi, invece, sono le caratteristiche derivanti dall'uso in funzione del tipo di selvaggina da abbattere e dalla varietà dei luoghi in cui può essere usata (macchia, palude, bosco). La morfologia dell'arma risente, altresì, di un'altra influenza non trascurabile, che è quella esercitata da una parte dall'estro e dalla ingegnosità dello stesso artigiano armaiòlo - il quale, anche per ragioni di concorrenza professionale, è indotto a rincorrere continue sperimentazioni, provando e riprovando soluzioni che tengano sempre più conto delle rinnovate conoscenze tecnico-scientifiche - dall'altra dal gusto e dalle abitudini locali della classe sociale d'appartenenza del committente.

Nelle vetrine disposte in successione sul lato sinistro della sezione sono esposti gli oggetti: fucili, piastre (meccanismi), coltelli, fiaschette da polvere di corno, di zucca, di pelle, di metallo e tutti gli altri accessori d'uso più comune, compresi quelli inerenti l'equipaggiamento del cacciatore che meglio si prestano a documentare l'attività venatoria esercitata con l'uso delle armi. La collezione delle armi da fuoco, più ricca e rappresentativa di quella delle armi da taglio, ad eccezione della singola pistola, è costituita da una serie di fucili - di provenienza calabra, sarda e altoatesina - con meccanismo di accensione a 'pietra' focaia.

Quella delle armi bianche è composta dal gruppo di coltelli, in gran parte calabresi e siciliani raccolti dal Corso, dal De Chiara e dallo stesso Loria per la nota occasione del 1911. Una successiva suddivisione funzionale le distingue in armi da punta e da taglio. Le coltelle esposte presentano varie fogge di lame: dall'esemplare calabrese con lama a punta, intagliata e attraversata longitudinalmente da uno sguscio centrale scolasangue, a quello siciliano, con lama larga ad un filo, costa a schiena, sguanciatura terminale e intagli a bulino con figurazioni allegoriche. I manici, a botticella, sono generalmente di osso o di corno uniti da guarnizioni di metallo (ottone, argento). I coltelli ove non costituiscano essi stessi l'arma mortale, sono gli indispensabili accessori di cui ha bisogno il cacciatore per 'sparare' la grossa selvaggina (cinghiale, cervo, etc.), operazione che consiste nel tagliare le carni e disarticolare le ossa. Per questo presentano sempre una lama massiccia, spesso una punta ridotta e una sguanciatura terminale. Le coltelle sono custodite in foderi di cuoio, accompagnati talvolta da altre guaine, provviste del necessario (forchetti, passacorda) per la complessa e immediata preparazione della preda abbattuta.

 

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Trappole, reti, lacci

La caccia a mezzo di insidie raccoglie una varietà di metodi e tecniche, forse maggiore rispetto a quella con le armi. L'insidia non è propriamente un'arma, nel senso di uno strumento fabbricato e usato con lo scopo di ferire e di uccidere direttamente, ma la rappresenta impropriamente quando sconfigge la preda sul piano psicologico, allettandola e traendola in inganno verso un congegno di cattura o di morte. Usando la trappola come sistema di presa, il confronto uomo-animale si trasferisce dal piano della forza fisica a quello dell'intelligenza. Occorre precisare, tuttavia, che spesso l'insidia non è in sé mortale per la selvaggina e richiede un ulteriore intervento dell'uomo che concluderà con l'uso di un'arma la soppressione della preda.

Seguendo una classificazione generale le insidie si distinguono in trappole per l'avifauna e trappole per piccoli e grandi mammiferi; rispetto al funzionamento, poi, si differenziano in semiautomatiche e automatiche. Le prime, a differenza di espedienti o astuzie individuali, che ciascun cacciatore impiega a suo piacimento, sono oggetti concreti (la rete è un esempio tipico), che richiedono nell'impiego la partecipazione attiva dell'uomo. Queste trappole generalmente imprigionano l'animale vivo, dal momento che non è sempre scontato che la cattura miri alla soppressione della preda. Molti sono gli artifizi adoperati, per esempio, per catturare vivi gli uccelli dal bel canto, si osservi l'esempio di trappola 'trabuccu a quattro purtedda' nella vetrina. Le seconde, invece, sono dei congegni provvisti di un funzionamento automatico, basato perlopiù su principi meccanici, attivati dagli stessi animali insidiati, che provocano da sé il proprio imprigionamento, ferimento o morte come ad esempio le trappole a laccio, a peso, o le tagliole.

Anche nell'attività di prelievo con le insidie gli accorgimenti, i dispositivi usati dall'uomo variano col variare dell'ambiente naturale in cui egli si dispone a operare (macchia, bosco, campagna). Una forma di adescamento è rappresentata dalla marcata connotazione mimetica della caccia con i richiami, in cui è fondamentale il ricorso all'uso di richiami sonori e di stampi, accompagnato, talvolta, anche al mascheramento-travestimento del cacciatore, il quale indossando abiti e usando strumenti impregnati di odore selvatico, dissimula la sua presenza sul terreno di caccia, occultando così alla selvaggina le sue intenzioni predatorie.

Un'ultima distinzione che è indispensabile operare è quella tra i richiami sonori prodotti con l'uso del fischio o della voce dell'uomo e quelli costruiti, ad arte, spesso dallo stesso cacciatore, con i più disparati materiali , quali: latta, osso, pelle, canna.

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Genti di mare

Nell'intento di conoscere la realtà storico-culturale delle genti che dal mare traggono ragione di vita e mezzi di sussistenza, ciò che deve interessare non è la rilevanza dell'inevitabile determinismo ambientale: ogni attività umana comporta di fatto un confronto con la natura! E' necessario, al contrario, prestare maggiore attenzione ai criteri e alle modalità con cui queste genti operano in rapporto con l'ambiente marino, generalmente considerato come caratterizzato da una scarsa domesticabilità, per via dell'imprevedibilità, dell'indomabilità e della minacciosità proprie di questo elemento naturale.
Per comprendere, dunque, la reale consistenza dello specifico marinaro nell'ambito della nostra cultura tradizionale, cioè prima del definitivo avvento della industrializzazione, è necessario porre in risalto quei tratti culturali per i quali le società che vivono sul mare e del mare - pur condividendo la medesima cultura (italiana, nel nostro caso) - si differenziano storicamente tra loro e dalle società agricole, pastorali, etc. con cui sono in contatto.
Le espressioni più evidenti e tangibili delle identità culturali connesse con l'esperienza marinara" sono i possibili canali d'accesso alla comprensione dei livelli più squisitamente sociali e simbolici che qualificano ciascuna di queste società. Così, per esempio, dalle modalità di costruzione delle barche e dalla loro tipologia, dalla morfologia delle vele, dai sistemi e dalle tecniche di pesca, dalla marcata e diffusa presenza di elementi iconografici sulla produzione materiale, dalla originalità delle preghiere, dei proverbi, delle fiabe, dei canti; da tutto ciò è possibile pervenire alla individuazione della peculiarità di una cultura marinara. E' possibile conoscere e individuare le differenti professionalità artigiane: considerare le fasi e le modalità dell'apprendimento del mestiere, l'organizzazione del lavoro e le sue distinte specializzazioni (maestro d'ascia, calafato, cordaio,...). In relazione ai sistemi di pesca, poi, è possibile capire i differenti aspetti dei rapporti economici e sociali: i sistemi gerarchici operanti sulle singole barche e durante le attività di pesca, le consuetudini relative alla spartizione e alla commercializzazione del prodotto. Si può pervenire, inoltre, ad intendere l'organizzazione sociale e famigliare, ad esempio, nella particolare spartizione dei ruoli tra uomini e donne. In definitiva si possono interpretare tutti quegli aspetti che concorrono a caratterizzare ogni condizione marinara nel suo divenire storico, senza tralasciare gli stretti rapporti tra questa e il contesto sociale più ampio.

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Barche e vele

L'uomo da sempre ha dimostrato la volontà di dominare e solcare il mare inventando e costruendo, nel corso della storia, una ricca varietà di imbarcazioni sempre più sofisticate: dai primi rudimentali galleggianti (ad es. di pelle ovina o bovina), alle zattere di giunchi e tronchi (di papiro egiziane), ai natanti monoxili (fenici, egei), fino alle imbarcazioni costituite da un fondo con strutture trasversali (ordinate) e l'aggiunta di sponde (fiancate). Per quanto possa apparire poco credibile, la storia della navigazione ha avuto un avvio più precoce di quella del trasporto con veicoli terrestri e ha interessato un numero assai più ampio di popoli in ogni parte del mondo. Per solcare i mari, infatti, l'uomo ha dovuto escogitare molto presto mezzi di trasporto, che gli consentissero di spostarsi su questo elemento; al contrario, sulla terraferma, senza dubbio a lui più familiare, potendo contare sull'ausilio delle proprie forze fisiche per gli spostamenti, ha ideato solo più tardi i mezzi più adeguati per il trasporto.

Per tornare all'ambito delle marinerie tradizionali italiane, caratterizzate dalla produzione di imbarcazioni integralmente in legno a propulsione a vela, è opportuno dire che esse costituiscono espressione di una fabrilità artigiana ancora non del tutto scomparsa, nonostante le mutate condizioni sociali, economiche e culturali. Questa arte si manifesta mediante l'opera di sapienti artigiani, che di padre in figlio, di maestro in allievo, con un lungo apprendistato in cantiere si tramandano per le vie dell'oralità i saperi e i segreti del mestiere.

Una classificazione generale distingue le imbarcazioni sia quelle da trasporto, sia quelle da pesca in base alla differenza morfologica degli scafi: a fondo piatto e con chiglia. Nella sala se ne possono osservare alcune riprodotte in scala: la zattera fluviale, il bragozzo chioggiotto, la barca lacustre sarda, il trabaccolo romagnolo, la lancetta, la barca da pesca siciliana. Per tutte e due le tipologie i criteri costruttivi sono quelli indicati dal maestro d'ascia, che realizza l'intera opera usando uno strumento fondamentale: la sagoma dell'ordinata principale o maestra, senza consultare alcun piano di costruzione, ma semplicemente applicando una tecnica consolidata dalla sua esperienza. Il sesto e il garbo sono accezioni locali per indicare la sagoma di tale ordinata. Ulteriori classificazioni tipologiche distinguono le barche: per portata, per tipo di carico e in base alla composizione dell'equipaggio o alla attività peschereccia.

La vela, dopo i remi, ha rappresentato la principale forza di propulsione sino a quando ha dovuto cedere il passo alla forza meccanica del motore. Nell'area mediterranea, e quindi anche tra le marinerie italiane, la vela latina è quella che ha conosciuto la massima diffusione. Contrariamente a quanto potrebbe suggerire il suo nome, essa è stata introdotta dalle imbarcazioni arabe durante il periodo di predominio dell'Islam sul Mediterraneo. La sua forma triangolare la distingue dalla vela quadra delle cocche e delle caracche e la assimila alla vela al terzo o «vela da trabaccolo» con la quale condivide la definizione di vela di taglio; caratteristica di queste vele è quella di "stringere" il vento e di bordeggiare secondo linee diagonali, consentendo anche la navigazione contro vento. Un raro esemplare di vela al terzo della costa centrale dell'Adriatico occupa quasi una intera parete della sala.

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Gondola

L'esemplare esposto al pubblico fu donato dal Comune di Venezia nel 1956. La sua costruzione risale al 1882, quando fu realizzato in occasione della visita ufficiale della Regina Margherita nella città lagunare. Alcune fotografie riprodotte su un pannello documentano le operazioni di restauro effettuate nello squero Tramontin a Ognissanti, proprio in occasione della donazione al Museo. Furono per la circostanza ricuperati i fregi, i bronzi allegorici, il monogramma in bronzo di Casa Savoia, il félze: la copertura centrale usata durante l'inverno per la protezione dei passeggeri. Quest'ultimo rappresenta una rarità non solo nel suo genere, ma anche perché da oltre mezzo secolo i félze non sono più riprodotti.

La gondola veneziana, come tutte le imbarcazioni lagunari in legno, ha un fondo piatto, è sprovvista, cioè, di quella carenatura (o chiglia) necessaria alle imbarcazioni d'altura. Per la sua costruzione si impiegano otto essenze e le uniche parti in ferro sono il ferro di prua e quello di poppa. Presenta una notevole asimmetria longitudinale, ed è condotta da uno o, su richiesta, due vogatori. La sua particolare curvatura, che le conferisce la tipica forma a "mezzaluna", viene effettuata dal maestro carpentiere in considerazione del peso del gondoliere che dovrà condurla. La singolare voga in piedi, denominata voga alla veneta, si effettua con un solo remo, al quale oltre alla propulsione è affidata anche la funzione di timone.

L'imbarcazione è adibita esclusivamente al trasporto di persone e svolge essenzialmente la funzione pubblica di "traghetto". Nel corso della prima metà dell'800 questa funzione è stata particolarmente indispensabile per il trasporto degli abitanti da una sponda all'altra del Canal Grande, visto che esisteva un unico ponte per attraversarlo a piedi: il Ponte di Rialto. Ancora oggi accanto alle gondole adibite al servizio pubblico ci sono gondole di proprietà di famiglie nobili ("de casada"), e gondole di proprietà dello Stato ("da parada"), messe a disposizione delle autorità in particolari occasioni o feste. Un modello in scala mostra come la morfologia della gondola rimanga invariata fino ad oggi e come per la sua produzione vengano adoperate sempre le stesse essenze. Infine, il modello di squero, luogo deputato alla costruzione delle imbarcazioni veneziane, rappresenta con ricchezza di particolari l'ambiente in cui svariate professionalità artigiane concorrono alla costruzione della gondola e delle altre imbarcazioni lagunari quali il sàndolo, la batèla buranèla o còa de gàmbaro, la caorlina, la sampierota, etc...

Al centro dello squero si trova il cantier, cioè la controsagoma sulla quale si fissa dapprima l'ordinata maestra e successivamente le altre che formano, tutte insieme, lo scheletro della nuova barca sul quale verrà inchiodato il fasciame. In prossimità dello scalo di alaggio e del canale sono visibili alcune modelli, sempre in scala di tipiche imbarcazioni lagunari, tutte barche con caratteristiche ben definite.

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Legni

Nelle zone montane o collinari, ma anche nelle aree di pianura, è particolarmente usato il legno, secondo varie specializzazioni artigiane: falegnami, carradori, produttori non professionali di strumenti per l'agricoltura, l'allevamento, la pesca, la preparazione ed il consumo del cibo. La lavorazione del legno può avvenire attraverso una forte specializzazione professionale, come nel caso del bottaio, che lavora la materia a doghe, con strumenti specializzati, o del tornitore, che lavora il legno con il tornio.

I documenti di cultura materiale costituiti anche parzialmente di materia lignea hanno nell'area italiana una vastissima gamma di impieghi. Le collezioni del Museo rispecchiano questa varietà di usi e di provenienze geografiche. Negli strumenti della produzione agricola, sono in legno i manici e in genere le parti non agenti; invece le parti agenti sono preferibilmente in materiali metallici, almeno per quegli attrezzi che richiedono una particolare incisività del lavoro sul terreno (vanghe, zappe, bidenti, eccetera).

Nell'ambito delle attività di allevamento e di produzione casearia, il legno rappresenta il materiale primario e costitutivo di molti attrezzi e strumenti, come i cappi per agganciare le pecore, i bastoni, e tutte le serie di mestoli, frangicagliata, spatole, cucchiai per scrematura usati nelle diverse fasi della lavorazione del latte. In molti casi, gli stessi contadini e pastori costruivano le parti in legno degli strumenti, e utilizzavano l'esperienza acquisita anche per produrre oggetti con prevalenti finalità estetiche (stecche da busto, rocche per filatura, spole, archi da culla, cavicchi da orto, tutti decorati con incisioni di carattere simbolico).

Alcune lavorazioni di artigianato altamente specializzato, come quelle dei falegnami, dei carradori, dei bottai, erano diffuse in tutta l'area italiana, perché fornivano, come si è detto, oggetti e strumenti per le attività produttive. Altre lavorazioni rappresentavano un artigianato specifico di un'area, come quello limitato all'area valdostana, relativo alla produzione delle grolle, coppe usate per consumare il vino comunitariamente, in particolari occasioni cerimoniali.

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Fibre vegetali

Oggetti di origine vegetale sono i recipienti costituiti di zucche essiccate e lavorate, prodotti in Italia centro-meridionale; ma è particolarmente in Sardegna che questa lavorazione, appartenente in origine all'ambito agropastorale, ha raggiunto codici ornamentali complessi e, più recentemente, la caratteristica di artigianato specializzato.

La lavorazione delle fibre vegetali riguarda due fondamentali tematiche: la produzione di recipienti e contenitori, ad intreccio, e la produzione dei tessuti.

L'intreccio di fibre vegetali è una tecnica che assume caratteristiche diverse a seconda delle località, sia dal punto di vista delle materie prime impiegate, sia dal punto di vista delle tecniche esecutive e delle destinazioni d'uso. In generale, i recipienti ad intreccio sono usati nelle varie fasi della produzione agricola, armentaria, di caccia e pesca: si tratta di oggetti fabbricati da artigiani semiprofessionali, spesso contadini, allevatori o pescatori che producono oggetti e strumenti per sé e per i membri della stessa comunità di appartenenza. Ceste per le derrate e per la frutta, gerle per il fieno, fiscelle per la ricotta, recipienti per il pane, nasse per pescare le anguille: una vasta gamma di impieghi e di forme che corrisponde ad una vastissima area di produzione, diversificata, come si è detto, per aree geografico-culturali.

In Sardegna l'intreccio, sia per usi quotidiani e lavorativi sia per usi festivi e cerimoniali, produce oggetti caratterizzati da un notevole grado di raffinatezza e da forti contenuti estetici.

L'utilizzazione delle fibre vegetali per la produzione dei tessuti ha avuto in Italia numerose modalità e varianti, sia dal punto di vista dell'impiego di diverse materie prime, sia dal punto di vista delle tecniche di fabbricazione. Il lino e la canapa venivano coltivati direttamente dai contadini e, spesso, lavorati all'interno dell'ambito domestico, per una produzione destinata alla famiglia, o ad un ambito piuttosto limitato dal punto di vista territoriale. Solo quando si costituivano veri e propri laboratori di tessitura, la circolazione del prodotto superava l'ambito strettamente locale, tanto da costituire un artigianato specializzato, con tecniche, temi, decorazioni ricorrenti. Tra queste lavorazioni particolari e pregiate, sono note soprattutto la produzione dei pezzotti, tipica dell'area valtellinese, la produzione dei tessuti di Pescocostanzo in Abruzzo, la produzione tessile del cosentino (Cariati, Longobucco, San Giovanni in Fiore).

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Materiali di origine animale

Molti contadini praticavano l'allevamento del baco da seta, al quale doveva necessariamente aggiungersi la coltivazione del gelso, cibo indispensabile per l'alimentazione dei bachi stessi. Nella quasi totalità dei casi, tuttavia, i bozzoli giunti a maturazione venivano venduti ai commercianti, che li inviavano alle località, anche molto lontane, dove maestranze specializzate lavoravano in filande ed opifici di tessitura. Il ciclo di lavorazione della seta non si completava, pertanto, nell'ambiente dei contadini allevatori di bachi –che, anzi, si trovavano a dover acquistare quei tessuti di seta alla cui produzione avevano contribuito-, ma si estendeva su aree anche molto lontane tra di loro. Opifici di filatura e tessitura della seta si trovavano in Lombardia, Emilia, Toscana, Campania, Sicilia; queste ultime due aree fungevano da centri di raccolta dei bozzoli prodotti in Italia meridionale. Solo in alcune località, come nell'Appennino calabrese, e fino alla metà del Novecento, sussistevano lavorazioni della seta a ciclo completo.

La lana, disponibile particolarmente presso le comunità dei pastori, che in passato potevano anche commerciare questo materiale, era oggetto di filatura e tessitura domestica, ma veniva anche lavorata nelle manifatture locali, che producevano tessuti in lana destinati all'abbigliamento delle comunità agropastorali.

Il cuoio e le pelli, il corno di animali erano invece materie che derivavano direttamente dall'attività armentaria degli allevatori (pastori di ovini, allevatori di bovini e di equini). Il cuoio e le pelli venivano utilizzati per capi di abbigliamento o per usi legati al lavoro, come grembiuli di cuoio, gambali in pelle di capra, giacche in pelle di pecora, selle e finimenti; il corno veniva usato soprattutto per realizzare recipienti di piccole dimensioni. Tipici dell'area abruzzese-molisana sono i corni destinati a contenere la razione di olio, che veniva assegnata, dall'azienda padronale, ai pastori che effettuavano la transumanza in Puglia.

In modo parallelo alla produzione delle zucche, in Sardegna si è affermato, in passato, un fiorente artigianato volto alla produzione di oggetti in corno, interamente ricoperti di incisioni decorative. Si tratta di piccole tabacchiere, fiasche per polvere da sparo o porta-pallini da caccia: alcuni di questi oggetti dimostrano la loro appartenenza ad un ambito agro-pastorale, altri sono chiaramente opera di un artigianato professionale specializzato.

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Terracotta e ceramica

La lavorazione della terracotta ha avuto particolare espansione nelle zone dotate di terreni o di fiumi caratterizzati da una forte componente argillosa. La produzione di oggetti ceramici ha avuto in ambito popolare diverse figure di artigiani: i vasai, volti a produrre soprattutto recipienti, attraverso la modellatura al tornio, e i figurinai, volti alla produzione di figure e statuette, a stampo o a modellatura manuale.
Nella maggior parte delle aree di pianura italiane si registrano insediamenti di artigiani della terracotta. In ambito popolare la produzione dei recipienti è così diffusa che le forme e gli stili assumono particolarità locali in modo analogo alle particolarità dialettali.

Alcune aree hanno forse rivestito una maggiore importanza, per quantità del prodotto, per complessità e particolarità delle tecniche impiegate, per area di diffusione. Tra queste, certamente sono da annoverare l'area ligure, con le fabbriche di Albisola, l'area veneta, con le fabbriche di Bassano, e l'area delle Marche, caratterizzata da una considerevole produzione di recipienti in terracotta, e da insediamenti di vasai molto diffusi nel territorio. Massicce e molto note in tutto il Meridione sono state la produzione pugliese, e quella siciliana.

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Orario ICPI
Dal lunedi al venerdi
9.00-17.00
Metro Linea B (EUR Fermi) Bus 30 Express, 170, 671, 703, 707, 714, 762, 765, 791
Amministrazione
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